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Intervista a Nicola Angelucci
di Massimiliano Cerreto

photo by Claudia Angelelli

Con i suoi 25 anni, Nicola Angelucci è sicuramente uno dei batteristi professionisti più giovani che abbia mai incontrato. Ricordo che, la prima volta che ho avuto modo di ascoltarlo, fu in occasione della quarta edizione del "Terni in Jazz Festival". Nicola Angelucci accompagnava la bravissima vocalist Susanna Stivali e, con lui, Giovanni Ceccarelli (pianoforte) e Marco Loddo (contrabbasso). Un incontro brevissimo, purtroppo. La seconda volta, ma è storia recente, è stato in occasione del concerto della straordinaria cantante Loredana Lubrano. Sul palco dell'Around Midnight Club di Napoli, anche Pietro Condorelli (chitarra), Valerio Silvestro (pianoforte), Max Ionata (sax) e Gianluca Renzi (contrabbasso). Al termine dell'applauditissima esibizione, che è stata anche un'ulteriore conferma del talento del drummer abruzzese, il rituale scambio di biglietti da visita e, poi, qualche giorno dopo, questa intervista…

M.C.: Ti ho ascoltato con Susanna Stivali e Loredana Lubrano, ma so che hai anche numerosi altri progetti; ce ne parli?
N.A.: Sono davvero tanti! Non posso non citare, ad esempio, il trio con il grandissimo Enrico Pieranunzi (pianoforte); al contrabbasso c'è Luca Bulgarelli. Un altro musicista con cui adoro suonare è, poi, Benny Golson (sax). Ultimamente, quando viene in Italia, lo accompagno alla batteria e, con me, vi sono Antonio Ciacca (pianoforte) e photo by Francesco TruonoNicola Muresu (contrabbasso). Tengo molto anche al trio di Stefania Tallini (piano), in cui vi è Stefano Cantarano al contrabbasso. Con questo gruppo ho suonato anche in Germania e vi suonerò prossimamente. Vorrei anche citare sia il gruppo di Niki Nicolai (cantante), che vede la partecipazione di Stefano Di Battista al sax, sia il quintetto a nome di Carlo Atti (sax) ed Emanuele Basentini (chitarra): sono molto contento della recente collaborazione con Di Battista. Infine, da pochissimo è nato anche un trio, a mio avviso molto interessante, con Gianluca Renzi (contrabbasso) e Luca Mannutza (piano).

M.C.: Immagino che ti riconoscerai, allora, nella definizione di batterista jazz; è così?
N.A.:
Anche se non amo le definizioni di genere, ossia le "etichette", poiché amo tutta la musica, e ho suonato ogni genere musicale, è il jazz il mio linguaggio musicale preferito.

M.C.: Quando hai incominciato a voler suonare il jazz?
N.A.:
La mia carriera professionistica è incominciata prestissimo. A 11 anni già lavoravo nelle orchestre di liscio della provincia di Chieti. Ho iniziato, però, a desiderare di suonare jazz soltanto intorno ai 15, 16 anni.

M.C.: Come è nato questo desiderio?
N.A.:
Mi sono avvicinato al jazz in modo un po' insolito, soprattutto da un punto di vista cronologico. Ho incominciato, infatti, con i dischi dei Weather Report e, successivamente, ho ascoltato i grandi musicisti del passato. Anche in questo caso, rimane valido quanto ho detto sulle "etichette". Che si tratti di swing o hard bop, e quest'ultimo è probabilmente il genere che suono maggiormente, che sia mainstream oppure free jazz, l'importante è che sia buona musica.

M.C.: In tema di studio, chi sono stati i tuoi maestri?
N.A.:
Il mio primo maestro è stato Alberto Biondi: persona eccezionale ed ottimo didatta. Con lui, ho incominciato quando avevo sei anni e ho continuato siano all'età di 15/16 anni. Poi, c'è stato l'incontro con Lorenzo Tucci. Una curiosità: Lorenzo Tucci, oltre ad essere abruzzese come me, è stato anche lui allievo di Alberto Biondi. Infine, ho studiato con il pianista Luca Mannutza...

M.C.: …immagino che gli insegnamenti di Luca Mannutza riguardassero l'armonia; è così?
N.A.:
A molti sembra stano, ma considero Luca Mannutza uno dei miei maestri di batteria. Certo, lui non poteva insegnarmi la tecnica strumentale, ma mi ha educato all'ascolto della musica e alla comprensione dello stile dei grandi batteristi del passato, photo by Francesco Truonoe non solo, che rappresentano, da sempre, i miei punti di riferimento: Elvin Jones, Tony Williams e Philly "Jo" Jones. Sarebbe, però, troppo lungo fare l'elenco dei batteristi che ammiro. Così, e senza trascurare veramente nessuno, posso dire che apprezzo i musicisti che vanno da Cozy Cole a Jack De Johnnette. Inoltre, Alberto (Biondi), Lorenzo (Tucci), Luca (Mannutza) e Emanuele (Basentini), oltre ad essere stati miei maestri, li considero quali alcune delle persone più importanti della mia vita, sia dal punto di vista musicale sia umano. In particolare, grazie ad Emanuele (Basentini) ho imparato, e continuo ad imparare tantissimo. Anche cose che, prima dell'incontro con lui, sottovalutavo, ma che sono fondamentali per chi, come me, vuole suonare il jazz. Consiglio a tutti di fare quattro chiacchiere con lui, e con molta "tranquillità"! Naturalmente, le persone cui devo di più, sono i miei familiari e, tra questi, mio padre. E questo per i suoi consigli e per l'avermi sempre sostenuto: grazie!

