Intervista a
Stefano "Cocco" Cantini
di Alceste Ayroldi
Stefano "Cocco" Cantini,
un artista a 360°. Un musicista politicamente corretto, con cui poter discorrere
di cultura e non solo, con estrema franchezza. Un profondo conoscitore dei
fiati. Ed i suoi hanno suonato per gente del calibro di
Michel
Petrucciani,
Chet Baker,
Billy Cobham, ma anche per Phil Collins, Ray Charles. Una personalità
policroma che attraversa con nonchalance ogni forma d'arte.
A.A.: Nel tuo percorso
musicale ti sei misurato con generi differenti. Quali sono stati i tuoi modelli
di riferimento?
S.C.:
Ho amato infinitamente
Coltrane
come i Beatles,
Sonny Rollins
e i Blood Sweet and Tears,anche se fin da piccolo
A Love Supreme
aveva aperto una porta non più artisticamente chiudibile.
A.A.:
Ray Charles, Phil Collins (solo per fare due nomi…)
Michel
Petrucciani,
Chet Baker
(tra i tantissimi): quali differenze hai riscontrato tra i due universi musicali?
S.C.: Nessuna! Ognuno
di loro a suo modo aveva un grandissimo spessore e solo lavorandoci insieme riesci
a coglierlo, quel carisma insito nell'artista vero, al di là del genere musicale.
A.A.: Hai inciso numerose
colonne sonore di film. Cosa cambia a livello compositivo tra una colonna sonora
ed un lavoro libero?
S.C.: La colonna
sonora è una cosa molto diversa da creare un progetto originale che abbia un senso
e che valga la pena produrre, perché la musica che vai a comporre comunque sarà
in qualche modo influenzata dalle immagini mentre mi auguro sempre che sia la mia
musica a creare sogni e immagini a chi l'ascolta e magari sempre diverse!
A.A.: Hai dedicato
Niccolina al Mare
(Ed. Materiali Sonori 2001) a
Michel
Petrucciani. Hai detto: "Dedico questo mio disco a Michel. Farlo è stato
un bisogno per tutto quello che suonare con lui mi ha dato". Cosa ti ha dato Michel?
S.C.: Michel è stato
nella mia vita una meteora pazzesca perché da quel momento ho capito che tra me
e la musica non poteva esistere più nessun ostacolo, non a caso le mie produzioni
hanno preso un accelerata da allora. La sua stima musicale ed umana nei miei confronti
è stata una delle più belle cose che mi siano capitate.
A.A.: Hai una visione
"cosmica" della musica che riesci a trasmettere anche attraverso il suono dei tuoi
sassofoni. Quanto è cambiato, nel corso del tempo, il tuo concetto di musica?
S.C.: E' cambiata moltissimo nel tempo, anche se certi modi di porsi
nei confronti dell'improvvisazione ad esempio facciano parte del DNA di ognuno.
Quando ero ragazzo ero molto irruente e prolisso, adesso lo sono quando serve. Essere
anche melodico ritengo sia la cosa più difficile perché non ti puoi nascondere dietro
frasi fatte. Down Beat mi fece un grande complimento quando sostenne che
i miei assoli erano pieni di "melodie mai scontate".
A.A.:
Hai chiamato una tua figlia Naima: c'è qualche collegamento con
Coltrane?
S.C.: Naima non
era l'unico nome che mi piaceva e anzi mi sembrava anche una certa cosa metterlo
a mia figlia, ma quando mia moglie andò all'ospedale e in camera con lei c'era una
ragazza che stava per partorire di nome Naima...
A.A.: Il tuo ultimo lavoro,
L'Amico del Vento
(Egea records) è un disco senza tempo,
ha delle tinte "vintage". E' un progetto che maturavi da tempo, oppure è nato, diciamo,
all'improvviso?
S.C.:
L'Amico del Vento
è uno di quei dischi con i quali ogni artista si deve confrontare prima o poi. Dico
questo perché l'ho vissuto come un'esigenza, un momento del mio percorso artistico.
L'amore per la melodia e per i nostri grandi autori del '900 ha lasciato un segno
forte nel mio modo di esprimermi, ricordo da piccolo con quanto interesse ascoltavo
Mascagni e Puccini. E' come se questo disco finalmente avesse buttato
giù dentro di me tutte le palizzate che gli altri hanno sempre eretto tra il Jazz
e la musica Classica. La più grande idiozia musicale dell'altro secolo.
A.A.:
E' un lavoro drumless. Perché questa scelta?
S.C.: Non è che io non ami la batteria anzi, ma in questo lavoro mi
è sembrato utile non metterla per migliorare gli spazi sonori che altrimenti si
sarebbero persi e per apprezzare di più e meglio gli archi che soffrono molto la
pressione sonora.
A.A.: Stefano, chi è
L'Amico del Vento?
S.C.:
L'Amico del Vento
è Marco il mio più caro e insostituibile amico. L'unico con il quale riuscivo
a parlare di musica a livelli assoluti senza che lui ne sapesse nulla.
A.A.: Il booklet, dopo
la dedica, si apre con un'epigrafe di Pessoa: "L'arte è la dimostrazione
che la vita non basta". Cos'è l'arte per te? Forse già vivere è un'arte…
S.C.: Nella mia
vita mi rendo conto che a 49 anni (ancora per poco) ho fatto tanto, ho avuto gioie
e dolori, molte esperienze che forse sono privilegio di pochi e quindi sono relativamente
appagato, ma non dal un punto di vista artistico, in questo senso mi sento sfuggire
il tempo e mi rendo conto che la mia vita non mi basterà. Più che essere artisti
bisogna essere un po' folli per vivere serenamente, ma soprattutto ciechi. Per me
l'arte è un mezzo dell'espressione umana, il più profondo e vero.
A.A.: Hai dedicato un
brano a
Luca Flores…
S.C.: Si ho dedicato
un brano a
Luca. E' sempre nei miei pensieri. Grande artista, grandissimo.
Proprio in questi giorni ascoltavo vecchie registrazioni fatte a Firenze in vari
club con il mio mitico gruppo che si chiamava Giochi Proibiti con
Pareti,
Piero Borri alla batteria e Riccardo Bianchi alla chitarra. Un gruppo
stratosferico per quel periodo e non solo, pieno di creatività dove
Luca
si inseriva con una classe limpida che solo i grandi hanno. Anche se suonava con
un verticale scordato avevi sempre la sensazione che suonasse uno Steinway. Per
me è stato un maestro. Un grande artista, il primo che mi ha fatto capire quanta
e quale strada dovevo ancora percorrere.
A.A.: Hai un linguaggio
ed un timbro immediatamente distinguibili. Come sei arrivato a costruirli?
S.C.: Il suono del
proprio strumento è una delle cose più importanti alle quali ogni musicista deve
porre l'attenzione. E' quella cosa che ti distingue subito e ti identifica. L'errore
nel quale si incappa però facilmente è quello di non prendere in considerazione
altri aspetti che tecnicamente danno l'effetto di un gran suono. Il vibrato, l'intonazione
e il "time". Vorrei ricordare che
Coltrane
aveva un vibrato da brividi e un time pazzesco anche nelle ballads. E' il peso che
riesci a dare alla nota quello che la fa diventare bella.
A.A.: A cosa dai maggiore
importanza durante le esecuzioni?
S.C.: La maggior
importanza la deve avere la musica nel suo insieme e non il singolo solista, nel
trio che ho insieme a
Antonello
Salis e
Pareti
funziona esattamente così, soli con tanto interplay o niente.
A.A.:
Da cosa traggono ispirazione le tue composizioni?
S.C.: E' difficile dire quale sia la ragione perché un giorno ti metti
al pianoforte e magicamente viene tutto da se, mentre altri giorni è meglio andare
al mare tanto sarebbe tempo perso. Di sicuro per me il mare è una bella fonte.
Rossini a chi gli chiedeva del perché non scrivesse più rispose: finchè la
musica veniva da me non facevo altro che trascriverla, quando sono andato io a cercarla
non l'ho più trovata.
A.A.: Con chi ti piacerebbe
(o ti sarebbe piaciuto) collaborare?
S.C.: Esagero!! Miles!!!
A.A.: Come vedi la condizione
dei giovani che si avvicinano al jazz, possono – o potranno – trovare un adeguato
spazio?
S.C.: La mia esperienza all'estero mi dice che in Italia ci sono molti
musicisti di valore, più che in Francia per esempio, solo che da loro l'artista
è un artista. In Italia siamo messi malissimo lavorano in pochi (io sono un privilegiato).
Dovremmo cambiare un po' di cose e i nostri politici dovrebbero rendersene conto.
Favorire ad esempio tutti i locali e associazioni che fanno Jazz con veri sgravi
fiscali perché è difficile per un locale fare musica oggi.
A.A.: Hai svolto anche
incarichi istituzionali. Se avessi la possibilità politico-governativa, cosa faresti
per migliorare la condizione dei musicisti in Italia?
