Per un animo incline a disegni agili ed eloquenti in nome di una fantasia
cangiante ed inquieta la coerenza stilistica non può che essere un fatto del tutto
originale. Livio Minafra ha maturato l'abilità ad imprimere andamenti sorprendenti
alle proprie composizioni, con la naturalezza propria di chi al talento ha unito
la lucida – e febbrile – visione di ciò che si agita intorno al proprio mondo. Come
rileva
Giorgio Gaslini nelle linear notes: «Eseguiti
con un pianismo impetuoso, gli undici suoi brani lasciano percepire, all'interno
di solide e volitive strutture formali, gli echi diversamente sfumati di riferimenti
alle sue frequentazioni e ascendenze: i modi ritmici e "pazzerelli" dei comici
del cinema muto (Buster Keaton, Ridolini), i suoni della natura che generano accordi
consonanti e naturali, il moto perpetuo alla Paganini, la nota ribattuta come in
una celebre pagina chopiniana, le armonie lasciate risuonare con il gusto impressionistico
alla Debussy, certe linee veloci e circolari care a Rimsky Korsakov e al suo
celebre calabrone volante, e ancora le debussyane "scene infantili", certi
"ostinati" delle danze ungheresi di lisztiana memoria, e qualche sprazzo di filastrocca
popolare subito smentito da robuste frasi iterate alla maniera del "riff"
jazzistico".Livio vive di un'estetica non di "musica assoluta", ma nei meridiani
di coscienza che privilegiano l'intenso e travagliato indagare nel sentimento:
questo l'intuibile contenuto del suo "suono".»
Ciò, ovviamente, non impedisce la tentazione di volgersi verso forme costruite
essenzialmente su materiali sonori, in cui l'espressione ne diviene proprietà immanente
e non elemento aggiuntivo, in cui l'idea non si confonde mai con la sua essenza.
Parlare, suonare di se stessi, come Marcello Abbado
sottolinea nelle note: «"La Fiamma e il Cristallo"
di Livio Minafra è un'autobiografia del compositore pianista. Con i suoi undici
pannelli è un sottinteso omaggio agli "Undici pezzi infantili" di Alfredo Casella",
evidenziando le non comuni doti del giovane artista: "Nei secoli abbiamo avuto numerosi
compositori pianisti: Clementi, Mozart, Beethoven, Schumann, Chopin, Liszt,
Brahms, Rachmaninov, Scriabin, Bartòk, Prokofiev. Il più recente è il giovane Livio
Minafra.»
Le componenti "accademiche" vengono frammentate, scomposte alla luce di una sintassi
– come detto – rigorosamente personale e tutt'altro che intellettualistica, vivace
e fervida dal lato inventivo, autonoma nella scelta della scrittura di forme fortemente
legate alla contemporaneità ed alla proporzione del buon gusto, mosse (talora agitate,
direi) da una dinamica ispirata ad un'assoluta libertà di scelta rispetto al principio
di variazione e di elaborazione tematica; eccone, appunto, la contemporaneità, nei
toni intimi ed in quelli furenti, come già nel lavoro precedente, "La
dolcezza del grido", intenso, fluido e brillante esordio discografico.
Ecco, dunque, i tanti attimi che felicemente sfuggono allo stimolo della
"poesia pura". Ed in questo, appunto, coerente è il titolo: "fiamma" e "cristallo",
dove l'idioma armonico prorompe in nuances originali, oniriche, orfiche,
delineando temi aperti, immediati, "autobiografici" si sarebbe tentati di affermare,
sentiti di urgente attualità ed esposti secondo una crescente maturità esecutiva,
abile a trovare il trait d'union fra impressionismo lirico e veemenza espressionista,
fra la poliedricità visionaria ed il frammentismo, fra la tacita eccentricità di
chi non vuole più maestri e l'anticonformismo di chi li ha già dentro sé.
Dietro, e sopra il tutto, una sensibilità profonda e immaginifica di uomo moderno;
e di uomo, soprattutto.
