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 Intervista ad Antonio Calogero 
agosto 2008 
di Giuseppe Mavilla 
  
Sabato 2 agosto è tornato in provincia di Ragusa Antonio Calogero 
per l'unica serata attinente il jazz dell'edizione 2008 
del Festiva Note di Notte. Il musicista siciliano che già avevamo apprezzato in 
Danza Multietnica in duo con Paul McCandless nel Novembre del
2007 a Scicli, si è esibito questa volta con 
un quartetto composto da Michael Rosen, sax soprano e tenore, Andrea 
Piccioni, tamburi a cornice e Davide Bernaro percussioni etniche. Una 
conferma di quanto avevamo già apprezzato ed evidenziato nella precedente occasione 
ci è giunta anche da questo concerto denominato "La festa del vento" che ha avuto 
una location esclusiva: il porto turistico di Pozzallo in una serata infestata da 
un clima umido e soffocante.  
Il suo ritorno in terra Iblea ci ha dato l'opportunità di incontrarlo 
a fine concerto e di realizzare questa intervista:  
Vorrei iniziare chiedendoti un parere sulla location 
scelta da The Entertainer per questo tuo concerto appena concluso? 
 
  In definitiva non mi dispiace mai quando si fanno scelte 
come quella di stasera, ovvero quando si scelgono posti inconsueti e questo perché 
altrimenti si finisce a suonare sempre negli stessi posti. Inoltre mi sembra che 
la risposta del pubblico sia stata positiva anche stasera per cui do un buon giudizio 
della scelta, anche se ho avuto qualche problema prima del concerto in quanto non 
ho potuto trovare un posto dove suonare da solo, così come faccio prima di ogni 
mia esibizione. Nei locali interni che ci hanno messo a disposizione c'era troppo 
caldo e fuori naturalmente non potevo farlo perché non c'era uno spazio riservato 
o comunque adatto alle esigenze del caso.
 Quasi 
sempre quando si scrive o si parla della tua musica si tira in ballo la world music, 
del cui termine si fa oggi un grande abuso. Vuoi dare una tua definizione di questa 
musica? 
Vedi il termine world music è stato da sempre usato per definire una musica proveniente 
da una determinata parte del mondo. Ultimamente, invece, è diventato l'appellativo 
incondizionato per definire qualsiasi espressione musicale altrimenti indefinibile. 
L'altro significato che, secondo me, si potrebbe dare al termine world music - quando 
non ci troviamo di fronte ad un'espressione musicale strettamente connessa alla 
cultura di un ben specificato paese - è quella di una musica che, filtrata attraverso 
la sensibilità del compositore, ingloba influenze che vengono, non dico da ogni 
parte del mondo, ma da tutte quelle che il musicista ha in qualche modo assimilato 
in trenta anni di studio. 
…ed è quello che fai tu! 
Sì, è il mio modo di fare musica ed è anche quello di gruppi come gli Oregon 
o di artisti come 
Pat Metheny e di qualcun altro. Ma non ce ne sono molti. 
...tu però lo fai con molta delicatezza e senza fragori 
o esagerazioni… 
 La 
cosa più difficile è trovare il filo conduttore perché o tu rischi di fare un pezzo 
che suona troppo come quello di un altro paese, oppure un pezzo che salta di palo 
in frasca, che inizia con quattro accordi blues e poi si dipana attraverso un ritmo 
brasiliano. Invece no, io mi faccio guidare da un'idea ritmica, da una melodia e 
poi l'armonizzo con la mia conoscenza armonica e quindi anche se, ad esempio, c'è 
un tema dal sapore medio-orientale, non è mai modale come di solito è questo tipo 
di musica. E' invece armonizzato con criteri più o meno jazzistici. 
Tu sei molto noto in America e il "Los Angeles Times" 
ti ha definito "un pittore di suoni profondamente evocativi". Sei d'accordo? 
Sì sono d'accordo, in effetti hanno scritto che nella mia musica ci sono influenze 
di tango, di world music, di musica cubana e il termine pittore è usato in questo 
senso perché in realtà io prendo i colori della musica di tutti questi paesi, e 
ripeto, li filtro attraverso la mia sensibilità e la mia tecnica compositiva per 
mettere su questi brani. 
A questo punto vogliamo trovare una definizione più 
precisa del tuo linguaggio? 
Direi che il mio è ancora un linguaggio classico, le mie composizioni sono ancora 
strutturate allo stesso modo di una composizione non dico sinfonica, ma certamente 
classica. Per me è un linguaggio moderno, una musica moderna, non posso dire jazz, 
non posso dire classica. Dico che tenuto conto che ad un certo punto la musica classica 
era diventata dodecafonica, atonale e il jazz era diventato avanguardia, per me 
un modo di intendere la musica moderna è proprio questo e cioè un modo per fare 
musica veramente originale. E' un po' quello che ha fatto Piazzolla, un vero 
e proprio maestro. Lui è partito dal suo tango ma, ad un certo punto, del tango 
è rimasto ben poco e sono venute fuori delle composizioni assolutamente straordinarie 
che mantengono solo il pulsare del tango, neanche la forma. Quello è stato un modo 