S.C.: Ho già un
po' risposto a questa domanda indirettamente. Di sicuro tanto c'è da fare. Un musicista
in genere è in questa società un emarginato e appena sta un po' meglio gli fanno
aprire la partita IVA e così lo uccidono definitivamente. Niente diritti, niente
da scaricare se non gli strumenti personali, niente pensione etc…Come ho detto prima
detasserei chi fa cultura vera, non cazzate varie, perché oggi si confonde tutto,
valore e stupidaggini. Ammazzerei fiscalmente chi suona con le basi dando così modo
alle orchestre di rivivere e di conseguenza far vivere molti musicisti. Naturalmente
sposterei i bilanci verso l'arte in genere ricordando però che con la paga di un
direttore di orchestra famoso o di un regista ci si paga l'intera orchestra per
mesi. Basta con i grandi eventi che muoiono dopo 2 ore. Che palle!!
A.A.: Quanto incide,
nella tua vita lavorativa, l'attività didattica?
S.C.: L'attività didattica nella mia città è un dovere per me. Quando
ero piccolo nessuno sapeva niente di Jazz, accordi, scale nessuno sapeva dirti qualcosa.
Per questo mi metto a disposizione un giorno alla settimana, per sempre. Quando
sono stato amministratore al comune di Follonica la prima cosa che ho istituito
è stata la scuola di musica, che oggi vanta 250 iscritti. Il futuro è roseo anche
perché adesso al conservatorio si accede a 19 anni con la maturità per cui le scuole
comunali rivestiranno un ruolo importantissimo.
A.A.: Sei il direttore
artistico del Grey Cat, festival jazz in Maremma. Come è nato questo progetto? E
quali obiettivi ti poni?
S.C.: Il Grey Cat è il festival Jazz della provincia di Grosseto,
a questo progetto aderiscono da quest'anno anche alcuni comuni della provincia di
Livorno. Nato 25 anni fa si prefigge di mantenere vivo l'interesse per la musica
più bella del mondo come direbbe il mio allievo Andrea che quando viene a lezione
dopo un po' si toglie il sax dal collo e mi costringe a suonare per mezz'ora. Grande
attenzione da parte mia c'è ai progetti Italiani. Parlare di alcuni progetti e non
di altri non voglio farlo per rispetto, ma in Italia ci sono i migliori musicisti
d'Europa, questo è certo.
A.A.:
Puoi darci qualche anticipazione sull'edizione 2006?
S.C.: Per il 2006 ancora devo
valutare alcune proposte interessanti ma dato che il festival è d'agosto è difficile
adesso prevederne gli eventi. Probabile
Rita Marcotulli
con Peter Erskine e Palle Danielson. La differenza tra l'Europa e
l'America in genere credo che sia la melodia, lo spessore della melodia. Questa
è una cosa che ci invidiano tutti e di cui noi spesso ci vergogniamo.
A.A.: Cosa c'è scritto
nell'agenda degli impegni futuri di
Stefano Cocco Cantini?
S.C.: I miei impegni futuri sono la promozione dell'Amico
Del Vento e un altro disco che sta per uscire sempre per l'EGEA
con Lello
Pareti leader,
Antonello
Salis,
Bebo Ferra e
Stefano
Bollani. Poi penserò a scrivere, scrivere, scrivere. Mi sto dedicando
anche a progetti teatrali. Con Akram Telawe un regista palestinese con il
quale abbiamo messo su uno spettacolo che si chiama "Ostaggi di pace" un
mix di musica e tensione spettacolare. Un altro con una bravissima ballerina,
Irene Stracciati e un attrice, insomma, tante sono le cose da fare.
A.A.: E quali impegni
vorresti appuntare?
S.C.: Un bel disco con
Stefano
Bollani che non ride!! Scherzo!! Stefano è un grandissimo musicista
con un anima gentile e positiva.
A.A.: Con quale brano
concluderesti questa intervista?
S.C.:
My favorite things…
A.A.: Grazie Stefano, con
il cuore, veramente. A proposito: perché "Cocco"?
S.C.: Il mio soprannome viene da lontano, quando ero bambino. In maremma
tutti avevano un soprannome. A mio padre i fascisti gli misero il nome Ausilio perché
il suo che era "Libero" non andava bene (forse perché la pensava diversamente).
E allora tutti in quel periodo lo chiamavano Tiburio che somigliava ai nomi dei
vecchi briganti maremmani. Il mio molto più semplicemente perché adoravo i gelati
dove c'era Cocco Bill personaggio di Jacovitti.
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Data pubblicazione: 23/04/2006
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