Intervista a
Petra Magoni e Ferruccio Spinetti
Musica Nuda
Kals'Art Musica – 29/30 luglio, Palazzo Bonagia, Palermo
di Antonio
Terzo
foto di Roberto Celestino Bellavia
Uno dei progetti musicali più interessanti degli ultimi tempi, ruffiano
quanto basta ma artisticamente ineccepibile, protagonisti la voce duttile, ironica
e con un pizzico di sensuale malizia rispondente al nome di
Petra
Magoni, e, ad essa abbinata, le elastiche e risonanti profondità contrappuntistiche
di Ferruccio Spinetti: reduci dalla premiazione all'ultimo M.E.I.
di Faenza, il loro album d'esordio,
Musica Nuda,
ha e continua ad ottenere ottimo riscontro di critica e vendite, facendo da richiamo
– insieme alla seguita trasmissione radiofonica "Caterpillar" nella cui
compilation si trova la loro
Guarda che luna – anche
per i concerti che tengono in tutt'Italia. Lei con trascorsi studi di musica seicentesca,
lui colonna portante dei notissimi Avion Travel, insieme sono artefici di
una piacevole serata musicale tenutasi a Palazzo Bonagia di Palermo, all'interno
della polimorfica rassegna estiva "Kals'Art". E il giorno seguente, i due artisti
hanno acconsentito a scambiare quattro chiacchiere, mostrando come il divertimento
sia alla radice della loro natura, artistica, musicale ed umana.
Archetto alla mano, è Spinetti, con scattante arpeggio accordale,
a tracciare basso e armonia di
Eleonor Rigby, per la nitida, trascinate e tagliente voce della Magoni,
e, sempre a colpi d'archetto, ancora lui prosegue ad approfondire la dimensione
percussiva del proprio strumento, in un'inconfondibile
Roxanne, solitari gli acuti
staffilati della vocalista, punteggiato il pizzicato dello strumentista: ma sono
gli occhi assenti della Magoni a rendere il vuoto d'anima nel corpo mercificato
della prostituta protagonista del successo dei Police. E nella trasversalità del
repertorio del duo, segue Prendila
così di Battisti, molto apprezzata in quanto patrimonio comune della
tradizione canora italiana: intensi gli spazi opportunamente lasciati da Spinetti,
notevole la vocalità di Petra, intonatissima e risaltata nel canto libero finale.
Ritmica e contrabbasso per Kiss
di Prince, un inedito per i due – sarà infatti contenuto nell'album appena
registrato:
per
la serie anche il loro prossimo disco si annuncia all'altezza del primo –, appropriato
l'arpeggio di Spinetti sul ritornello, la Magoni strascica, prolunga
la voce per riempire i vuoti armonici e dare man forte al partner. E ancora
Run with me di Bitter
Suite, quindi interazione con il pubblico per rivangare le passate edizioni di Sanremo
risalendo a Non ho l'età,
con le ironiche "smorfiette" della cantante e "valzerino" in solo-contrabbasso,
che la dicono lunga sulla loro capacità di arrangiare brani famosi, anche stravolgendoli,
per portarli a livelli parossistici: "Non ho l'età… per amarti… ma se vorrai…questa
sera ho la casa libera!"
E per spaziare ulteriormente, un salto nella musica disco con uno degli
hits più conosciuti del genere,
I will survive di Gloria
Gaynor, in cui il contrabbassista ripercorre il celeberrimo assolo orchestrale:
ancora tanto umorismo, ma le loro "gags" nulla tolgono all'aspetto musicale
e all'intensità della performance. Procedendo a saltare, fa da intermezzo
un madrigale di Claudio Monteverdi, ridotto in lunghezza giacché l'originale sarebbe
durato circa 25 minuti, e tuttavia incantevolmente superfluo rispetto all'autonomia
della scaletta: semmai, è un modo di mettere in luce un ulteriore lato dello spessore
artistico della versata cantante. Tornano i frangenti "burleschi" con l'intro di
Per Elisa ad opera di
Spinetti, che per strada viene trasformata in
Cuore matto, passando pure
per Pink Panther, sotto
lo sguardo apparentemente esterrefatto della collega di palco. Classico della musica
leggera americana Raindrops keep
falling on my head, di Bacharach, curatissima la resa armonica di
Spinetti, che permette alla vocalist di esibirsi anche con maggiore rilassatezza.
E ancora un brano cui la Magoni confessa d'essere particolarmente legata,
Lately di Stevie Wonder,
sebbene l'incontenibile ed indomito contrabbassista principi con
Come prima, seguita da
Legata a un granello di sabbia,
prima di giungere alla splendida interpretazione del capolavoro del cantante nero-americano
da parte della Magoni.
