E' probabile che il lettore esigente e purista 
storca il naso ed inarchi il ciglio quando leggerà che questo è. per chi scrive, 
un disco di blues. Da un punto di vista strettamente storico- musicale avrà tutte 
le ragioni per farlo. Difficilmente queste dodici tracce possono essere inserite 
in categorie musicali afro americane. Ma in termini di atmosfera, e di intenzioni 
poetiche, di blues in questo disco., ce n' è davvero tanto. 
"Il blues- scrisse Duke Ellington - altro non è che un giorno 
grigio e freddo, il blues è un biglietto di sola andata dal tuo amore verso non 
sai dove…, il blues non ha amici " Il blues è straniamento, assenza, senso di 
vuoto, separazione, perdita. Quella che era la condizione esistenziale di tanti 
schiavi liberati e proiettati in un modo ostile ed insicuro, di strade e paludi, 
è oggi un sentimento diffuso di chi vive in un mondo dove i punti di riferimento 
si fanno di giorno in giorno più labili.  
Dischi come questo rendono perfettamente questo aspetto della sensibilità 
contemporanea. La Morris canta in maniera "imprecisa" e brumosa, appoggiandosi 
su un sostegno ritmico armonico essenziale, senza percussioni. Nel la sua voce si 
avvertono tracce del cabaret tedesco degli anni ‘20, chiazze di country, nebbie 
di blues. Una poetica sfumata e polverosa, fragile ma tagliente. Non a caso gli 
accompagnamenti sono opera di Marc Ribot, per anni collaboratore di quel 
Tom Waits che di certe musicalità impure, di certe torbidezze esistenziali è campione 
indiscusso. Ma tutto il disco riprende (solo il brano che da il titolo al disco 
è "original") e cita artisti che hanno sempre camminato all'incrocio dei venti:
Bob Dylan, Lou Reed,
Nina Simone. 
Di quest'ultima viene citato il classico "Sugar in my bowl". 
A mio avviso lo spirito di quella immensa vocalist si aggira per tutto questo "Migratory 
birds". Stessa ambiguità, stessa imperfezione, stessa indefinita inquietudine 
di fondo. Spero che il lettore mi passi un'altra citazione, questa volta del pianista 
italiano Claudio Cojaniz "Almost… quasi… ecco cos'è il blues, per me: 
un elogio agli errori giusti, umani. Un modo di vivere e di essere, prima che di 
suonare. Si è o non si è Blues! Riempie e conferisce senso a ciò che non si può 
né codificare nè ripetere, all'indeterminabile.). Lo stile, insomma, che è la vera 
composizione nel blues è il quasi, qualcosa che ci si porta dentro, come l'epatite: 
portatori sani di blues. Indeterminabile per l'appunto." 
In questo senso il disco della Morris fa parte del nostro mondo di amanti 
della musica e dell'arte (afro) americana. Ed è un bel disco. Prezioso.  
 
Marco Buttafuoco per Jazzitalia 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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			Data pubblicazione: 19/07/2009
	  
 
 
 
	
  
	
		
		
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