Da quando Michael Brecker
è passato dalla Impulse alla Verve le sue uscite discografiche sembrano peggiorare a vista d'occhio e, ciò, nonostante risulti regolarmente accompagnato dal meglio, almeno a livello di nomi, che la nuova casa discografica possa rintracciare sul mercato.
La politica discografica seguita dalla Verve sembra ricordare in modo preoccupante quella del suo antico produttore/predecessore
Norman Granz, che dagli anni '50 fino ai '70, produsse dischi di mainstream
jazz, spesso in forma di routiniera jam session ma talvolta anche dai risultati brillanti, con i più validi jazzisti in circolazione e nelle più svariate combinazioni ed occasioni, senza un reale progetto artistico alle spalle.
Oggi a dire il vero i progetti, sulla carta, sembrano esistere, ma paiono talvolta forzati e un po' troppo confezionati a priori, più dalla casa discografica che dai musicisti stessi.
I risultati che ne conseguono sono spesso sciapi ed eccessivamente patinati, senza manifestare una vera ispirazione o motivazione di fondo.
Questo nuovo disco di Michael Brecker sembra purtroppo non sottrarsi a questa regola, fornendo un risultato tutto sommato
deludente rispetto alle aspettative. Già il precedente "Time is of the
essence" aveva lasciato poco il segno, pur mantenendo un certo vigore esecutivo, così consono allo stile esecutivo di Brecker, ma questo
"Nearness of you" risulta essere di una monotonia nelle atmosfere e nelle interpretazioni quasi sconcertante.
Si tratta di musica concepita più per non disturbare l'ascoltatore che per coinvolgerlo emotivamente, adatta forse più come sottofondo per una "pennichella" pomeridiana che per risvegliare emozioni interiori. Questo disco ha la vaga somiglianza del jazz, senza però esserlo veramente, poiché manca dei suoi ingredienti fondamentali e caratteristici: urgenza espressiva, creatività e vera ispirazione.
E' un tentativo abbastanza distorto di rendere fruibile ad un pubblico più vasto il jazz, depauperandolo però dei suoi requisiti fondamentali e irrinunciabili e fornendone un'immagine soffice ed edulcorata che in realtà non gli è mai storicamente appartenuta. A parità, c'è molta più arte, originalità e coerenza in esperienze più dichiaratamente commerciali come quelle del
Pat Metheny Group o in certe esperienze "fusion" degli Yellow Jackets
o degli Steps Ahead, ad esempio.
Quanto a Brecker e le ballad, non vi è mai stata vera affinità tra loro, specie quando interpretate nel mood soporifero proposto in questo disco, che in realtà non ha molti riscontri nella non vastissima discografia del tenorsassofonista. Niente a che vedere insomma con il meraviglioso
"My one and only
love" o lo splendido
"The cost of living" proposti nel suo primo disco da leader e forse anche il suo capolavoro assoluto:
"Michael Brecker" appunto, del 1987, che però lo vide al fianco di quel grandissimo musicista, pianista, compositore ed amico, che corrisponde al nome del compianto
Don Grolnick.
Il disco cerca di proporre un nuovo book di ballate, anche interessante, prese dal repertorio "metheniano", dal country modernizzato di
James Taylor, che partecipa come ospite all'incisione, associate a noti brani più tradizionali del passato, recente o remoto. In nessuna versione risalta alcuna interpretazione degna di nota, soprattutto considerando il valore dei musicisti che partecipano alla seduta d'incisione.
Un disco, in definitiva dal contributo trascurabile sia per lo stesso Brecker che per il panorama jazzistico odierno.
Riccardo Facchi - 20/08/2001
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Data pubblicazione: 21/08/2001
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