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Niccolò Faraci
It Came to Broadcast the Yucatan
AUAND (2014)
1. Small Radio Kapaq (Faraci)
2. It Came to Broadcast the Yucatan (Faraci)
3. The Sky Was Filled of Appetizers (Faraci)
4. Never Feed That Pseudo Animal (Faraci)
5. Harbor Tarlo (Faraci)
6. 92 Kg Fat Suite (Faraci)
7. Looking For The Right Nose (Faraci)
8. Something Is Eating Your Feet (Faraci)
9. An Oriental Solution (For Pleasure) (Faraci)
10. Happy Times And Fearless Morning (Faraci)
11. Leaving Yucatan On a Ford Transit (Faraci)
Niccolò Faraci - contrabbasso, basso elettrico Achille Succi - clarinetto basso, flauto Lorenzo Paesani - pianoforte verticale, sintetizzatori Dario Congedo - batteria Luca Aquino - tromba (special guest on tracks #2, 6)
Se il jazz è un qualcosa di difficile definizione, come affermò non troppo ironicamente
Louis Armstrong, queste parole trovano precisa corrispondenza in It Came To Broadcast
The Yucatan, album d'esordio di
Niccolò Faraci,
ispirato, racconta l'autore, ad un suo bizzarro sogno sullo Yucatan, sospeso fra
presente e passato. E la stessa sospensione la si ritrova in questo jazz che agogna
l'altrove, in bilico tra avanguardia storica e sperimentazione musicale, che emerge
in particolare nell'uso discreto del sintetizzatore, che dona ai brani un affascinante
effetto di straniamento, con richiami alla psichedelia anglosassone.
A conferire una non comune personalità all'album, la presenza di Achille Succi,
epigono di Eric Dolphy al flauto e al clarinetto basso, due strumenti tipici del
jazz d'avanguardia, lontano dall'aggressività dell'hard bop. E le partiture modali
seguite da Succi ripercorrono questa linea lungo tutto il corso dell'album. A questo
impianto di avanguardia storica, l'arrangiamento di Faraci affianca coinvolgenti
variazioni contemporanee, con sconfinamenti nella dance "tattile" (mutuata dal
free), che attribuisce all'album una piacevole sonorità che ricorda i club
newyorkesi degli anni Settanta e Ottanta.
Al pari di Dolphy, Succi eccelle come sideman di Faraci, nel sostenere l'architettura
dei singoli brani, ognuno dei quali ricorda concettualmente le ardite soluzioni
di Frank Lloyd Wright e Frank Gehry messe insieme, tanto per dare l'idea della contaminazione
presente nell'album, e dell'equilibrio fra suoni contemporanei e tradizione colta.
La batteria di Congedo si muove con energia fra percussioni, rullante e tom tom,
bilanciando con la sua concretezza le atmosfere rarefatte del clarinetto. Il quale,
da parte sua, dialoga sovente con il pianoforte di Paesani, che spazia sulla tastiera
con la facilità di chi sembra improvvisare, e invece ha lungamente meditata la nota
giusta. La tromba di Luca Aquino, dosata con parsimonia in soli due brani,
riporta indietro agli anni di
Chet Baker,
con virtuosismi mai troppo appariscenti eppure di grande impatto. Suggestivo anche
il titolo, che sembra scaturire dalla poesia della Beat Generation, con quel suo
sottendere una tecnologia dai poteri soprannaturali.
Cos'è il jazz? Improvvisazione, straniamento, riflessione, ricerca di sé stessi
e dei propri sogni, coraggio, ironia. E molto altro ancora.
Niccolò Lucarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 25/10/2015
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