Nel maggio del 2004, prima di incidere
in studio un album di grande successo come "Day Trip" (Nonesuch
2008),
Pat Metheny
registrò dal vivo 5 brani a Tokyo assieme ad una ritmica eccellente band formata
dal bassista Christian McBride e dal batterista Antonio Sanchez: mixati
dal chitarrista stesso con uno dei suoi migliori partner di sempre, Steve Rodby,
vengono ora raccolti in questo EP.
Ognuno sa quanto egli abbia mostrato nel corso degli anni in tecnica e
scrittura musicale, alla ricerca di una purezza del suono che è riuscita ad imporre
la chitarra come strumento di riferimento nel composito panorama musicale degli
ultimi trenta anni, combinando colori e dinamica secondo un modo molto apprezzato
e richiesto, senz'altro originale nel dar luce ad un sound esibito in timbriche
leggere, in armonie sottili e delicate fra accordi che si muovono agilmente nelle
ottave, grazie ad un fraseggio incisivo e ricco d'idee, virtuosistico e attento
all'azione dei magneti ed alla filtratura degli effetti.
Con un certo stupore non del tutto inatteso dopo le perplessità relative
a "Speaking of Now" (Warner Bros. 2002)
e "The Way Up" (Nonesuch Records 2005),
nei 5 brani paiono prender vita suoni conosciuti, in qualche modo non inattesi ed
alquanto prevedibili, rincorrendo in modo forse eccessivo la ricerca della forma,
d'una connotazione che voglia essere ancora stilisticamente innovativa nell'ambito
di quei confini caduti fra le categorie dei generi, alla cui destrutturazione aveva
contribuito con sintesi stimolanti e progressive, soprattutto quando ad ispirarle
furono le soluzioni armoniche di una personalità creativa come quella di Lyle
Mays, uscita troppo presto dal grande proscenio internazionale.
Le nuances e l'architettura improvvisativa in verità sembrano fin troppo
orecchiabili, incastonate in schemi raffinati, in mélange stilistici fin troppo
studiati, che non conducono più a nuovi progetti né più traducono le scelte armoniche
in dimensioni originali, evocando semmai ipertecniche dimensionature romantiche
e meditative, come in "TromsØ" e "Inora".
Forse la ricerca è terminata, i sintetizzatori ed i computer sono diventati
parte essenziale e definitiva dell'evoluzione; le interfacce digitali, se hanno
aperto a Metheny il più ampio controllo dei suoni, a parere di chi scrive ne hanno
limitato la forza inventiva in una polifonia ed in una poliritmicità in definitiva
non di rado uguali a se stesse, accattivanti nella spettacolarità di un gesto in
realtà prevedibile e significativamente amato dallo show business.
Tutti ricordiamo i tormentati equilibri di "Shadows and Light", nei
quali egli emerse grazie all'eleganza ed alla sensibilità di Joni Mitchell;
hanno stupito le eccellenti e spregiudicate soluzioni vocalizzanti con Pedro
Aznar, i calcoli e gli ingegni (per merito vero o presunto) con Gary Burton,
con Mark Egan, con Steve Rodby, con Milton Nascimento, con
Toninho
Horta o addirittura con
Ornette
Coleman in un'apparentemente "scontroso e indigesto" "Song
X"; per queste doti e per l'innato eclettismo si disse che Miles Davis
lo volle come "spalla" nell'indimenticabile tour del 1991.
Al di là dell'ottima collaborazione con
Brad Mehldau,
ora però ci chiediamo dove sia finito "quel" Metheny… Non sappiamo dire quale
sia la via migliore da augurare al chitarrista americano, se un deciso ritorno al
jazz o se una più convinta sintesi fra rock, fusion, progressive e new age. Il problema
è che la traduzione in suono di umori, emozioni, culture diverse, pare sia caduta
nel prevedibile e che quell'immediatezza comunicativa che distinse album come "Offramp",
"First Circle", "Letter from home", "We live here" o "Secret
Story", sia stata superata da regole compositive talora "maestose" quanto deprivate
del lato più artistico.
Forse significativa in tal senso "The night becomes you": il percorso
emozionale e quello melodico declinano in istintività ed il suo talento indiscutibile
sembra finire in un impressionismo sfuggente, tutt'altro che fluido nell'esecuzione.
E se talora la sua indiscutibile versatilità rivive nei sussulti jazzistici di "Travelling
fast", esposti in modo impeccabile ma non del tutto coinvolgente, la sensazione
è comunque quella di trovarsi di fronte ad un'estetica di forte personalità, ad
una visione del colore strumentale senz'altro singolare ma pur sempre troppo attento
al bel disegno, all'ornamento, alla purezza stilistica ed alla tessitura di improvvisazioni
che paiono molto ben "scritte", ma solo "scritte".
Questa osservazione parrebbe essere messa in crisi dall'incipit di "Back
Arm & Blackcharge", acida escursione nei passi inebrianti e distonici delle
atmosfere già percorse da John Abercrombie, da Fred Frith, da Derek
Bailey, da
Bill Frisell, e soprattutto da Robert Fripp con i suoi "frippertronics".
Sarà un caso ma l'attuale progetto di Metheny ha nome "Orchestrionics",
a proposito del quale egli ha recentemente dichiarato: "è un vero salto verso nuovi
territori…una nuova direzione concettuale che fonde un'idea della fine del diciannovesimo
secolo con le tecnologie di oggi per creare una piattaforma illimitata per l'invenzione
musicale e la performance." In pratica, chitarra synth e tanti computers.
Se ne traggano le conclusioni. Resta senza dubbio la certezza che il chitarrista
americano troverà modo di stupire ancora; per ora resta un gradevole e tendenzialmente
malinconico atteggiamento, che si dice sia anche quello dell'uomo, denotato da una
naturale facilità comunicativa che oggi sembra essere il vero segreto del suo successo.
Per inciso la presentazione italiana dell'Orchestrion Tour avverrà
il 17 marzo all'Auditorium Parco della Musica di Roma, serata che aspettiamo con
grande curiosità ed una certa dose di sano ottimismo.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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COMMENTI | Inserito il 14/2/2010 alle 9.44.07 da "michelecamarca" Commento: Metheny ha dato tanto al jazz e alla chitarra in particolare. E' stato ed è un innovatore. Sarei cauto nel commentare l'attuale suo momento. E' un grande musicista e compositore che - sarà ormai anche un icona del jazz, spazierà tra vari generi - è sempre alla "ricerca", mai appagato. Non sono un suo fan sfegatato né un jazzofilo assoluto, ma mi bastano le poche note del brano "the night becomes you", che ci regala la Vs rubrica, per apprezzarlo per il suo poliedrico approccio musicale che nobilita la sei corde. Grazie a Ceccarelli e a Jazzitalia per le informazioni e gli stimoli sempre graditissimi. Michele Camarca | |
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Data pubblicazione: 13/02/2010
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