Forse il futuro è già qui. Forse è già in atto un radicale cambiamento del
modo di essere artisti. Il grande baritonista inglese George Haslam ha scritto
recentemente che la storia del jazz è destinata, a breve, ad imboccare sentieri
nuovi ed inediti. "Siamo vicinissimi alla possibilità di sviluppare la propria
creatività in totale indipendenza. L' artista è vicino ad avere la possibilità di
ripercorrere da solo, a casa sua, il ciclo produttivo di un disco. Noi stiamo passando
dal jazz come "performing art" al jazz come creazione vera e propria." Vi raccontiamo
quindi la storia di un disco e di una musicista che sembra già incamminata su questa
strada. Silvia Kleyff è una giovane pianista e compositrice messicana (anche
se il suo aspetto, oltre al cognome, rivela però l'origine polacco-lituana) laureata
al Berklee. Di recente ha inciso un disco (in uno studio, di New York), che ha fatto
circolare fra i siti specializzati di tutto il mondo. Un disco non ancora masterizzato,
nel quale fra una traccia e l'altra si sentono i commenti dei musicisti. Un disco
senza etichetta, con la copertina fatta in casa con un normale PC.
Un cd artigianale, ma molto buono. Silvia si
definisce "more than a composer" ma il suo talento migliore sembra proprio
essere quello della scrittura e della conduzione del gruppo.
Sono sette brani asciutti ed essenziali ("scrivere poche note rende
i musicisti più liberi") molto lirici ma anche, talora, spigolosi, scontrosi.
Sul mare scuro ed inquieto della scrittura della Kleyff e dell'improvvisazione
del suo gruppo fluttuano relitti di free jazz e si addensano nuvole coltraniane:
la superficie calma dei pezzi, a volte, è scossa da brevi tempeste sonore, da onde
improvvise. I venti portano echi di blues, odori e memorie della musica di
Steve Lacy,
di Monk, di Bill
Evans, a volte del Miles Davis di Kind Of Blue. Ma si sente, fin
dalle prime note, che la rotta di questi musicisti tenta di scoprire isole non ancora
segnate dalle mappe. Fuor di metafora la Kleyff si confronta molto liberamente con
tutta la tradizione del jazz moderno, cercando, però, un suo linguaggio originale;
senza concessioni al classicismo di maniera, al revival neo bop; senza cercare il
facile consenso dell' ascoltatore. D'altronde la Kleyff guarda anche con interesse
alle esperienze della ricerca musicale contemporanea. Su My space si può
anche ascoltare la colonna sonora che ha scritto per un cartoon "Sirenes from
Mexico" intriso di sonorità sperimentali.
Anche come pianista la Kleyff è molto essenziale, quasi scarna. Fa pensare
a Mal Waldron o, rimanendo al jazz di casa nostra, a
Luca Flores
(a dire il vero Silvia non è completamente d'accordo con questi accostamenti)."A
volte – dice - il virtuosismo è il trucco perfetto per mascherare le cose
di cui un interprete non è capace".
I suoi compagni di viaggio sono molto bravi. Una parola in più meritano
il sopranista Logan Richardson e il batterista Nasheet Waits, uno
di quei drummers ricchi di suono, capaci di far "cantare" il suo strumento.
Il disco è ora disponibile, nudo ed essenziale, così come è uscito dallo
studio di registrazione di NYC dove è nato, su "My
space". Oggi quindi, grazie alla rete, un'opera musicale è a disposizione
gratuita degli utenti. Chi è interessato troverà invece su Facebook molte notizie
su Silvia, che condivide volentieri i suoi sogni e le sue difficoltà di musicista
indipendente. Silvia Kleyff, come altri, si promuove in rete. Sarà il popolo
di Internet a dire se questo "Don't loose your soul"
meriterà di navigare sui PC di migliaia di appassionati sparsi sul pianeta e a convincere,
speriamo, qualche produttore a farsi avanti ed a dargli veste ufficiale. Certo lei
stessa capisce le difficoltà di questa strada. "Ci vorrebbe un giornalista
- ha scritto in uno dei suoi ultimi post su FB - Lo sforzo di autopromuovermi
indebolisce le mie energie di musicista". Purtroppo il mondo discografico sembra
molto più chiuso rispetto al nuovo di quello editoriale, che ha cercato e scoperto
nei blog nuovi talenti.
Un'ultima annotazione. Strumenti come FaceBook e My Space
hanno letteralmente rivoluzionato il rapporto fra artista e pubblico. Oggi è possibile
per un appassionato interloquire ed interagire con i suoi musicisti preferiti. L'
artista non è più distante ed irraggiungibile. Si racconta in rete, magari semplicemente
pubblicando i suoi video You Tube preferiti o esprimendo i suoi pensieri nei post.
Per dirla con Ornette: "Tomorrow is the question".
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
30/01/2011 | Una gallery di oltre 60 scatti al New York Winter Jazz Fest 2011: Chico Hamilton, Don Byron, Geri Allen, JD Allen, