Intervista a Danilo Zanchi aprile 2014
di Roberto Biasco foto di Sergio Pricci
Danilo Zanchi - guitar
Ares Tavolazzi - double bass
John B. Arnold - drums
Abbiamo incontrato Danilo Zanchi in occasione del concerto di
presentazione del suo cd di esordio, "Looking Ahead" (Alfaprojects),
nel piccolo ma accogliente Teatro Keiros di Roma.
Il disco è stato inciso lo scorso anno in trio con Ares Tavolazzi al contrabbasso
e John Arnold alla batteria. Per questa particolare occasione, non potendo
essere disponibile Arnold, la scelta per l'uomo giusto dietro i tamburi è caduta
sul giovane e talentuoso Alessandro Paternesi.
Il concerto si snoda sulla falsariga della scaletta del
disco, che si apre con il tema pulsante di "Paunasia", per poi dispiegarsi
in atmosfere più calme e meditative. La chitarra mantiene un suono allo stesso tempo
avvolgente e ricco di suggestioni. In accordo con il suo carattere schivo e apparentemente
timido, Zanchi mantiene un costante "understatement" per tutta la durata del set,
quasi a voler sottolineare l'essenza di un concerto per trio jazz "inter pares",
e non la performance di un solista e relativa sezione ritmica a sostegno.
Poca spettacolarità e tanta sostanza musicale, dispiegata a partire dall'esposizione
dei temi, tutti scritti di suo pugno, proseguendo negli assoli, mai troppo vistosi
e sempre ben calibrati, e soprattutto nell'interplay e nello scambio continuo con
gli altri due partner. E che partner!
Ares Tavolazzi domina il centro della scena dall'alto della sua indiscussa
esperienza, il suono profondo, la cantabilità ed il lirismo del suo fraseggio lasciano
il segno. Alessandro Paternesi - più che una promessa, ormai una certezza
tra i nuovi batteristi italiani - cerca di tenere a freno la sua naturale esuberanza
mostrando maestria e senso della misura in un sapiente gioco di spazzole.
Grande empatia, forte coesione e senso profondo dell'insieme caratterizzano questa
formazione.
Il gruppo acquista progressivamente confidenza e scioltezza col procedere dei brani,
e nel finale, sul ritmo nervoso di "Bop Dizy", il tasso emotivo cresce:
Ares Tavolazzi in particolare, libero da qualsiasi remora, va a doppiare
con la voce le note del contrabbasso, canticchiando gli assolo all'unisono con le
corde.
Il groove pervasivo del funky-blues proposto come bis, costringe definitivamente
il pubblico a battere il piedino.
Visto che si tratta di un disco di esordio, parliamo un
po' dei tuoi trascorsi artistici prima di arrivare a questo importante traguardo.
Come tanti ragazzi ho preso in mano con la chitarra intorno ai quindici anni con
il rock prima e poi con il blues, ma quasi subito ho cominciato a prendere lezioni
private, realizzando che il mio obiettivo era quello di vivere con e per la musica.
Dopo un paio d'anni sono stato folgorato da un disco di
Pat Metheny
e di lì è iniziato tutto un ascolto ed un approfondimento intorno alla grande tradizione
della chitarra jazz, fino ad arrivare col tempo al diploma al conservatorio. Intorno
a due, tre anni fa ho iniziato a comporre nell'ottica di trovare una mia strada,
coniugando la tradizione con l'evoluzione del jazz moderno, e a quel punto è nata
l'esigenza di scrivere per poi fare un disco.
Il disco è interamente composto di brani originali, parlaci
quindi anche della tua veste di compositore.
L'idea di scrivere è uscita fuori come un'esigenza interna, innata, profonda, che
io stesso non saprei come descrivere, è una sorta di esercizio che ti cattura sempre
di più, un continuo work in progress che, partendo dai maestri del mainstream americano
(Wes Montgomery, Jim Hall, etc.) mi ha portato verso le atmosfere più raffinate e particolari
del jazz europeo. Nella composizione comunque, in maniera magari inconsapevole,
ci si porta dietro tutto ciò che si è ascoltato, a partire dai riferimenti principali,
come i grandi maestri come Davis e Coltrane.
Come è iniziata la collaborazione con due "veterani" come
Ares Tavolazzi e John Arnold?
Ho avuto il piacere di suonare in trio con John Arnold nel 2010, mi è sempre
piaciuto il suo modo di suonare la batteria, quindi cercando un batterista dal suono
e dal fraseggio molto moderno ho subito realizzato che fosse proprio lui la scelta
giusta. Ares Tavolazzi è sempre stato un mio pallino, oltre ad averlo ammirato
dal vivo in grandi concerti, sono sempre rimasto colpito dalla sua ecletticità,
e anche in questo caso ho pensato che fosse un partner ideale per le mie composizioni.
Si tratta in definitiva di due musicisti con cui condivido l'idea di andare oltre
lo swing ed il mainstream tradizionale.
C'è un forte senso di interplay nel disco che fa pensare
ad un affiatamento e ad una amalgama lungamente perseguita.
Il mio obbiettivo era proprio quello di realizzare un disco che avesse non solo
l'impronta del trio ma anche un "sound di trio", cercando di andare ad approfondire
l'essenza melodica ed armonica di certi passaggi. Infatti non ci sono lunghi assoli
individuali, tantomeno miei. Il mio stile melodico di scrittura e di ricerca sonora
in effetti è più orientato sulle ballad e sui tempi medi, piuttosto che sul virtuosismo
e sui tempi veloci.
Tra l'altro spicca anche una qualità di registrazione ed
una pulizia del suono davvero notevoli, c'è qualche dato tecnico particolare da
segnalare in proposito riguardo alla produzione/registrazione dell'album?
Il merito è tutto di Stefano Amerio di Artesuono, che ringrazio per la sua enorme
competenza e professionalità. Avevo sentito parlare benissimo di lui e quindi andare
ad Udine a registrare il disco ha confermato al cento per cento le sue eccezionali
doti umane oltre che tecniche.