Adattamento "blueseggiante" per un
Tuca Tuca proiettato dalla
«Canzonissima» degli anni '70 ai giorni nostri,
con sapiente walking bass di Spinetti che rilascia anche un intenzionalmente
improbabile refrain vocale: "tuca-tuca". Quindi
Sirena, un pezzo vocalizzato
senza testo – aperto a tutti il "concorso" per scriverne uno – e poi
Guarda che luna, cover
che ha fatto conoscere il duo al grande pubblico, passando soprattutto per radio,
in cui la voce si fa sottilissima ed eterea. Ancora Battisti con
Perché no?, preziosi gli
abbellimenti di passaggio del contrabbasso, ma non indifferenti neppure quelli canori
della Magoni con voce legata, strumento davvero pregnante ed emozionante.
Pregevole, infine, La voce del
silenzio, scritta da un Paolo Limiti d'annata e portata al successo –
come forse pochi ricorderanno – da una sanremese Dionne Warwick, sebbene la versione
più nota in Italia sia quella dell'immarcescibile Mina. E nonostante siffatti precedenti,
la Magoni, messa da parte l'ironia, riesce a far venire i brividi con i suoi
potenti e pieni acuti, accompagnati da Spinetti in perfetta consonanza di
triadi. Ed il lungo applauso finale manifesta la soddisfazione dei presenti.
Ed ecco come si sono raccontati, dalla casuale nascita del duo fino al
disco di prossima uscita.
A.T.:
Iniziamo raccontando brevemente come
nasce il vostro duo.
F.S.:
È successo che un comune amico trombettista, tale Roberto Piermartire, con
il quale sia Petra che io avevamo collaborato in passato, ci invitasse a fare una
serata in quartetto nelle Marche, insieme a Fausto Mesolella, chitarrista
degli Avion Travel. In quell'occasione Petra ed io suonammo subito
Roxanne, contrabbasso e
voce, senza esserci mai visti prima, notando subito un certo affiatamento. Poi,
dato che abitiamo abbastanza vicini, lei a Pisa io a Siena, Petra mi chiamò perché
aveva da fare una serata a Massa Marittima, in un'enoteca, con un chitarrista che,
fortunatamente, le diede buca...
P.M.: ...s'era ammalato, poverino...
F.S.:
Così lei chiamò me, e in un pomeriggio provammo una trentina di brani, per eseguirli
la sera, fra i tavoli, senza neanche l'amplificazione. Quindici giorni dopo suonammo
a Firenze in una chiesa sconsacrata...
P.M.: Lì fu un vero e proprio concerto, con gente seduta.
F.S.:
Una chiesa molto carina, in un concerto quasi acustico. Da lì a poco il disco, in
un solo giorno registrammo 57 takes.
A.T.:
E cosa vi ha fatto incontrare "musicalmente",
determinando l'intesa che vi rende un duo?
P.M.: Intanto ci sono senz'altro comuni una serie di esperienze, per
esempio gli studi classici – lui s'è diplomato, io no –, ma comunque tutt'e due
abbiamo frequentato il conservatorio, ad entrambi piace la musica antica ma abbiamo
esperienze nel rock, nel pop, nel jazz. Quindi siamo onnivori come ascoltatori,
e ci piace esserlo anche da esecutori: il fatto di essere noi due, avere un certo
tipo di suono che comunque ci caratterizza, ci permette di sconfinare in tutti questi
generi, mantenendo una nostra identità.
A.T.:
Petra, come si passa dai madrigali
al jazz?
P.M.: Con divertimento, non
so...Tra l'altro la combinazione voce e contrabbasso riprende un po' il basso continuo,
la voce accompagnata del '600, quindi in realtà non è così strano. Per quanto riguarda
me, c'è una grande attenzione all'uso della parola, al testo e a quello che si può
trasmettere cantando delle parole, quindi non semplicemente cantare "bene", ma anche
cantare "male" se ciò serve a sottolineare una frase, una situazione di disagio
che emerge dal testo.
A.T.:
Ma ci sono precedenti di questo tipo?
P.M.: Ci sono, ma in ambito strettamente jazz, uno spettacolo che per un
pubblico medio può anche risultare ostico. Chiedo spesso a fine concerto: «Cosa
vi aspettavate di sentire? Pensavate
"Uh, contrabbasso-voce: che strazio!"». E questo a noi non avviene, per più
motivi: c'è senz'altro molta ironia, ma anche il fatto stesso di variare molto il
repertorio aiuta l'ascoltatore che non sia troppo addentro alla musica, permettendogli
di seguire tutto il concerto senza annoiarsi.
