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13° Padova Jazz Festival
Padova, 15-20 novembre 2010
di Gabriele Prevato
foto di Elisa Tessarin

18 novembre 2010
Teatro Verdi ore 20.45

Dave Douglas & Keystone
Spark of Being, a Film By Bill Morrison
A Re-Imagining of the Frankenstein Story through Film and Music
Dave Douglas - tromba
Marcus Strickland - sassofono tenore
Adam Benjamin - fender rhodes
Brad Jones - contrabbasso
Gene Lake - batteria

Evento molto speciale quello di stasera al Teatro Verdi di Padova: il nuovo progetto presentato dal trombettista Dave Douglas con la sua band The Keystone. Un pubblico ristretto ha potuto assistere a questo spettacolo insolito: questa volta il trombettista newyorchese non si è limitato a comporre e a suonare come sempre, bensì ha composto musicando delle immagini, o meglio un lungometraggio. Ad aprile di quest'anno infatti Douglas ha terminato la collaborazione con il regista Bill Morrison per un progetto commissionato dalla famosa Stanford University e realizzato presso il suo Center for Computer Research in Music and Acoustic. Spark of Being, presentato stasera, traducibile con scintilla di vita, è un progetto multimediale cui Douglas ha lavorato sin dal 2007: una sorta di rilettura del mito di Frankenstein basata sul celebre romanzo scritto da Mary Shelley nel 1818. Lo spettacolo, che abbina cinema e musica suonata dal vivo, propone una riflessione sul rapporto tra società e tecnologia, tra arte e scienza, tra l'Uomo e le sue invenzioni.



La musica di Douglas quindi al servizio questa volta di un contenitore, la pellicola, ed espressione ed esaltazione di un contenuto, il messaggio criptico del regista che per quanto riguarda le immagini manifesta un indubbio talento nell'abbinare sequenze scelte spesso da immagini d'archivio, con nuovo materiale girato espressamente per il progetto. Sicuramente non semplice musicare un lavoro del genere. Del resto in apertura di concerto lo stesso Douglas ha spiegato che il lavoro è cresciuto fianco a fianco tra lui e il regista. Musica ed immagini si sono influenzate vicendevolmente creando una sequenza organica di piccoli capolavori distinti. Con la simpatia che lo contraddistingue ha poi spiegato che il concerto era una selezione di 13 episodi del lungometraggio, la quale opera completa è invece raccolta in ben 3 Cd.

Sul palco, oltre ai musicisti, vi è anche un maxi-schermo attraverso il quale è possibile vedere le immagini del film. Il concerto inizia con il primo capitolo intitolato appunto The Spark of Being, proseguendo poi di episodio in episodio. A chi non c'era la lettura di alcuni titoli dei vari episodi può forse aiutare a dare una vaga idea dell'atmosfera: The Traveler's Story, A Promising Student, The Doctor's Creation, The Creature Watches. Titoli enigmatici che anticipano l'ambientazione onirica e surreale ricreata nei diversi momenti del film-concerto. Le composizioni di Douglas seguono a volte con difficoltà le immagini. Queste ultime infatti alternano scene molto lente in bianco e nero, ad altre astratte e molto veloci ricreate al computer. La musica pure combina elementi diversi, dai temi e dalle improvvisazioni live dei musicisti sul palco ai suoni che accennano jazz, groove, ambient, generati elettronicamente via laptop. Oltre ai 5 musicisti, sul palco infatti si nasconde un musicista multimediale che grazie all'elettronica arricchisce il suono con effetti diversi, ambientando di fatto le immagini ma anche la musica. La scelta inoltre di utilizzare il piano elettrico rodhes arricchito a sua volta da compressori e multieffetti, fornisce ai solisti un terreno rarefatto e intricato dove dipanare le loro brevi improvvisazioni. Al tempo stesso immerge l'ascoltatore in un mondo grottesco ma ospitale, dove immagini e musica non lottano per la supremazia ma si inseguono rispettandosi. La musica di Douglas risulta essere sempre molto elaborata, non banale, la tessitura armonica e ritmica non lasciano mai insoddisfatti l'ascoltatore. Fra tutti i validissimi musicisti, una menzione particolare per il sassofonista Marcus Strickland per il suo suono delicato e preciso. Il Tour continua, e lo si consiglia decisamente a chi ama assistere a spettacoli non convenzionali.

