Quattro contrabbassisti:
Pietro Leveratto, Paolino Dalla Porta, Ferruccio Spinetti, John Patitucci
di
Antonio Terzo
"Note a margine". Potrebbe essere il sottotitolo di questa quadruplice
intervista, un po' capitata per caso e un po' fatta capitare, per tracciare a grandi
linee il profilo di quattro jazzisti, quattro professionisti del contrabbasso, e
con esso uno spaccato – giammai esaustivo – dell'evoluzione in atto di questo strumento
"rubato" alla musica "colta" e trapiantato nel jazz, per incarnare ad un tempo due
delle componenti essenziali di questa musica: il ritmo, la pulsazione, da una parte,
e la sua voce ed espressione melodica, dall'altra, rinvenendo così anche la filosofia,
più pratica che teorica, che da sempre sta dietro al jazz stesso. "Note a margine"
intanto perché, pur avendo interpellato quattro esponenti di rilievo del contrappuntismo
jazz, non si pretende con questo d'aver coperto l'ampiezza della gamma espressiva
ed interpretativa del contrabbasso nel jazz. In secondo luogo, "Note a margine"
perché per due dei protagonisti, segnatamente
John
Patitucci e Ferruccio Spinetti, si è trattato d'una reprise
d'intervista, seguita al vero e proprio incontro documentato in due articoli appositamente
loro dedicati come artisti tout court, che il Lettore, avvisato dalla
presente annotazione, potrà, se vorrà, trovare nelle pagine di Jazzitalia.
Certo questi quattro personaggi non hanno bisogno di eccessive presentazioni.
Non ne ha Pietro Leveratto, dalle cui parole emerge nettamente la profonda
preparazione tanto tecnica quanto storica sullo strumento, né ne ha bisogno Paolino
Dalla Porta, che, autodidatta, incarna perfettamente quella professionalità
della musica appresa sul campo, per esperienza affinata con il tempo e sempre aperta
ad innovazioni e nuovi linguaggi d'espressione, come dimostra il suo impegno con
i generi ed i musicisti i più diversi e disparati. Colonna portante degli Avion
Travel, neppure Ferruccio Spinetti, il più giovane dei quattro, necessita
di tante parole di introduzione, e per gli aspetti più generali inerenti la sua
figura artistica si rinvia all'intervista con Petra Magoni. Così come si
rinvia alla più ampia chiacchierata già pubblicata su queste pagine per
John Patitucci,
pilastro pulsante di mitici gruppi del jazz di tutti i tempi, dalle band con
Chick Corea
ai gruppi di
Wayne Shorter.
Li ringraziamo tutti e quattro, per essersi prestati a questo nostro gioco-confronto.
Modelli
nel contrabbasso... |
In
realtà credo quasi tutti, perché più avanti vai più scopri delle cose che
ti interessano in tutti i musicisti che hai sentito, anche per una volta
e, paradossalmente, anche se non ti piacciono. Alcuni sono comunque imprescindibili:
uno che impara a fare linee di basso non può fare a meno di sentire Paul
Chambers, Ron Carter, quelli che mettono a posto l'"attrezzatura",
gli strumenti con cui poi ci si muove. Poi subentra anche il gusto, mi piace
tuttora
Charlie Haden, Scott Lafaro. Mi piacciono anche
molto i vecchi bassisti dell'epoca pre-bebop, figure come Wellman Braud,
che suonava con Ellington negli anni
'30, le quali hanno
reinventato e messo a punto le basi, i coraggiosi che suonavano acustico
con le big band, con suoni pazzeschi e senza fronzoli. Il contrabbasso ha
il vantaggio che fa da sempre la stessa cosa: prendi un vecchio bassista,
per esempio Murphy "Pops" Foster che suonava con Armstrong
negli anni '30,
lo metti con Miles Davis, e può funzionare abbastanza bene! Credo
che la figura più rivoluzionaria sia comunque stata quella di Jimmy Blanton,
che ha fatto capire che lo strumento aveva delle possibilità inesplorate
all'epoca, sia per la scelta del timbro – lui aveva comunque un suono molto
aggressivo, un attacco molto forte – sia per le qualità espressive e melodiche
che allora erano sconosciute, almeno dal punto di vista dell'uso pubblico.