F.S.: Pensa che in Francia
ci hanno etichettato proprio come "jazz puro", cioè andando in negozio ci si trova
negli scaffali del "jazz", mentre noi non ci sentiamo per niente "jazzisti puri",
anzi…
P.M.: Infatti, se dovessero
chiedermi che genere suoniamo non saprei proprio cosa rispondere.
F.S.: E così adesso non
ci pubblicano più su Jazzitalia…!
A.T.:
Figuriamoci! Piuttosto, non è che i tempi fossero maturi per affrontare un progetto
come il vostro, come fosse già nell'aria, e voi avete semplicemente preso la palla
al balzo?
P.M.: Mah, per noi è stato veramente un caso. Solo dopo abbiamo cercato di
capire perché ci si trovava bene e soprattutto perché il pubblico uscisse dai nostri
concerti contento, perché continuasse a chiedere bis e comprasse i dischi. Allora,
ragionandoci, intanto c'è una questione di "frequenze", un discorso "acustico":
il contrabbasso è grave, la mia voce è piuttosto acuta, quindi dal punto di vista
sonoro si creano molti spazi che non sono riempiti, restano vuoti, e questo fa la
differenza, perché se cantassi con un pianista, o con un chitarrista, non sarebbe
assolutamente la stessa cosa. Quindi da questo punto di vista, si è proprio formata
un'alchimia.
F.S.: Alchimia però assolutamente
non studiata "a tavolino", perché tante volte molti progetti discografici o anche
artistici nascono attorno a un tavolo. Le famose jam session dei jazzisti
che iniziano e finisco in una sola data. Invece noi abbiamo cominciato per divertimento
e ci troviamo ad aver venduto 7000/8000 copie in Italia e 9000 in Francia. Forse
siamo stati premiati per la nostra incoscienza.
P.M.: Come detto, un disco registrato così, in un pomeriggio…!
A.T.:
E a parte l'intesa, che ruolo gioca
invece il silenzio nelle vostre performances?
P.M.: Una cosa che amo dire è che oggi siamo bombardati di musica, ovunque,
al supermercato,
F.S.: ...nell'ascensore
dell'hotel...
P.M.: ...già, e non discuto sulla qualità di questa musica, perché potrebbe
anche essere bellissima. Però quando si trova in un concentrato di rumore, o in
sottofondo, diventa "rumore che tenta di coprire altro rumore". Chiaramente il nostro
progetto, per essere apprezzato, ha bisogno di silenzio, perché non può essere musica
di sottofondo, e anche molte sfumature che si ritrovano nel mio modo di cantare,
o nel suo modo di suonare, se non le segui, se non stai attento a quello che succede,
verrebbero a perdersi, e non avrebbero senso. Il silenzio è importante anche per
questo: dentro la nostra musica e intorno ad essa.
F.S.:
Spesso in quelle serate in cui dal palco si possono scorgere le prime file, durante
i primi due/tre pezzi mi accorgo di facce abbastanza perplesse, perché appunto il
nostro concerto è strano anche come suoni, come frequenze. Dopodiché, invece, chi
ci ascolta si abitua, e tutto diventa come se fosse stato sempre normale sentire
un concerto contrabbasso e voce.
P.M.: Un'altra delle cose che spesso ci viene detta a fine concerto è che
non sembra che manchi qualcosa nonostante si sia in questa formula…
F.S.: Vabbeh, io sono un mostro,
faccio l'orchestra!
P.M.: Orchestra-man! Una volta entrati in questo mondo sonoro, non senti
la mancanza di altro.
A.T.:
I tuoi modelli nel canto jazz, Petra?
P.M.: Non ho veri e propri
modelli, posso apprezzare più o meno qualche cantante… Sì, nel pop mi piace Bjork,
però ammiro tantissimo Emma Kirkby, una cantante di musica antica che forse
è la mia preferita. Ho studiato, e col tempo, anche grazie a Ferruccio, cominciando
a suonare ho capito quello che veramente volevo fare con la mia voce: usarla in
più modi, ma sempre seguendo il testo. Anche i virtuosismi, sì sono belli, ma se
sono fini a sé stessi non mi interessano: mi piace servirmene ma come una decorazione,
deve prima esserci una struttura consistente.
A.T.:
Quindi è lui che ti ha fatto scoprire
"jazz singer"?
P.M.: Non intendevo in quel
senso, ma proprio per l'uso della voce, proprio perché con lui posso adoperare la
voce in un modo che non mi sarebbe possibile con un gruppo completo.
F.S.: Idem, per quel che mi riguarda:
suonare il contrabbasso allo stesso modo in un trio, in un quintetto, per esempio
gli Avion Travel, sarebbe impossibile.
A.T.:
E la Magoni più tecno-elettronica di Sweet Anima o quella più "leggera" di "Mulini
a vento"?
P.M.: O di Sanremo, mettiamoci
anche quello! Si tratta di cose che ho fatto in passato e che assolutamente non
rinnego; anzi, il fatto di averle provate non mi fa avere dei rimpianti: sono tutte
tappe che mi hanno portato a ciò che faccio oggi. Certo adesso non le farei di nuovo,
un disco come quello registrato anni fa non lo rifarei,
ma in quel momento era quello che
c'era da fare. Poi dipende dagli incontri che fai. Per esempio l'incontro con
Stefano
[Bollani, n.d.r.], mio marito, mi ha aiutato a dire di no a tante cose:
vedendo il suo modo di lavorare, senza tante parole, ho capito che non c'è bisogno
di fare tutto, escludendo magari le cose che piacciono solo fino a un certo punto.
A.T.:
E invece i tuoi modelli nel contrabbasso,
Ferruccio?
F.S.: Sicuramente
Charlie Haden, Marc Johnson, in Italia Paolino Dalla Porta
e Ares Tavolazzi.
A.T.:
Qualche contrabbassista più moderno,
attuale, non storico, che ti interessa o che segui?
F.S.: Preferisco quelli
vecchi piuttosto che i più giovani, quelli elettronici.
A.T.:
Qualcuno che magari è più free o più
"avanguardistico".
F.S.: A me non piace tanto
il free, vado più su
Charlie Haden, cioè poche note ma giuste, grosse. Secondo me dipende
anche dal ruolo dello strumento: se avessi suonato il sassofono allora avrei fatto
mille e ottocento note. Invece ragiono molto più con la testa di un contrabbassista
anni '50-'60, non tipo Miroslav Vitous, che è un caso a parte perché comunque
è un mostro. Guardo più a questi del passato, ma anche agli italiani già citati,
come Paolino [Dalla Porta] o Ares [Tavolazzi], del quale mi è sempre
piaciuto il fatto che spazi da un mondo all'altro, dalla musica pop al jazz.
A.T.:
Proprio nel jazz ultimamente c'è una
certa tendenza a guardare al passato, ad appoggiarsi alla storia; parlo di Michael
Bubblé o Norah Jones: voi che ne pensate?
P.M.: Penso che ci sono tantissime belle canzoni, troppo spesso i dischi
di oggi hanno canzoni inedite brutte; allora preferiamo suonare una canzone già
sentita, già esistente ma bella, piuttosto che una canzone "nuova" ma brutta.
A.T.:
Non sarà che la vostra combinazione
piace perché punta proprio alla "musica di tutti", proposta in un contesto particolare,"intimo"?
P.M.: Ma addirittura qualcuno
ci dice: «Non avevo mai fatto caso a cosa diceva il testo di Prendila così, oppure
la stessa Guarda che luna» che viene cantata sempre come una canzoncina allegra,
invece è drammatica, parla di un disperato che vorrebbe morire perché ha perso l'amore.
A.T.:
Ferruccio, esperienza "Avion Travel": dalla variegata e plurima combinazione "Avion"
all'essenzialità del duo…
P.M.: Racconta l'aneddoto di quando Peppe è venuto a sentirci la prima volta.
F.S.: Già… Una della prime
presentazioni che facevamo del disco "Musica
Nuda" a Roma, venne a sentirci Peppe Servillo, e dopo il concerto
disse ad una nostra amica comune: «Caspita, ma Ferruccio suona così??!» In
quindici anni non se n'era accorto! È normale. Questa combinazione in duo è l'apoteosi
dello strumento, perché contrabbasso e voce sono totalmente svincolati e liberi
di fare quello che vogliono, nel bene e nel male. Così come lei fai una ricerca
sulla voce, io la faccio sullo strumento, ma in maniera anche particolare ed inedita,
sia per "fare i buffoni" sul palco sia per trovare nuove sonorità.
A.T.:
Adesso c'è un nuovo disco in cantiere:
come sarà?
P.M.: Questa volta ci saranno
anche canzoni inedite, originali.
A.T.: Sarà
sempre in duo?
P.M.: Il disco è in duo, ma in omaggio ci sarà un altro disco con ospiti.
Quindi sarà un doppio, al prezzo di uno.
A.T.:
Petra, un motivo per risparmiarti
la scontata ed abusata domanda su Stefano, tuo marito?
P.M.:
Perché nessuno chiede mai a Ferruccio della sua fidanzata!
F.S.:
Perché non c'è…!
P.M.:
Comunque Stefano è stato essenziale
per farci registrare il disco in modo rapido, perché era al primo concerto e disse
"Dovete registrare il disco". E noi: "Sì, ci avevamo pensato ma più in
là". E lui: "No, no, fatelo adesso". E gli abbiamo dato retta, registrando
subito: e aveva ragione.
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Data pubblicazione: 04/02/2006
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