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Pat Metheny
From This Place
Nonesuch Records (2020)
1. America Undefined
2. Wide and Far
3. You Are
4. Same River
5. Pathmaker
6. The Past in Us
7. Everything Explained
8. From This Place
9. Sixty-Six
10. Love May Take A while
Pat Metheny
- guitar
Gwilym Simcock - piano
Linda May Han Oh - bass
Antonio Sanchez - drums
Meshell Ndegeocello - bass, electric
Gregoire Maret - harmonica
Luis Conte - percussion
Hollywood Studio Symphony: band/orchestra.
Arr. Gil Goldsteins, Alan Broadband
Un nuovo gruppo per il sempreverde ed esplosivo chitarrista del Missouri. Metheny
ha rivoluzionato molti aspetti della musica jazz, trascinandone vari stilemi in
ambiti più world e, quindi, accessibili ad un pubblico più ampio. Tutto questo,
però, ha un nome ben preciso: Pat Metheny Group (aka PMG)
Dopo vari anni con formazioni ristrette e focalizzate al classico trio/quartetto
per chitarra e una riedizione del suo gruppo con alcuni innesti fortunati (come
quella del batterista Antonio Sanchez) e altri più saltuari (come il bassista
Richard Bona, il trombettista Cuong Vu, l'armonicista Gregoire
Maret….per menzionarne alcuni) che hanno di volta in volta cercato di far allontanare
le aspettative dell'ascoltatore da un sound a-la-PMG e portare le composizioni stesse
verso una dimensione nuova, eccolo dinanzi ad un tentativo, più che esperimento,
di appropriarsi definitivamente di quel marchio sonoro che ne ha contraddistinto
non solo la musica ma anche il chitarrismo. Qui Metheny è compositore unico e cerca
di immergersi in una visione della musica piena di orchestrazione ma, a parere di
chi scrive, un po' lontana dal risultato ottenuto, ad esempio, con quel capolavoro
di "Secret Story". Eppure anche in questo album c'è la "manina" di Gil Evans
negli arrangiamenti e i musicisti cercano di mettercela davvero tutta ma l'imprinting
che è rimasto e rimarrà anche per i posteri è quello creato con quel gran genio
di Lyle Mays, purtroppo recentemente mancato.
La suite di overture, "America undefined" insieme a brani come "Wide and Far" e
"Same River", percorre un po' tutto lo spettro sonoro possibile per cui il lato
metheniano del PMG è noto ai più e mostra senza dubbio la grandezza compositiva
di Metheny ma non trasmette, a parere di chi scrive, quell'ineguagliabile bellezza
ed eleganza, ritmica, stilistica, sonora, propri del PMG.
A parte questo inevitabile collegamento con aspetti del passato, fa enormemente
piacere risentire
Pat Metheny immerso in musiche di così ampio respiro nelle quali
la storia gli ha assegnato un posto di primissimo livello (oltre un bel po' di Grammy
Awards). E così, le dolci e delicate ballad "You Are","The Past in us" (con l'armonica
di Maret) e "Love May Take a While", suadente e pensierosa al tempo stesso, sviluppano
delle storie sottovoce, "Pathmaker"e "Everything explained" lasciano i freni inibitori
e conducono la band in ritmi dispari impeccabilmente amalgamati dalla maestria di
Antonio Sanchez e dalle percussioni di Luis Conte. Decisamente interessante
e inusuale la "song" che fornisce il titolo all'album con la voce di
Meshell Ndegeocello poggiata su un tappeto di archi che sembrano presi in prestito da una colonna sonora.
In conclusione un album che da un lato denota un ritorno dall'altro un tentativo
di andare avanti, sempre e comunque, come è consuetudine per questo grandissimo
artista che dedica sempre tutto se stesso alla musica e alle emozioni senza farsi
influenzare da mode del momento.
Marco Losavio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 07/06/2020
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