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Gaetano Partipilo & Urban Society
Upgrading
Jazz Engine - JE 8014
1. 13
2. Suite 36 Part A: Pharoah's Monolith
3. Suite 36 Part B: Looking For An House
4. Suite 36 Part C: Pent-Up House
5. Suite 36 Part D: Jackson Pollock
6. Suite 36 Part E: Tokio Citizen
7. Suite 36 Part F: Nikola Tesla
8. Suite 36 Part G: Club Africa
9. Suite 36 Part H: Listening At -3
10. Red Over Blue
11. Suite America Part A: Tu Vo'Fa L'Americano
12. Suite America Part B: Downtown Motion
13. Suite America Part C: Synchronism
14. I Have A Dream
Gaetano Partipilo
- alto sax, electronics
Pasquale Bardaro - vibes
Mirko Signorile
- piano
Giorgio Vendola - bass
Vincenzo Bardaro - drums
Gaetano Partipilo,
o della differenza tra chi è cool davvero e chi cerca di esserlo.
Non si può cercare di essere cool, come non si può cercare di essere poeti. La triste
verità, è che o lo si è o no. Già "cercare" di essere qualcosa non è cool, una delle
definizioni della coolness è una quieta sicurezza di sé. Chi imita le persone che
erano cool negli anni Cinquanta non è cool, perchè loro non imitavano nessuno e
cool non è mai imitazione. Chi è modaiolo (miserabile condizione che si cerca di
mascherare con la parola "trendy") non è mai cool: qualche volta è la moda che imita
il cool, mai viceversa. Dichiarazioni roboanti non sono mai cool, fare nomi importanti
non è mai cool, un atteggiamento costruito non è mai cool. La persona cool fissa
i propri tempi, non è assillato dal rispetto di quelli fissati da altri, ma è rispettoso
e tendenzialmente gentile perchè riservato. Si fa sentire da coloro che ascoltano,
non per forza. Il cool non è una posizione sociale: ci sono persone ricche e cool,
ma la ricchezza non è una garanzia, anzi; il tratto di suprema eleganza che si coglie
nel giro di frase o nel gesto del contadino o del pescatore è supremamente cool.
Volete sapere cosa vuol dire essere cool in musica? Sentitevi questo bellissimo
disco registrato dal vivo – non c'è niente da fare, la presa diretta ha un suo fascino
che nessun'altra situazione può dare, malgrado gli ovvi problemi tecnici – dal gruppo
di
Gaetano Partipilo
con musicisti, se non sbaglio, tutti pugliesi. (Non può essere una coincidenza la
produzione a getto continuo di talenti jazzistici da parte di questa regione.) Semplicissima
formazione, quintetto con il tratto distintivo di aver il vibrafono come seconda
voce melodica, al posto di un più classico fiato, ma capace di suonare come un organico
più ampio per la libera invenzione melodica anche degli strumenti di "accompagnamento";
musica principalmente originale in cui fanno capolino Ellington o Rollins e perfino
un indovinato stravolgimento di Carosone; melodia e rumore, grooves e tempo sospeso,
caos creativo e organizzazione millimetrica: tutto usato legittimamente, non perchè
si deve in omaggio a qualche motivo esterno, ma solo per le funzionalità interne
della poetica musicale.
Disteso senza prolissità, elegante senza ostentazione, il gruppo utilizza al massimo
le proprie risorse e i materiali musicali con passaggi che lasciano l'ascoltatore
nel dubbio se si tratti di arrangiamenti intelligentemente flessibili o improvvisazioni
di musicisti che intelligentemente si ascoltano.
Per gli appassionati di jazz, il disco si apre con uno dei più celebri temi di Gary
McFarland, personaggio unico di vibrafonista e arrangiatore la cui strada artistica
incrociò più volte quella dell'altosassofonista Eric Dolphy, al cui fraseggio
spesso Partipilo fa riferimento; ma il disco rimanda tra l'altro anche alle atmosfere
ipnotiche di Sun Ra, a volte richiamandone il duo con Walt Dickerson, e i
ritmi urbani di Steve Coleman. Tuttavia non è necessario conoscere nessuno
di questi musicisti per lasciarsi trascinare, affascinare, sollevare dalla musica
di questo gruppo, come dimostra l'entusiasmo del pubblico alla fine. Ennesima dimostrazione
che il pubblico non è mica scemo come ci vogliono far credere e come la tv lo vuol
tenere.
Francesco Martinelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 19/02/2011
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