Ne parliamo con Livio:
Improvvisare…
L'improvvisazione è una di quelle parole che oggigiorno non son capite. Un po' come
quando ad un contadino parli delle agricolture naturali e lui ti dice: "ma io
ci ho provato una volta… ho lasciato tutto incolto per un anno, senza potare e arare,
senza fitofarmaci e pesticidi perché anch'io credo nella natura, ma è diventata
una giungla, in più la frutta era da buttare, piena di vermi..". Oggi si pensa
che l'improvvisazione sia conoscere bene le scale, i modi, questo o quell'artista.
Oppure emulare bene questo o quell'artista. C'è un concetto di improvvisazione molto
legato all'emulazione e poco alla espressione della propria individuale personalità.
Quella individuale personalità che è fantasia e coraggio di essere, ma anche una
infanzia giusta che non ti inibisca nella capacità in ogni luogo di dir la tua,
a modo tuo. Per cui improvvisare diventa riprodurre, generalmente. Senza scoperta
più...Solo abilità e giochi di prestigio rispetto ad artisti che hanno già detto
la loro, anche molto tempo fa. Magari uno ci aggiunge un po' di stile suo pure,
e fa un passo avanti, ma rimane lontano dall'improvvisazione, secondo me.
Questo perché l'improvvisazione è un cosa come l'acqua: serve tutti i giorni, fa
bene, la bevi sempre qua e là nella giornata e fa parte del tuo corpo, anzi, lo
compone! L'improvvisazione non è soltanto sedersi al piano, ma è soprattutto vita
reale, incontro, scontro, dove uno dice la sua, inventa soluzioni, si meraviglia,
spera, si espone, annusa, osserva, ama, odia, desidera, s'incuriosisce, rischia.
Chi fa così improvvisa bene, o potrebbe improvvisare bene se potesse o sapesse suonare.
Ecco perché l'improvvisazione è legata all'imprevedibile e molto anche al free..
perché quando i bambini suonano il piano fanno free. Cos'è il free?
Cercare, cercarsi e poi costruire all'impronta col primo frammento congeniale. Ovviamente
improvvisare non è per forza inventare, o non sempre, o forse, mai. Perché l'improvvisazione
è dire la tua a modo tuo, in maniera tale che uno senza sapere, ti riconosca. Allora
uno sa improvvisare. Allora sei qualcuno.
Inoltre dietro l'improvvisazione non c'è studio, piuttosto applicazione appassionata
e molto gioco (o pianto-solitudine). In più l'improvvisazione è molto meno improvvisazione
di ciò che si pensi. Nel senso che improvvisare uno standard è fare un gioco di
prestigio bene, magari anche con personalità, ma improvvisare partendo da caos ti
dà la possibilità di modellare la tua argilla e approdare quando meno te l'aspetti
a tue interpretazioni/giochi coscienti/incoscienti di qualcosa che t'ha colpito
e lo sai/o non lo sai. Significa mettere tutto, esser nudi. Come i bimbi che non
sanno dov'è il do sulla tastiera del piano…
Improvvisa anche il sole la mattina. Eppure si può dire che sia un'azione abitudinaria
quella del sole? Chissà, penso di no perché ogni giorno è diverso il cielo e lui
(potessimo osservarlo più spesso). Questo è improvvisare. Un modus vivendi
così in contrasto che coerente.
Il jazz l'ha reintrodotto nel ‘900. Chapeau! Ma tutte le musiche lo stanno
ripristinando. C'è però la tendenza di pensare all'improvvisazione come a qualcosa
da studiare anziché ricercare. Sì, ricercare. Perché lo stile non lo fa soltanto
il contesto in cui si suona, non lo fa lo stile dell'autore che stiamo suonando,
e nemmeno le codificazioni teoriche. Lo stile lo si inventa mettendo le proprie
esperienze dentro (in particolare se provenienti da situazioni contrastanti), e
ogni sfumatura di sé. In particolare quelle che non vorremmo mettere, che sono più
intime, o che ci rendono vulnerabili.
Quali consideri i tuoi punti di riferimento nell'àmbito
della musica novecentesca?
