Pianista dall'indubbia consapevolezza tecnica,
Sebastian Schunke torna con "Back in New
York" alla formulazione di una musica dalla sfumata complessità armonica,
nella quale vengono sfiorati linguaggi plurimi e difformi (dal latin al
free, al contemporaneo), disegnando atmosfere dense di significati
ed effetti, in perfetta condivisione – come uso dell'artista – con gli eccellenti
membri della sua attuale band.
Spesso turbinii di onde sonore impongono soli di squisita verve,
glissati all'indefinitezza, alla perturbazione stessa del modo di concepire la composizione,
giocando sui raffinati registri del clarinetto di Paquito D'rivera,
sull'istintività, desiderata "selvaggia", dei toni medio acuti del pianoforte, sulla
rotondità cromatica dell'accompagnamento delle percussioni di Pernell Saturnino
e del contrabbasso di John Benitez, sull'accuratezza strutturale del
drumming di Antonio Sanchez, così come sulla pirotecnica multiforme,
impetuosa e riflessiva, talora acida, del chitarrista Anders Nilsson.
Le curvature compositive di Schunke prevedono un'ampia libertà
di movimento sonoro ove possano penetrare disegni essenziali, effetti lancinanti,
sinuosi squarci d'emozione, nell'intento di dar vita al proprio "modo" d'intendere
il pentagramma e l'improvvisazione.
L'afrocubano può divenire, allora, espressionismo, il caraibico
può sfumare in nuances in cui il senso del tempo ed il logico interesse per
l'evoluzione del sound testimoniano l'irrequieta sincerità di una sensibilità
proposta in modo innovativo nelle interpretazioni più "sentite" del pianista.
La formulazione del suo stile rimanda tanto alla passione viscerale per
Brahms e Debussy quanto al virtuosismo ed allo swing di un
jazz pensoso, antiaccademico e fortemente impressionistico: le radici europee di
Schunke si effondono di latinoamericano in maniera dinamica e raffinata in
un tocco del tutto originale, come già nel precedente ottimo lavoro con la cantante
cubana Olvido ("Vida pura"), che ha rivelato
in modo convincente al pubblico internazionale la possibilità di sperimentare senza
la ricerca ossessiva dell'originalità, dialogando con l'ascoltatore in un àmbito
fresco, libero, felicemente imprevedibile.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 16/11/2008
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