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Intervista a Francesco Cataldo
La Chitarra e il Cuore
luglio 2013
di Gianmichele Taormina


Scott Colley, Dave Binney, Clarence Penn, Francesco Cataldo, Salvatore Bonafede

Chitarrista dotato di abile tecnica espressiva, compositore sapiente e intuitivo nell'uso dei molteplici linguaggi sonori, Francesco Cataldo racconta i suoi percorsi, la sua idea di musica ma soprattutto la storia e le motivazioni che lo hanno condotto all'incisione di "Spaces", "disco americano" registrato insieme al gota del Jazz contemporaneo.



Francesco... Lo vuole sapere tutta Italia: come hai fatto a coinvolgere musicisti straordinari come Dave Binney, Scott Colley, Clarence Penn e
Salvatore Bonafede per l'incisione di "Spaces" tuo ultimo lavoro discografico?

Tutto è cominciato quando ho contattato Scott Colley per fargli ascoltare alcuni brani originali che avrei voluto registrare con lui. A Scott sono piaciuti molto e nonostante non ci fossimo mai conosciuti di persona mi ha invitato a registrare a New York. Prima della registrazione non conoscevo di persona nemmeno Dave Binney e Clarence Penn... anche loro, entusiasti, hanno dato subito disponibilità dopo aver ascoltato alcune tracce. Conosco invece Salvatore da anni, avevamo già suonato diverse volte in quartetto.

Per incidere il disco sei volato negli States presso una sala di registrazione legata ai famigerati Avatar di New York. Che clima si respirava in studio?
Abbiamo registrato ai Sear Sound Studios di Manhattan mentre il mastering è stato preparato agli Avatar Studios. Ho un ricordo meraviglioso di entrambi gli studi, in particolare del sound engineer Chris Allen con i suoi bravissimi assistenti e, per il mastering, di Fred Kevorkian. L' atmosfera in studio era familiare, e per questo, credo, è scattata subito una magia con i musicisti americani e con Salvatore sin dal primo brano. Pensa: tutti i tredici brani son venuti fuori al primo take!
Ricordo in particolare il sorriso compiaciuto e la gioia manifesta di Scott e degli altri musicisti dopo ogni take; incredibile, considerato che non avevamo mai suonato insieme!

Puoi sostenere che a tutt'oggi il suono e le composizioni presenti in "Spaces" si identificano con la tua attuale dimensione musicale?
Il disco "Spaces" rappresenta in maniera semplicemente perfetta quella che era, ed è tuttora, la mia idea musicale: cercare di dare un respiro continuo alla musica, sia nei temi che nelle improvvisazioni. "Spaces" sono spazi che continuamente cerco nei miei brani; quegli spazi che rendono la musica evocativa e quindi fruibile da tutti, anche da un pubblico non esperto di jazz. Ascoltando il disco, a distanza di quasi un anno dall'incisione, mi emoziono ancora tantissimo proprio perché percepisco molta libertà nel sound di questo quintetto.

Qual è il significato di "Spaces"? Di che luoghi parli nel tuo disco?
Sono gli spazi che cerco nella mia musica, seguendo principalmente due direzioni: utilizzo continuo di pause e attenzione particolare alle melodie dei temi. Suonare significa sottrarre "spazio" al silenzio, quindi credo sia fondamentale imparare a dosare le note, soprattutto nei temi, per riuscire comunque a non sovraccaricare il messaggio "emotivo" diretto all'ascoltatore. Per essere evocativi, o almeno provarci, occorre dare priorità ai temi prima che alle improvvisazioni. Sono i temi, credo, che in un album restano di più nella memoria dell'ascoltatore. Ho cercato dunque di evitare l'ennesimo disco pieno zeppo di improvvisazioni per concentrarmi invece sui temi, arrangiandoli per questo magnifico gruppo.