19 novembre 2010
Teatro Verdi ore 20.45

New Gary Burton Quartet
Gary Burton - vibrafono
Julian Lage - chitarra
Scott Colley - contrabbasso
Antonio Sanchez - batteria

Attesissimo al Teatro Verdi di Padova, il New Quartet di Gary Burton, maestro e musicista che da più di 50 anni è sulla scena jazzistica mondiale. Questo suo nuovo quartetto annovera due solidi e affermati musicisti quali Antonio Sanchez alla batteria e Scott Colley al contrabbasso, superfluo elencare l'importanza delle collaborazioni e dei progetti di questi due jazzisti. Meno scontata invece la scelta del chitarrista, il giovane Julian Lage (appena ventiduenne), che è stata, a parere di chi scrive, la vera star della serata. Burton, da buon didatta, crede sempre nelle collaborazioni con giovani talenti, scegliendo di farsi accompagnare non solamente da professionisti affermati bensì piuttosto di farsi contagiare dalla freschezza musicale dei giovani con risultati sempre sorprendenti. Il concerto si apre con Afro Blue opportunamente riarrangiato per il quartetto. Un Burton in piena forma che dà subito sfoggio della sua maestria e sicurezza. Segue il secondo brano che, come spiega il leader, è una composizione del batterista Sanchez intitolata For Gery, brano molto articolato in cui spicca tra l'altro proprio l'affiatamento della ritmica. A metà concerto i musicisti lasciano il palco al chitarrista Lage che con una disinvoltura inaudita intona una magnifica intro di qualche minuto allo standard My Funny Valentine. Un momento di grande intensità sottolineato dal meritatissimo applauso che il pubblico ha elargito a questo giovane talento il quale per tutta la serata oltre che mostrare una tecnica invidiabile e una gran musicalità ha donato a tutti il suo sorriso e la sua spontaneità. Molto apprezzabile la compiacenza di Gary Burton per il successo del suo pupillo che ha persino strappato maggiori consensi rispetto al leader stesso. La band ha poi proseguito con una composizione originale di Colley intitolata Never the same way, un brano che ha alternato una sezione in 7/4 ad un'altra in 4/4 con una melodia molto intrigante. Fin qui la band ha seguito una scaletta presentando brani comunque molto strutturati mentre verso la fine hanno suonato come in una jam eseguendo due famosissimi standard, I Hear A Raphsody e Bag's Groove, su cui tutti i musicisti a turno si sono davvero divertiti improvvisando e dando dimostrazione della notevole esperienza e del gran gusto che li contraddistingue. In particolare evidenza l'originalità degli assoli di Antonio Sanchez.

20 novembre 2010
Teatro Verdi ore 20.45
Charles Lloyd New Quartet
Charles Lloyd - sax, flauto, tarogato, piano
Jason Moran - pianoforte
Reuben Rogers - contrabbasso
Eric Harland - batteria

Ad un altro New Quartet, quello di Charles Lloyd, è stato affidato l'onore di chiudere la rassegna Padova suona Jazz di quest'anno. Il Teatro Verdi era quasi tutto esaurito; un pubblico attento ma soprattutto curioso di vedere sul palco un pezzo importante della storia del jazz. L' instancabile settantaduenne sassofonista di Memphis ha presentato il suo ultimo lavoro discografico intitolato Mirror, inciso per la ECM. Ad accompagnarlo, musicisti giovani e promettenti e ciò che ha più impressionato tra tutte è stata una notevole coesione del gruppo; durante tutto il concerto i musicisti hanno tenuto un livello di concentrazione altissimo donando al pubblico un suono unico, denso di sensazioni e colori. Il concerto si è aperto con una lunga intro di solo sassofono, quasi cinque minuti in cui melodie indiane e fraseggi bop si sono alternati e fusi irregolarmente. Da qui in poi il quartetto ha iniziato un viaggio spirituale durato quasi due ore; le tappe sono state i diversi brani che compongono il nuovo album ma anche brani storici. In Desolation Sound l'influsso coltraniano si è fatto sentire come non mai, complice l'intervento dell'intera band, su tutto forse è spiccata la sinergia e l'intesa con il giovane pianista Jason Moran il quale, sebbene sia apparso piuttosto freddo e distaccato verso un pubblico che gli ha dedicato diversi applausi, ha altresì mostrato uno stile e un fraseggio sicuramente fuori dai tradizionali schemi, decisamente maturo e di gusto. Al momento dell'esecuzione di un brano storico come l'"inno" Lift Every Voice And Sing, il pubblico è andato letteralmente in visibilio. In particolare il groove e la rilassatezza con cui Eric Harland e Reuben Rogers hanno accompagnato lo svolgersi del tema, ha colpito al cuore l'intero pubblico che ha tributato alla fine uno dei più lunghi applausi. Molto intense anche Go Down Moses e Caroline, No, diverse tra loro ma legate da un unico filo, quello della ricerca musicale che Lloyd ha condotto nell'arco della sua carriera perlustrando i più disparati universi musicali. Durante il concerto Lloyd, dopo aver esposto il tema e improvvisato, ha riposto il suo sax e si è accostato a lato dei suoi musicisti ballando spesso in maniera goffa ma sicuramente partecipata. A volte al ballo si sono sostituiti repentini gesti con avambraccio e gomito, i quali a tratti sembravano voler guidare la musica, in altri invece sembravano esserne guidati.
Uno degli ultimi brani eseguiti ha sancito è stato Tagi, tra i più contaminati dalla musica indiana. Il pezzo è stato aperto da Lloyd seduto al pianoforte assieme al pianista, recitando alcuni versi dal carattere onirico-spirituale; uno dei momenti più toccanti del concerto, anche perché è stato uno dei pochi momenti dove si è sentita la voce di Lloyd.







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Video:
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Data pubblicazione: 19/12/2010

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