La musica di Krisztof Komeda, medico e musicista polacco morto in
circostanze mai chiarite nel 1969, a soli 38
anni e conosciuto soprattutto per essere l' autore delle colonne sonore di alcuni
dei primi capolavori di Roman Polansky (Rosemary's baby, Il coltello nell'
acqua) continua ad interessare il jazz contemporaneo. Già dodici anni fa il
grande trombettista polacco Tomas Stanko, che di Komeda fu a lungo collaboratore,
pubblicò per la ECM il toccante Litania con accanto strumentisti del calibro
di Bobo Stenson, Palle Daniellson e Terje Rypdal.Da alcuni anni opera
a New York un gruppo dedicato alla rilettura dell'opera dello sfortunato artista.
Un gruppo composto da musicisti polacchi e americani che dopo l' esordio discografico
di due anni fa (Crazy girl) consegna ora al mercato questo suggestivo
Requiem (Il brano che da il titolo al cd fu scritto da Komeda in occasione della
morte di John Coltrane).
Quella di Komeda è certo una musica scrittura intrisa di straziata malinconia
slava e di una certa profonda, sofferta religiosità (elemento caratterizzante, d'altronde,
dell' anima polacca), come molti titoli dei suoi brani testimoniano. La lettura
di Tomas Stanko nel disco citato era forse, per semplificare, più europea ed intimista.
Quella del Komeda Project è più dentro alla vicenda del jazz americano degli
anni '60, Si sentono Trane ed i suoi epigoni
(ma il sassofonista Krisztof Medyna cita nel Requiem delle prime tracce
anche Jan Garbarek)
e, forse in maniera ancora più accentuata,
Charles Mingus.
Da notare come recentemente il quintetto si è rinnovato sostituendo Michael Bates
con Scott Colley al contrabbasso e Dave Anthony con Nasheet Waits
alla batteria, ottenendo così un suono più drammatico, più nero al gruppo
di quello espresso nel precedente album.
Paradigma di ascolto di questo cd è il quinto titolo "Dirge for Europe",
episodio segnato da sequenze coltraniane e reminiscenze klezmer, tessute su un mesto
andamento processionale dettato dagli straordinari tamburi di Nasheet Waits.
Bel disco, intenso e sofferto. Riuscito anche nei due originals
firmati dal pianista Andrzej Winnicki. Una testimonianza significativa di
come la musica afro americana abbia messo radici nel cuore di milioni di persone
in tutto il mondo, diventando linguaggio universale.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
30/01/2011 | Una gallery di oltre 60 scatti al New York Winter Jazz Fest 2011: Chico Hamilton, Don Byron, Geri Allen, JD Allen, Butch Morris, Steve Coleman Vernon Reid, Anat Cohen, Aaron Goldberg, Nasheet Waits, Abraham Burton, Eric McPherson...(Petra Cvelbar)
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Data pubblicazione: 27/12/2009
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