Salvatore Bonafede al Lumiére
1 dicembre 2006
di Giuseppe Mavilla
foto di Sergio Bonuomo
Era da tempo che non assistevo alla proiezione di un cinegiornale in bianco
e nero all'interno di una sala cinematografica, altri tempi, altri luoghi, da dove
mi sono ritrovato venerdì 1 dicembre. La location è
il Cinema Lumiére di Ragusa, dove The Entertainer consuma uno dei suoi ultimi
eventi di questa intensissima stagione; poco privilegiati hanno scelto come me di
essere presenti ad un concerto un po' speciale, che è appunto preceduto dalla questa
proiezione, che vede l'arrivo nel 1963, a
Palermo,
delle celebrità che gireranno sotto la direzione del grande Luchino Visconti
il Gattopardo, tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
In prima fila, questa sera al Lumiére, c'è un signore che segue con grande attenzione
la proiezione del cinegiornale e anche il successivo frammento di immagini tratte
dal film. E'
Salvatore Bonafede che da lì a poco salirà sul palco per proporci
una versione per solo piano del suo "Journey
To Donnafugata" dove riprendendo tra l'altro anche le musiche
che Nino Rota ha scritto per la colonna sonora del film, racconterà con il
linguaggio del jazz la sua e la nostra Sicilia.
Ed ecco che anche nella dimensione minimalista del piano solo,
Salvatore
Bonafede riesce ad trasportarci nell'atmosfera della Sicilia del Gattopardo
come gia magnificamente aveva fatto nell'album, inciso insieme ad
Enrico Rava,
John Abercrombie e Ralph Towner. Sulla scena lui è in perfetta simbiosi
con il pianoforte, in un rapporto comunicativo che ha qualcosa di magico, un dialogo
strettissimo attraverso l'esecuzione di quelle musiche che così bene Rota aveva
cucito alle immagini di Luchino Visconti. Al pianoforte
Bonafede
si erge in un'interpretazione lirica e maestosa, non c'è più traccia di minimalismo
ma insieme alle musiche di Rota ci sono anche il Gran Valzer di Verdi e tre
sue composizioni. Reputation And Character,
Taceas Me Spectes e
Angelica. Per poco più di un'ora sul palco
Salvatore
Bonafede rievoca in musica un'epoca ormai lontana ma così legata ancora
oggi alla nostra cultura. Lo abbiamo ammirato in tutto il suo orgoglio di siciliano
e in tutta la sua consapevolezza di essere un musicista di primo piano del jazz
internazionale. Prima del concerto mi sono intrattenuto con lui in una saletta del
Lumiére dove era stata allestita una mostra fotografica di immagini di scena del
film di Visconti.
G.M.: Come è nato "Journey
To Donnafugata"?
S.B.: E' nato per far conoscere attraverso il linguaggio del jazz la Sicilia,
non necessariamente attraverso coloro i quali fondarono il jazz agli inizi, durante
la genesi di questa musica, e quindi non mi riferisco a
La Rocca,
che è tra i più conosciuti o Joe Venuti o ancora Eddie Lang, molti
poi cambiarono cognome. Ma oltre loro c'erano centinaia di altri musicisti di origine
siciliana, anche lo stesso
Tony Scott,
figlio di siciliani o Joe Lovano, che ha dei nonni siciliani. Ho voluto invece
andarci da un'altra strada, non necessariamente quella del jazz, ma quella della
melodia, della melodia portante di un cinema importante degli anni
'70, italiano, che probabilmente è quello che
ha fatto il giro del mondo. E' quella di Rota - con i film di Fellini,
soprattutto, ma anche come in questo caso con Visconti - che però,
ricordo sempre, era nato a Milano ma non visse mai al nord- Italia. Dapprima, ragazzino,
si trasferì a Taranto, poi addirittura prese il posto di direttore del conservatorio
di Bari per tantissimi anni, e a quei tempi lui andava a Roma malvolentieri per
collaborare con Federico Fellini o con chiunque gli chiedesse di scrivere le colonne
sonore, tanto loro sapevano come lui scriveva, non andava neanche a seguire i lavori
sul set con i registi, semplicemente forniva la musica e basta.
Questa
musica di Rota ha molto del nostro sud, ha molto di malinconico, in alcuni
casi, come nelle marcette. Mi riferisco ad Otto e Mezzo, film importante
sia nelle musiche di Rota che nelle immagini di Fellini e che peraltro
ricordo nel mio ultimo lavoro per la Cam Jazz "For
Time Being" dedicato proprio a "Otto e Mezzo" di
Fellini e di Rota. E' malinconico, perché queste marcettine ti fanno sorridere con
mezza bocca, l'altra mezza rimane un po' triste ed in questo nostro sud vedo che
non è cambiato ancora niente. Da una parte c'è il richiamo perché è una terra ridente,
fortunata, oggi sono arrivato da Palermo con l'aria condizionata, quasi fossimo
in estate, c'erano 20 gradi. Però con l'altra metà della bocca siamo sempre tristi,
siamo in difficoltà, siamo malinconici, ci manca sempre qualcosa, siamo piagnucoloni.