Sono molti. Cronologicamente cominciamo con la tradizione della musica classica
a cavallo col Novecento: Debussy, Ravel. L'impressionismo francese è per
me uno dei momenti più alti della musica in senso estetico ed evocativo. Di seguito
Bela Bartòk, che ha saputo coniugare tradizione popolare e architettura classica.
Poi ci aggiungerei Scott Joplin, che diceva che avrebbe cambiato la musica
e l'hanno rimbambito con le scosse elettriche perché lo credevano fuori di testa.
Proseguendo collocherei Strawinsky. Vero ombelico del Novecento. Un pazzo.
Un geometra. Un visionario. E quindi Varèse e Ives con le loro musiche
inquietanti e disperate ma pregne di essere umano al limite della pazzia. E ancora
Duke Ellington e le sue big band machines. E poi Cecil Taylor,
architetto dei suoni del Big Bang. Miles Davis e Gil Evans
e i loro colori ocra-arancio. John Cage e le sue rievoluzioni. Mingus,
l'animale del jazz. Nino Rota e le sue melodie che fanno un'epoca. In ultimo
certo rock progressive, Sergej Kuryokhin (un pianista russo ancora
non conosciuto) e Antonello Salis, il vulcano.
Quali prospettive per le blue notes?
E' una bella domanda. Il punto è che c'è chi con tanto amore perpetua la tradizione
studiando ogni particolare dei musicisti jazz del passato e chi invece la porta
avanti mettendoci del suo. Fermo restando che la conservazione ha il suo fascino,
non vorrei che il jazz diventasse come la musica classica, ovvero una musica da
eseguire ed esibire. Credo che il jazz invece dia ancora la possibilità di esplorare,
anzi! Le blue notes sono quelle note che si son discostate dalla scala
maggiore tradizionale, quelle note che hanno connotato un linguaggio – quello jazz,
per l'appunto. Oggi invece esistono le note a colori, cioè dei popoli che si intrecciano
e si fondono. Credo che nell'anima le blue notes esistano ancora, ma hanno
incontrato altri colori, proprio in virtù del fatto che il jazz più d'ogni altro
linguaggio sa fondere chiunque e qualunque altra musica e/o cultura.
Novità e tradizione in Livio Minafra….
Non c'è niente di più bello che la fantasia. In particolare se non è la fantasia
dei sogni nel cassetto ma è quella dei lenti ma profondi cambiamenti. Credo che
oggi non esista più la musica, e né le musiche e neppure i generi o gli stili. Oggi
esistono le persone e per distinguersi la gente ha bisogno che la musica sia autobiografica.
La gente ha bisogna che l'artista sia totale con la sua personalità artistica ed
umana. Perciò in un mondo omologato, chi riesce a distinguersi sia inventando che
anche raccontando qualcosa che esiste a modo suo, può far strada per via della sua
stranezza. E non è vero che la gente non ama le stranezze. La gente non ama le stranezze
se chi le fa non ne è convinto. Io son convinto!
Il tuo modo d'intendere la composizione appare di senso
nuovo: dov'è l'anima che crea e quella che razionalizza?
Intanto grazie! Incontrando Azio Corghi in ottobre egli mi ha detto che ho
una fantasia superiore alla sua paragonato alla età che ho rispetto a quando lui
aveva la mia età. Mi ha detto che il contesto in cui ho vissuto ha favorito la mia
fantasia non mettendole tappi o non provocandogli traumi e che il fatto che non
ho mai studiato composizione (pianoforte classico invece sì) non mi ha riempito
di regole che possono soffocare la fantasia, anziché aiutarla. Infatti mi ha detto
che ora posso studiare composizione senza problemi!
La realtà è che tutti nasciamo con fantasia e dono della creatività. Purtroppo una
cattiva infanzia, un difficile contesto e traumi la possono demolire. Chi resiste
o chi la difende, invece, quando diventa grande ha una marcia in più. L'anima che
crea è questa, dentro di me. E' l'anima che gioca. L'anima che razionalizza al contrario,
almeno nel mio caso, fa da assistente nel fornire strumenti e soluzioni pratiche.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
liner notes
by Marcello Abbado
liner notes
by Giorgio Gaslini
liner notes
by Fabrizio Ciccarelli
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 16/11/2008
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