C'erano altri bassisti interessanti negli stessi anni, ma lui fu proprio
il primo a muoversi in quel modo e resta tuttora emozionante sentirlo, perché
comunque nel '39
suonare lo strumento con il fraseggio bop quando ancora il bop non esisteva!
Purtroppo la sua attività è stata breve, un paio d'anni soltanto, perché
è morto a ventun'anni, non ha avuto tempo di far tanto, sappiamo pochissimo
di lui, non c'è un'intervista, ignoriamo anche il suo sviluppo creativo. |
Charles
Mingus, Scott Lafaro,
Charlie Haden, Marc Johnson,
Dave
Holland e, in Italia, Paolino Dalla Porta... |
Sono
stato influenzato da moltissimi bassisti perché ognuno racconta la sua storia,
ma se devo nominarne qualcuno in particolare, penso a
Charlie Haden, Scott Lafaro, Charles Mingus,
Jimmy Blanton,
Dave
Holland. |
Per
quanto riguarda il contrabbasso direi
Ray Brown,
Ron Carter, Scott Lafaro, Oscar Pettiford, Paul
Chambers. Per il basso elettrico invece James Jamerson, Willie
Weeks, Chuck Rainey, Stanley Clarke,
Jaco Pastorius. |
Come
si raggiunge un suono personale: una questione di "dotazione" (tipo di corde,
strumento, etc.,) o una ricerca? E di che tipo? |
No.
È un lavoro che fai tu, con le tue mani, con il suono che hai in testa:
ho suonato corde di budello per molti anni, adesso sono da qualche tempo
tornato di nuovo al metallo, e mi dicono: "Che bello il suono di budello
che hai!"; e invece non è vero. Perché di fatto è il modo in cui ti rapporti
allo strumento a fare la differenza. Gli strumenti "in ordine" aiutano –
uno strumento "insuonabile" è ovviamente ingestibile – ma è più importante
il suono che hai in testa: se tutto è in ordine, tiri fuori quello che serve. |
Oltre
all'aspetto tecnico, il tipo stesso di corde o come sono montate, credo
che un musicista il suono debba averlo in testa: solo così riuscirà poi
a trasferirlo sullo strumento. Chiaramente quando suono il mio contrabbasso
è tutto più semplice, ma quando suono uno strumento che trovo in un posto,
l'avere ben chiaro che tipo di suono voglio ottenere mi aiuta molto. |
Certamente
avere uno strumento che abbia un bel suono è importante perché il suono,
sopratutto per il contrabbasso, è una fonte di ispirazione e ti mette a
tuo agio: se ho un suono che non mi piace, non mi vengono neppure le idee,
e faccio più fatica a suonare. Con l'esperienza, e grazie anche all'insegnamento
a cui mi dedico da diversi anni, ho imparato che bene o male tutti hanno
un suono personale e che lo stesso strumento suonato nella stessa stanza
da quattro bassisti diversi, ha un suono sempre differente! Quindi, penso
che il suono personale sia un mix tra strumento, mano e l'intenzione del
suono che uno ha in testa. |
Ci
vorrebbero circa sei mesi per rispondere a questa domanda! Il tuo "sound"
è chi sei come persona, sotto l'aspetto delle emozioni, fisicamente e spiritualmente. |
Cosa
cerchi di trasmettere agli allievi, al di là di note, fraseggi, diteggiatura
etc.,? |
Essenzialmente
credo che la cosa più importante sia l'amore per il proprio ruolo. Il contrabbasso
svolge un ruolo preciso, se non ti piace è finita. Quindi intanto porsi
in relazione con quello che fai ogni giorno. Ai ragazzi spiego che statisticamente
si faranno un minuto d'assolo contro sei ore d'accompagnamento; quindi se
non piace accompagnare, a questo punto hai sbagliato qualche cosa! Vorrei
che apprendessero il "godimento di portare il tempo", questa specie di "spina
dorsale" che è il contrabbassista, magari non visibile come un trombettista
o un batterista, ma che conduce, che tesse la regia armonica: è questa l'emozione
che lo strumento regala. Anche se è per pochi e dal di fuori può non essere
del tutto percepibile. |
Cerco
di fargli capire che devono ascoltare e suonare un po' di tutto, senza preconcetti.