La musica di Rota, più di altri compositori, è così, ed io sono arrivato
a riprenderla attraverso il filtro del jazz, però arrivandoci da lontano, con uno
come Rota che con il jazz non ha mai avuto nulla in comune. È come se io
avessi tradotto una musica nella mia lingua. Come quando uno scrittore prova a tradurre
in italiano un libro in inglese o in russo. Chiaramente ci sono molti modi di dire
americani o russi, frasi fatte, molte frasi slang, che sono intraducibili. Io ho
tradotto queste melodie Rotiane con il linguaggio del jazz.
G.M.: E' evidente che questi tuoi due ultimi
album siano legati l'uno all'altro. Ci sarà ancora un seguito?
S.B.: No, dopo questi due la parentesi si chiude e anzi posso già annunciare
che il prossimo album, sempre per la Cam Jazz in uscita agli inizi del
2007 è un piano solo di musiche mie ispirate
al mondo europeo, lontane dalle frenesie metropolitane americane tipiche del jazz.
G.M.: Quindi un jazz del nord Europa che si contamina
con la musica classica?
S.B.: Si, un jazz che sposa la grande pagina europea della musica.
G.M.:
In "For
Time Being" c'è un brano dedicato a
Steve Lacy.
E' uno dei tuoi preferiti?
S.B.: E' uno con cui avrei voluto suonare tantissimo, ma non ne ho avuto
mai occasione. L'ho incontrato per una cena alla quale era presente anche Mal
Waldron, quando suonavano in duo. Così non mi è rimasto altro che dedicargli
un brano e comunque gli ho dedicato questo brano molto prima che lui morisse e il
disco è stato solo l'occasione per renderlo pubblico. Il brano risale addirittura
al '93 e lui è morto nel
2004.
G.M.: Nella seconda metà degli anni
'80 hai vissuto a New York, poi ci sei ritornato
nel 2004 per dei concerti con il gruppo di
Joe Lovano, come hai ritrovato New York, come sono cambiati gli umori della
gente di quella città?
S.B.: sono cambiati dopo l'11 settembre, antropologicamente
dopo quella data l'americano medio è cambiato, c'è un punto di vista che prima l'americano
medio non prendeva in considerazione e cioè la caducità delle cose, prima l'americano
tendeva a sentire la sua terra come inattaccabile, come intoccabile, oggi si è convito
che è vulnerabile. E anche la musica è cambiata, tutti i dischi dei miei amici e
colleghi che sono usciti dopo quella data, sono differenti da quelli che sono stati
pubblicati precedentemente al 2001, sono più
cupi, più malinconici. Forse questa malinconia che abbiamo in certe parti dell'Italia
oggi la condividiamo, sentendoci più forti, come dire le cose possano andare in
un certo modo ma non per sempre. E quando un'artista si siede per comporre, allora
questa cosa viene fuori ovviamente, non è più come prima..
G.M.: Mi fai venire in mente che proprio in queste
ultime settimane, ho letto delle recensioni di giornalisti americani relative ad
alcuni album incisi da musicisti provenienti da New Orleans, come ad esempio
Kidd Jordan, che ha fatto un disco con William Parker, che raccontano
come in queste incisioni venga riportato tutto il dramma vissuto tempo fa da quelle
parti.
S.B.: Assolutamente, anzi, laddove i media tendono a minimizzare, i musicisti
invece lo rendono più presente, sono quasi dei portavoce di ciò che il popolo americano
sente sulle proprie spalle, sulla propria pelle.
G.M.: Parliamo del jazz italiano che sembra stia
attraversando un momento d'oro, tu cosa ne pensi?
S.B.: Per me lo è sempre stato, solo che adesso sono più attenti i media
nazionali ed internazionali, quindi i giornali europei, americani. Ma il jazz italiano
mica è nato l'altro ieri, ha radici molto profonde e finalmente se ne sono accorti.
G.M.: Cosa ascolti in questo periodo?
S.B.: Ascolto prevalentemente musica klemzer e visto che c'è molto d'ascoltare
provo a fare degli ascolti approfonditi su un argomento e quindi per adesso mi sono
soffermato su questo filone, ma non necessariamente con quei musicisti che contaminano
questa musica con il jazz, come Zorn, ma anche ad esempio Krakauer.
G.M.: il tuo musicista di riferimento?
S.B.:
Salvatore Bonafede...
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
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Data pubblicazione: 26/01/2007
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