Di questo tuo lavoro non passano inosservate composizioni come "Sunrise in Rome", assai fluida moderna, contemporanea...e poi la mediterraneità di "Algerian Watz", la docezza di "Ortigia" e di Raccontami, la marcetta di "Spaces"… cosa puoi dirci di più?
Quelli citati sono brani a cui sono particolarmente legato. In tutto il disco ho affidato l'esposizione dei temi a chitarra e sax, mantenendo questo binomio anche durante le improvvisazioni in diverse tracce. In questo modo ho voluto a tutti costi evitare le solite improvvisazioni a comparti stagni per curare invece il sound di gruppo e il continuo interplay. Si nota subito che la chitarra non è l'unica protagonista come di solito accade nei dischi di compositori chitarristi, ma si inserisce come voce del collettivo. Immagino la band come un grande cerchio: al centro c'è la Musica ed i musicisti attorno, equidistanti, per alimentarla e darle linfa vitale.

...Musica contemporanea presente in "Spaces" legata alla dimensione moderna di ciò che è il jazz del ventunesimo secolo. Ma vi è pure tanta melodia, ragionata e sviscerata col cuore. Due anime della medesima poetica o c'è dell'altro?
Sono perfettamente d'accordo. Ho cercato di coniugare modernità e "sentimento" nella scrittura delle melodie. Da siciliano credo sia questa la mia tendenza compositiva: melodia prima di tutto!

In pochi conoscono invece il tuo primo bellissimo cd intitolato "Lanuvio" autoprodotto e pubblicato nel 2007. Da cosa si differisce rispetto a "Spaces"?
Sono tuttora molto legato a "Lanuvio" e al sound di quel trio. Ricordo con molta nostalgia le prove e la registrazione. In quel periodo suonavo solo in trio, quindi scrivevo ed arrangiavo per quella formazione. Dopo qualche anno ho cominciato a sentire l'esigenza di un organico più allargato e da lì è nata l'idea di "Spaces". Dal 2007 sicuramente c'è stata una notevole maturazione artistica; credo però che i due album abbiano un elemento in comune nonostante siano diversi come sonorità: ricerca della melodia come elemento imprescindibile. Anche in "Lanuvio" ho cercato quel respiro musicale, quelle pause di cui parlavo prima a proposito di "Spaces".

Che ruolo ricopre per te la parola "spiritualità"?
La Spiritualità è il motore della mia ricerca musicale. Non riesco a scindere la spiritualità dalla musica. "Spiritualità" per me significa ricerca del proprio "spazio" interiore... ricerca che conduce comunque alla condivisione con gli altri musicisti e col pubblico. "Spiritualità" quindi come condivisione di un percorso quotidiano caratterizzato da momenti positivi e negativi, da entusiasmi e difficoltà ma comunque sempre guardando "in alto" verso quegli "spazi" che spesso il cielo ci ricorda, quando lo fissiamo. Sono gli stessi "spazi" che ritrovo anche nel volto delle persone che incontro nel mio quotidiano e che spesso ispirano la mia scrittura.

Cosa vorresti aggiungere (in termini di vocabolario compositivo o esecutivo) a quello che è "il tuo jazz"?
La mia è una ricerca tuttora aperta ed incessante. Cerco di farmi contaminare da tutto quello che ascolto, da tutti i generi. Il mio è un vocabolario aperto spesso in maniera inconsapevole; non penso mai ad un genere o ad un linguaggio specifico, ma cerco di assimilare tutto.

Una vacanza, un viaggio, un momento di pausa artistica. Cosa inseriresti nel tuo mp3?
Keith Jarrett: il Maestro degli "Spazi".

Perché è complicato suonare jazz in Italia?
In Italia ci sono musicisti molto talentuosi che però devono affrontare ogni giorno tanti ostacoli di natura soprattutto organizzativa. L'arte in generale dovrebbe essere diffusa alla pari di altri interessi per arrivare a tutti con estrema naturalezza; il Jazz in particolare ancora stenta a crescere tra la gente, tra gli ascoltatori di musica. Notevole poi la difficoltà di reperire fondi pubblici e privati per organizzare al meglio degli eventi importanti. Il jazz è nato come musica popolare e diffusa tra la gente, ma in Italia credo debba ancora crescere molto e per questo occorrerebbe più collaborazione, unità tra organizzatori e musicisti.

La prossima meta, il prossimo obiettivo della tua musica...
Sto lavorando alla presentazione del disco dal vivo con i musicisti americani. Questo è il prossimo obiettivo: condivisione col pubblico.







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Data pubblicazione: 27/07/2013

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