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Intervista a Pietro Condorelli
"Easy"… ma non troppo!
"Scusate il ritardo", Marcianise (Caserta), 28 aprile 2005
di Claudio Lombardi

In passato, ha svolto un interessante e rigoroso lavoro di ricerca sulle varie possibilità comunicative dell'universo chitarristico, approfondendo innumerevoli approcci stilistici, dal jazz al rock, dalla musica etnica al funk. Oggi, per sua stessa ammissione, propone una musica meno cerebrale, più fresca, a tratti imprevedibile. Una musica sottesa da una spiccata vena boppistica, pur velata da una straordinaria abilità compositiva. Con Aldo Farias e Antonio Onorato, rappresenta ciò che di meglio esprime il chitarrismo jazz campano in Italia e nel mondo. Naturalmente, stiamo parlando di Pietro Condorelli.

C.L.: Pietro, iniziamo dalla fine: "Four brothers"…
P.C.: È un pretesto… un pretesto per ritornare a suonare con Aldo e Antonio… un pretesto per confrontarmi con il decano dei chitarristi jazz in Italia, il "signor" Franco Cerri.

C.L.: Raccontaci dell'incontro con Cerri
P.C.: Ci conosciamo da anni. La prima volta che ci siamo stretti la mano fu nel 1988 ad un raduno di musicisti italiani a Milano. Ero con un gruppo che rappresentava la Campania, i "Sonora art quartet", accanto a Marco Sannini, Salvatore Tranchini e Ares Tavolazzi. Mi fu presentato non appena smisi di suonare… non immaginavo neppure che stesse in sala. Si avvicinò e mi disse, con quel sorriso disarmante (Condorelli cerca di imitare la voce di Cerri, ndr): "Ho ascoltato della musica meravigliosa". Franco è stato sempre prodigo di complimenti nei miei riguardi… la cosa mi imbarazza e mi riempie di gioia in egual misura.

C.L.: Torniamo per un attimo a "Four brothers"...
P.C.: Spero che nell'ascoltarlo si avverta quell'atmosfera abbastanza rilassata che si respirava in sala d'incisione. È un album con molti pezzi sussurrati... un disco fatto di respiri... di emozioni… più che di note pure e semplici. Sono abbastanza soddisfatto del lavoro: la registrazione è buona… la grafica è simpatica… e poi noi ci siamo divertiti molto. Tra l'altro, ho saputo che sta avendo una buona distribuzione, arriverà persino in Giappone che, sembra incredibile, è tra i più grandi mercati al mondo per i dischi di jazz.

C.L.: Nel cd hai firmato un brano dal titolo "The fake blues"…
P.C.: Sì… blues fasullo. È un pezzo abbastanza cervellotico (Condorelli sorride, ndr), dove c'è un po' di tutto, anche della serialità dodecafonica. Mi sembrava adatto…

C.L.: Il pianista Francesco Nastro, ma non solo lui, sostiene che come musicista tu non abbia difetti...
P.C.: Non è vero! Ne ho tanti...Francesco è un amico, oltre che un grande artista.

C.L.: Allora, diccene almeno uno...
P.C.: Prometti di non ridere?.

C.L.: Promesso!
P.C.: Mi considero troppo cerebrale... che è il difetto di chi studia troppo! Vorrei diventare più melodico...continuare sulla strada della cantabilità. Sono anni che cerco di suonare in modo più naturale, di stare sempre in contatto con gli altri musicisti, di pensare il meno possibile durante le improvvisazioni...di acquisire un tocco mediterraneo, qualità che ammiro tantissimo in Antonio. Per troppi anni mi sono estraniato dalla realtà, oggi provo a vivere tutte le esperienze, anche quelle lontane dal mondo della musica, perché ognuna di esse entrerà, in qualche modo, nelle mie composizioni. Non mi reputo semplicemente un chitarrista...sono, piuttosto, una persona che spende il suo tempo a tradurre in musica le sue emozioni.

C.L.: A proposito, perché hai cominciato proprio con la chitarra?
P.C.: Da ragazzo avrei voluto suonare il pianoforte, ma i miei genitori non volevano...chissà, temevano che potessi distrarmi dalla scuola…non lo so. Per cui, non appena riuscii a racimolare qualche lira, comprai di nascosto una chitarra acustica, e da allora...

C.L.: Nel tuo curriculum compare anche un diploma di chitarra classica...
P.C.: Sì… un chitarrista per esprimere una buona polifonia deve avere un buon uso della mano destra. Aldo, ad esempio, è il chitarrista jazz che conosciamo anche perché possiede un forte retroterra classico alle spalle. Consiglio sempre ai miei studenti di esercitare la mano destra su una chitarra classica.

C.L.: Sappiamo pure che suoni il sassofono...
P.C.: È un altro strumento che amo tantissimo! È vero...ne ho un paio a casa...ma suono solo come un cane per il timore che qualcuno possa ascoltarmi.

C.L.: È difficile immaginarti nella veste di un solitario sassofonista "casalingo"…
P.C.: Ti assicuro che è così.

C.L.: Una domanda seria: pensi che il jazz in Italia stia vivendo un buon periodo?
P.C.: Beh, il jazz vive delle fasi calanti e delle fasi crescenti. Penso che questo sia un periodo abbastanza favorevole. Qualcosa di simile è avvenuto negli anni Ottanta, ma i discografici e gli stessi musicisti non lo hanno saputo gestire. Questa volta sta andando meglio...ci sono più festival, più discografici disposti ad investire, molti musicisti bravi in giro...una migliore informazione. Se oggi si insegna jazz nei conservatori, qualcosa significa.

C.L.: Non credi, però, che si ascoltino sempre meno cose originali?
P.C.: Sai, è difficile che nasca un nuovo Charlie Parker…nel jazz molto è stato già detto. Se ti riferisci all'originalità "pura", hai perfettamente ragione. Prova, però, a guardare la cosa sotto un altro aspetto: noi jazzisti, attraverso l'improvvisazione, veicoliamo non solo musicalità ma anche sentimenti. Da questo punto di vista ci sono sempre più musicisti che riescono ad esprimersi. Poi, che lo facciano in un idioma post-coltraniano mi interessa poco. L'importante è che salgano su un palco e suonino onestamente.

C.L.: Oltre alla promozione di "Four brothers", hai altri progetti nell'immediato futuro?
P.C.: Prossimamente dovrebbe uscire il mio nuovo disco da solista per la Red Records.

C.L.: Come si chiamerà?
P.C.: A me piacerebbe "Easy"... ma stiamo ancora decidendo.







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Data pubblicazione: 12/08/2005

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