Nessuna musica è "migliore" di un'altra. Spesso chi suona jazz o musica
classica si sente superiore alla media, ma non è così. |
Cerco
di metterli in condizione di trovare la propria strada e di pensare con
la propria testa. |
Cerco
di infondere loro la passione a l'amore per la musica, un legame emotivo
con la musica, che può avvenire solo se essi si immergono nella musica,
ascoltando, andando a sentire musica dal vivo, sviluppando una connessione,
c'è un interruttore con le emozioni, e questo è estremamente importante.
Ed anche essere di mentalità aperta, imparare differenti stili di musica,
e guardare la musica come una corsa a lunga distanza, non una corsa di scatto:
si impara sempre, è un lungo viaggio. |
E
la lezione più importante che invece hai personalmente ricevuto? Da chi? |
Tanti anni fa, proprio ragazzino, feci un tour con
Lee Konitz, a cui in realtà come testa non ero preparato:
ero giovanissimo, suonavo da poco. E per questo ero in crisi. E lui mi disse:
"Non suonare come pensi che vorrei che tu suonassi: suona la cosa che ti
viene!", che è una cosa banalissima, ma detta da uno con un carisma particolare
e competenze pazzesche, fu molto importante: mi ha abbastanza segnato.
Credo che in realtà a lui interessasse una relazione onesta: suoni con
qualcuno, e allora vuoi che ti dia quello che lui sa fare. Anche se si tratta
di un musicista che sulla carta magari non avresti scelto. Ma è proprio
quest'aspetto che diventa interessante: l'incontro su di un piano comune,
appunto quello dell'espressività e dell'essere sinceri rispetto alla musica.
|
Non
sentirsi mai arrivati. C'è sempre qualcosa da imparare, da migliorare, da
esplorare. Me l'ha insegnato lo stare sul palco da 15 anni. |
Sono
autodidatta e quindi ho imparato sul "campo", suonando con gli altri e studiando.
A mio avviso si impara qualcosa da ogni musicista con cui si suona. Ho capito
inoltre che con i "grandi" musicisti spesso è più facile suonare perché
riescono a farti tirar fuori il meglio: l'importante è non aver paura, e
suonare con energia, concentrazione, cercando sempre di essere sé stessi. |
Negli
anni recenti, sono state molto importanti le lezioni che ho appreso suonando
con
Wayne Shorter, attraverso il suo esempio. Le sue idee
sulla creazione continua e sull'improvvisazione estemporanea sono ispiratrici. |
Quanto
è importante l'ascolto? |
È la sola cosa: di fatto la nostra musica è trasmissione orale. Dico spesso
che il jazz è una forma dialettale, per cui anche scriverla è problematico.
Allora proprio l'ascoltare gli altri, "rubare" il più possibile agli altri,
resta la cosa essenziale. Mi riferisco in generale alla "funzione dello
strumento", nel senso che il contrabbasso classico è proprio un altro strumento:
non è pizzicato, svolge un altro compito, per non parlare del basso elettrico,
che ha un'autonomia ancora più forte. Però le funzioni sono le stesse, quindi
si può ascoltare musica etnica, di un'altra cultura, ma di fatto il basso
ha quel dato ruolo, in un certo senso è il "rapporto con la terra", e su
di esso gli altri strumenti possono a loro volta prendere il loro volo.
Ovunque, il basso crea le condizioni affinché sopra possa adagiarvisi il
resto, è una struttura portante.
|
Fondamentale.
