Ai confini tra Sardegna e Jazz, XVIIa
edizione
Sant'Anna Arresi (CA), 19/25 agosto 2002
testo e foto di Gianmichele
Taormina
Memore
di un'indimenticabile programma comprendente l'onnipresente Pat Metheny -
istrionico protagonista della passata edizione - il cartellone numero 17 di Sant'Anna
Arresi, ha incentrato quest'anno il suo polo attrattivo sull'arte eclettica e mirabolante
di un personaggio come Mal Waldron. Il grande pianista newyorkese, protagonista
di storiche performance ed incisioni capitali per la storia del jazz di tutti i
tempi (basti ricordare quelle con Billie Holiday, John Coltrane, Eric Dolphy e poi
ancora assieme a Charles Mingus, Max Roach e Steve Lacy), ha catalizzato com'era
prevedibile, l'affetto e l'attenzione dei tanti afficionados accorsi entusiasti
in Piazza del Nuraghe. Ad una settimana dall'aver spento le settantasei candeline,
Waldron ha portato a Sant'Anna una ventata di splendido jazz, navigando tra commoventi
ricordi del passato e spumeggianti slanci proiettati nel linguaggio moderno.
Questo
ad esempio, è stato il caso del bel concerto d'apertura, eseguito in duo con l'amico
Dave Murray, sassofonista dalla propulsione sempre energica e propositiva.
I due sembravano muoversi in perfetta simbiosi di stati d'animo costruiti spesso
su irraggiungibili stratosfere, pur comunque riservando - soprattutto nella consueta
funzione ritmicamente circolare affidata al buon al vecchio maestro - un'impalpabile
tensione rivolta alla melodia e all'uniformità. Vagante dentro climi sostanzialmente
placidi ma ugualmente affascinanti di una loro naturale bellezza, l'altro duo instaurato
con la più giovane collega Geri Allen, svettava soffusamente anche in ambiti
meno compositi come l'ipnotica danza modale improvvisata in apertura. Il resto della
musica si elevava docilmente su argomentazioni care al carismatico compositore di
Soul Eyes, senza nulla togliere all'urgente carica magmatica della più impulsiva
Allen. Temi come No More Tears, la stessa incantevole Soul Eyes
e The Seagulls of Kristiansund stanno lì a dimostrarlo ampiamente. Di diverso
spessore emotivo l'azione inscenata dal quartetto di Waldron con l'inossidabile
John Betsch alla batteria, Arjgn Gorter al contrabbasso e un lirico,
anche se talvolta ammiccante, altosassofonista Sean Bergin.
Dimensione
fatta di poetiche folgorazioni e spettacolare apoteosi è stata diversamente quella
dell'altro quartetto ospite in cartellone, guidato dal poliedrico David S. Ware.
Il sassofonista di Plainfield ha proposto la rivisitazione della Freedom Suite
composta da Sonny Rollins nel lontano 1958.
Spogliata dalla sua estrema valenza politica, la suite si è sviluppata su
tematiche di arguta quanto originalissima interpretazione. L'urlo di Ware non è
rabbia gratuita ma salda acquisizione di sofferenza, spiritualità protesa verso
l'infinito, catarsi creativa e libertà dagli schemi. Lasciando debitamente spazio
ai suoi fidatissimi compagni di viaggio, Ware ha così espresso i dettami del suo
inconfondibile verbo, fatto di mimesi con l'anima e la terra. Bellissima e profonda
la cavata del contrabbassista William Parker, geniale compositore
della nuova espressione metropolitana, irruenza e creatività nelle bacchette di
Guillermo E. Brown e infine spazialità e inventiva nelle apocalittiche visualizzazioni
di un pianista certamente non ipertecnico ma ugualmente incisivo, spettrale quanto
profetico come Matthew Shipp. Lo stesso Shipp aveva aperto quattro sere prima,
il bel prologo intitolato Soli (comprendente un solitario Ware in gran spolvero
e il solo più accademico, controllato, quasi autobiografico del pianista pugliese
Antonio Ciacca). Festeggiando i loro otto anni di attività gli
Aires Tango condivano il festival di un originale progetto intitolato proprio
come la loro ultima prova discografica, quell'Aniversario inciso con gli
arrangiamenti e la direzione di
Paolo
Silvestri alla guida dell'Orchestra Toscana in Jazz (ospiti di riguardo
gli ottimi Bosso e Succi),
la quale interagiva con i quattro musicisti romani in una girandola di suoni e melodie
prevalentemente sudamericane comprensivo di un lirismo intenso e talvolta riflessivo.
Altra orchestra con un omaggio a tema era quella messa appunto da
Maurizio Rolli, bassista assai
capace, debitore delle influenze ereditate da Jaco Pastorius. Moodswing,
il doversoso tributo all'arte del più geniale bassista elettrico degli anni Settanta/Ottanta
è stato impreziosito dalla presenza del sassofonista statunitense Bob Mintzer.
L'attuale leader dei Yellow Jackets eseguendo pezzi come Three Wiew of a Secret
o Teen Town degl'indimenticabili Weather Report, coronava una
scaletta divertente con l'occhio rivolto alla nostalgia di un recente passato.
Nell'ultima sera, orfana dell'assenza del trombonista Ray Anderson
- colpito negli affetti dalla tragica scomparsa della moglie solo tre giorni prima
- l'attenzione era puntata tutta su Mike Mainieri, ospite d'onore del quartetto
di Massimo Ferra, chitarrista dalla preparatissima tecnica strumentale e
compositore di pezzi autografi, all'interno dei quali il vibrafonista americano
si è scavato un ruolo di rilievo, interpretando il tutto con grande freschezza e
spumeggiante verve espressiva.
Gianmichele Taormina
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Data pubblicazione: 16/09/2002
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