M.C.: Siamo arrivati alla domanda "tormentone": che valore dai alla tecnica?
N.A.:
La tecnica ha un grande valore, ma non è la cosa cui do più importanza. Potrei sbagliarmi, ma preferisco puntare l'attenzione all'ascolto di ciò e di chi ti sta intorno.

M.C.: Che importanza attribuisci alla partecipazione ai seminari?
N.A.:
Ritengo che sia una cosa importante, ma non fondamentale. Anche se fu proprio in occasione di uno di questi che ho vinto una borsa di studio per frequentare uno stage in America.

M.C.: Qual è, allora, un momento che ritieni fondamentale per la tua carriera?
N.A.:
Sicuramente, quando mi sono trasferito dalla provincia di Chieti a Roma (il suo paese si chiama Selva di Altino - nda). E' stato un salto nel buio, ma ero profondamente motivato nel farlo, e sono felice della scelta che ho fatto.

M.C.: Oltre a suonare moltissimo dal vivo, hai anche lavorato in studio; ci racconti le tue esperienze discografiche?
N.A.:
Il primo disco è stato Zaira (Wide Sound), che ho inciso con il "Max Ionata-Claudio Filippini Quartet". Avevo solo 18 anni e Claudio Filippini ne aveva appena 16. Mi piace ancora oggi, ma il mio stile, come è naturale che sia, è cambiato. Poi c'è stato Moodswings (Wide Sound) registrato con la "A.M.P. Big Band" diretta dal compianto Alfredo Impullitti e capitanata dal contrabbassista Maurizio Rolli. Al disco parteciparono anche Mike Stern (chitarra), Michael Manring (basso elettrico), Fabrizio Bosso (tromba), Achille Succi (clarinetto basso), Diana Torto (voce), Claudio Filippini (piano) e Giovanni Imparato alle percussioni. Si tratta di una formazione tributo alla musica di Jaco Pastorious. Ancora con Max Ionata, con cui suono da circa dieci anni, ho inciso Little Hand (Abeat Records). Il gruppo era il "Max Ionata Quartet" ed era composto da Luca Mannutza (pianoforte) e Marco Loddo (contrabbasso). Lavorare con loro, è stata un'esperienza che mi ha fatto crescere molto. Peccato che il gruppo, dopo circa tre anni, si sia sciolto. Con Marco Loddo e Luca Mannutza, e Rosario Giuliani (sax) in veste di special guest, ho inciso A secret place (Alfa Music): l'album d'esordio di Susanna Stivali. Successivamente, i produttori dell'Alfa Music mi hanno voluto anche per registrare Internal Dance: l'album del sassofonista giapponese Tsuyoshi Niwa. L'ultimo disco inciso, oltretutto uscito da pochissimo, è quello di Fabiana Rosciglione (voce): The dream of love (Azzurra Music). Tra i musicisti, Massimo Faraò (pianoforte), Michel Rosciglione (contrabbasso) e, quali special guests, la cantante afroamericana Shawnn Monteiro e il leggendario batterista partenopeo Gegè Munari. Gegè ha più di 70 anni, ma suona ancora con lo spirito di un ragazzino, ed è un grande maestro di swing.

M.C.: Passiamo adesso al tuo drum kit; cosa usi?
N.A.:
Ho una Gretsch degli anni '60 - finitura Silver Sparkle - con cassa da 20", tom da 12" e 13", e timpani da14" e 16". L'ho comprata, tramite internet, da un collezionista del Texas. Solitamente, uso il timpano da 16" come cassa, il tom da 12 ed il timpano da 14". Ho anche una Sonor degli anni '70 con cassa da 18", tom da 12" e timpano da14". Per quanto riguarda i piatti, uso gli Zildjian della serie K degli anni '60: quelli che venivano ancora fabbricati in Turchia. Ho un ride da 22", due ride da 20" ed un charleston da 14". Uno dei ride da 20" è appartenuto al mitico Elvin Jones. Lo buttò perché si ruppe mentre suonava in un locale di Roma, negli anni '80. Oggi lo possiedo io, e non me ne separerò mai!

M.C.: Infine, quali sono i tuoi progetti futuri?
N.A.:
Ho la fortuna di suonare tanto e, quindi, ci sarà ancora tantissima musica, soprattutto dal vivo. Mi considero, invece, ancora troppo "giovane" per un progetto a mio nome. Penso, infatti, di avere ancora tantissimo da imparare. Un saluto a tutti.







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Data pubblicazione: 15/01/2005

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