Sia ascoltare tanta musica diversa che ascoltare chi sta sul palco con te. |
Lo
considero fondamentale, non a caso una delle caratteristiche principali
del jazz è l'improvvisazione, e di conseguenza la capacità di interagire
in tempo reale con gli altri musicisti attraverso l'ascolto reciproco. |
L'ascolto
è il modo attraverso cui si apprende, il modo in cui ci si ispira e si "sopravvive"
sul palco. Per avere senso della storia occorre ascoltare la musica: occorre
che i giovani vadano indietro a verificare da dove viene la musica, sia
che essi partano da
Louis Armstrong
e procedano in avanti, sia che comincino con i più moderni e tornino indietro:
in ogni caso devono ascoltare tanto per diventare consapevoli, perché è
elettrizzante ed illuminante. Andare a seguire musica dal vivo è molto importante
per comprendere come i musicisti comunicano attraverso il modo in cui si
concentrano sull'obiettivo. Questo è quello che mi stimolava quando ero
giovane: andare a vedere i musicisti dal vivo… Non solo i dischi: i dischi
sono pure eccitanti, ma si tratta di un'altra cosa! |
Cosa
ascolti e hai ascoltato per la tua formazione e per il raggiungimento del
tuo "sound"? |
Ascolto di tutto. Sì, ci sono i periodi in cui vengono le "cotte",
ci si innamora di una certa cosa, pure non jazz, ma in generale bisognerebbe
avere il coraggio di sentire quello che succede o che è successo, avere
disponibilità all'ascolto. Per i musicisti è difficile ascoltare liberamente,
perché spesso lo si fa con una serie di presupposti, di competenze, si presta
attenzione a quanto dura un chorus, se il solista è bravo, come è
un certo accordo. Se si ascoltasse l'emozione della musica, sarebbe più
semplice: è una conquista che spesso si perde.
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Insalata mista: da Bill Evans Trio del periodo
1959-1962,
a Brahms, Beatles, Chico Buarque e la musica brasiliana in generale,
di cui mi sono totalmente innamorato in questi ultimi anni.
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Ho
iniziato con il rock quando ero piccolo, poi mi sono concentrato sul jazz
senza limitazioni di stili, dallo swing al free, dal be-bop al jazz Europeo,
dal cool al jazz-rock. Inoltre ho cercato sempre di essere aperto e curioso
verso differenti generi musicali e oltre al jazz ascolto musica classica,
contemporanea ed etnica. |
Tutti
i tipi di musica che si possano immaginare! |
E
che ascolti suggerisci agli studenti? |
Da un lato tutto. Dall'altro, però, alcune cose si devono ascoltare,
perché uno strumento vive di storia e se non si è avuto alcun rapporto con
la tradizione occorre farselo, occorre aver sentito certe cose nel momento
giusto. Contemporaneamente, suggerisco di trovarsi prima possibile un modello:
non c'è nulla di male a copiare qualcuno, specie se questi ha risolto certi
problemi prima di noi. Di fatto non suoneremo mai come lui, però potrebbe
servirci per avere una linea da seguire: quindi trovare uno che ci piaccia
particolarmente, che suoni in maniera compatibile con la nostra natura e
ci aiuti a tirare fuori quello che siamo.
|
Tutto.
Poi è chiaro che se uno è in fissa col jazz allora gli consiglio dei cd
più specifici, tipo
Charlie Haden, Ron Carter, Marc Johnson,
Charles Mingus, per lo strumento; e poi Monk, Bill Evans,
Jarrett, Frisell, Duke... |
Parlando di jazz non si può prescindere dalla conoscenza della storia
di questa musica attraverso l'ascolto dei suoi principali interpreti. Inoltre,
in quanto musicisti e quindi artisti, ai miei studenti suggerisco di ascoltare
altri generi come la musica contemporanea o la classica, ma anche di interessarsi
alla letteratura, all'arte, al teatro ed in generale a tutto quello che
può nutrire il loro spirito ed essere quindi fonte di ispirazione per la
loro musica. Alla ricerca della Bellezza.
|
Tutti i maestri di ogni stile e genere di musica.
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La
dimensione in cui ti ritrovi più a tuo agio: trio, quartetto, grande organico,
duo…? |
Non c'è, o meglio sono tutte. Se suono in trio con un sassofono,
cosa che a me piace molto, ho una condizione di grande aria, perché ci si
deve occupare di funzionare armonicamente e quindi sono io che determino
i movimenti degli accordi. In trio con un pianoforte, invece, secondo la
concezione moderna il contrabbasso contrappunta il lavoro del solista, e
quindi realizza un'altra funzione ancora. Nei grandi organici, il contrabbasso
è sacrificato, però di fatto si ha il piacere fisico di portare il tempo,
per esempio un obbligato fisso per venti minuti: però questo determina tutto
il resto. In genere, la formazione medio-piccola è quella in cui ci si può
esprimere di più, però talvolta si avverte il bisogno di lasciarsi trasportare
nel mare del grande organico. Il piccolo gruppo lavora sulla personalità
del contrabbassista in termini di dipendenza. Quando poi si riesce ad essere
presenti a sé stessi anche in organici molto grandi, e vi si lascia il segno,
questo procura una gran soddisfazione.