di intendere la musica moderna. Stessa cosa hanno fatto Ralph Towner, 
Egberto Gismonti,
Pat Metheny,
Keith 
Jarrett a cui io mi sono sempre ispirato che per me sono sicuramente 
la vera musica contemporanea. In questo modo si è creativi non nell'inventare un 
nuovo linguaggio come avevano fatto nell'ordine Mozart, Beethoven,
Debussy, Ravel, Stravinsky, perché poi ad un certo punto in 
musica ormai si è inventato tutto. Invece bisogna essere creativi nel cercare di 
assimilare tutte le musiche del mondo. Se io ad esempio domani andassi a studiare 
la musica dell'India o se andassi a studiare la musica della selva amazzonica sicuramente 
ne ritornerei arricchito e qualche cosa a poco a poco ne verrebbe fuori, anche nella 
mia musica. 
Quindi non c'è molta improvvisazione nella tua musica? 
No, la mia musica è molto strutturata e poi ci sono degli spazi che rispetto 
a quando suono da solo sono ampliati per fare spazio all'improvvisazione. Però questo 
spazio non viene usato alla maniera del jazz, dove ognuno si ritaglia la parte come 
vuole, nella mia musica le parti sono determinate e a me servono per dare uno sviluppo 
alla melodia, per poi passare ad una sezione differente. Questo perché ogni pezzo, 
a volte, può avere quattro o cinque sezioni differenti come se fossero quattro o 
cinque pezzi in uno. Non amo insomma le improvvisazioni troppo lunghe perché a mio 
parere si perde la stesura del brano stesso. Ci sono comunque nel mio repertorio 
brani che hanno una struttura vicina a quella degli standard del jazz come Slow 
Jazz, che è una mia composizione originale e che stasera ho eseguito in duo 
con Michael Rosen. 
A proposito dei tuoi duetti ho notato che tu prediligi 
fortemente questa formula perché? 
Per me il duetto è una formula eccezionale perché le mie composizioni molte spesso 
nascono come composizioni per chitarra classica che io suono in maniera pianistica. 
Nel senso che quando suono la chitarra classica cambio cinque-sei tempi differenti: 
rubato, rallento, mi fermo, piano improvviso, tutta una serie di cose che fanno 
parte del mio bagaglio che ovviamente in una dimensione di quartetto non puoi fare. 
Nel duo se c'è affiatamento tra i due musicisti, come ad esempio con Paul McCandless 
con il quale abbiamo raggiunto un affiatamento tale che acceleriamo, ci rincorriamo, 
andiamo a tempo e c'è veramente questo sali e scendi musicale che va ovunque e non 
è affatto rigido. Comunque anche all'interno del gruppo frequentemente io inizio 
il brano per sola chitarra perché voglio suonare la melodia liberamente e poi dare 
spazio, quando entra il gruppo, ad un andamento diverso che può essere, ad esempio, 
quello di una ballata, di un ritmo brasiliano o di un ritmo cubano che farà sentire 
di più la parte ritmica.  
La formula del duetto si è espressa magnificamente nel 
brano "L'attacco Saraceno" con Andrea Piccioni alle percussioni…. 
Sì, è stato magnifico perché Andrea porta con sé questa sua grande esperienza 
in quanto ha suonato con gruppi di musica folk e di world music. E' molto preparato 
musicalmente e riesce ad entrare benissimo in un brano in cui ci sono vari movimenti 
interni che vanno al di là della semplice tarantella. 
Il tuo incontro con la musica? 
Ho iniziato a suonare a sedici anni ed ho sempre suonato sia la chitarra classica 
che la chitarra acustica, suonavo le canzoni dei cantautori italiani o la musica 
della west-coast: Joni Mitchell, James Taylor, Crosby,
Stills, Nash & Young, poi successivamente ho iniziato a suonare country-blues 
in un duo e in un gruppo a Messina, il tutto con la chitarra acustica. Nello stesso 
tempo studiavo chitarra classica e, più avanti, musica brasiliana, musica jazz, 
musica cubana, orientale e tanto altro perché si va sempre avanti e c'è sempre da 
imparare anche da tutti i musicisti con cui si suona.  
…e oggi cosa ascolti? 
Intanto ti dico subito che ascolto ogni genere di musica, i nomi sono quelli 
che ho citato prima ovvero: Ralph Towner, Egberto Gismonti,
Pat Metheny,
Keith 
Jarrett ai quali aggiungo gli Oregon e il sassofonista inglese
John Surman. 
Hai lavorato molto in America e meno in Italia! 
Io ho fatto un primo disco per sola chitarra acustica in Italia per la DDD all'interno 
di una collana diretta da Riccardo Zappa e poi ne ho fatto un altro in Germania 
con altri chitarristi. Adesso c'è un nuovo disco che si chiama 
Danza Multietnica, prodotto con Alex Grassi 
in California, è già tutto pronto c'è anche Paul McCandless in due brani 
e che verrà distribuito dalla rivista Suono il che consentirà, e questa è 
una grande opportunità, di reperire il disco in edicola per tre mesi, da Settembre 
a Dicembre prossimi.  
   
    
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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			Data pubblicazione: 10/11/2008
	  
 
 
 
	
  
	
		
		
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