|
Da quando suono in duo con Petra [Magoni, n.d.r.] sicuramente
il duo…ma con Petra! Magari con un altro musicista o cantante non
avrei la stessa intesa. In generale ho comunque sempre amato i piccoli organici,
i trio, i quartetti... Mi piacciono lo spazio e i silenzi nella musica,
e se suoni in un ottetto gli spazi si riducono.
|
Da qualche anno preferisco decisamente le formazioni più ridotte
e cameristiche come il duo o il trio, perché lasciano maggiore libertà creativa
e di interazione tra i musicisti e permettono di far emergere le qualità
solistiche. Mi piace molto anche la dimensione del quartetto e quintetto
per l'impatto, l'energia e la differente organizzazione della musica che
richiedono.
|
Non ha granché importanza, solo preferisco non suonare nelle big
bands.
|
Negli
ultimi tempi molti sono i contrabbassisti emersi nel panorama jazzistico:
dopo Pastorius e Mingus, più di recente spiccano leaders con gruppi a nome
proprio, quali Patitucci e Miller, o anche progetti in co-leadership come
il duo Magoni/Spinetti, Leveratto/Paradisi, Ferra/DallaPorta, Petrella/DiCastri:
il ruolo dello strumento e quindi anche del contrabbassista si è dunque
evoluto negli ultimi anni? |
A parte figure come Mingus, o altre precedenti come John Kirby,
ottimo bassista leader degli anni '30… Il punto è che il contrabbasso
non canta le melodie, per cui anche quando si prova con un gruppo proprio,
il lavoro per il bassista è quello di imparare i pezzi da capo. Però, se
suoni il contrabbasso sarà perché non ti andava di suonare la tromba e quindi
forse non volevi neppure fare il leader. Anche lo strumento determina
il piacere di svolgere un ruolo piuttosto che un altro, è come una linea
parallela: bassisti capiscuola ce ne son stati sì, ma nel contrabbasso non
c'è mai stato un Coltrane, un Miles, e neanche un Bill
Evans. C'era Scott La Faro, braccio destro di Evans, ma non era
lui a condurre il gruppo. Di fatto oggi c'è una sorta di "democrazia musicale".
|
Sicuramente. Credo anche grazie al fatto che fino a 50 anni fa suonare
un contrabbasso fosse un'impresa, dato che le corde erano altissime, gli
strumenti scomodi. Oggi abbiamo sicuramente degli strumenti più agili da
suonare e credo che sia uno dei motivi per cui i contrabbassisti sono più
leader e in prima linea rispetto al passato, oltre ad essere più "musicisti"
completi sotto il punto di vista armonico e melodico in generale.
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Direi che questa evoluzione è iniziata da Jimmy Blanton nel
1940, con i
famosi duetti registrati insieme a Duke Ellington, ed è proseguita
grazie all'apporto di contrabbassisti quali Scott Lafaro, Paul
Chambers, Red Mitchell, Charles Mingus, Eddie Gomez,
Gary Peacock,
Dave
Holland, Miroslav Vitous, Marc Johnson e molti
altri. Già nella stagione del free e negli anni
'70 erano molti i bassisti che si cimentavano in assolo e
duetti dal vivo e su disco. Mi sembra perciò che le potenzialità solistiche
e paritetiche del contrabbasso siano una realtà consolidata ed esplorata
oramai da diversi anni, nel panorama jazzistico e in quello della musica
colta.
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Il basso continua a fare grandi passi ed i bassisti sono più avventurosi
in certi percorsi. Ad ogni modo, talvolta la musicalità viene sacrificata
quando i giovani musicisti si preoccupano troppo della tecnica e di giochini
per stupire.
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15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 04/02/2006
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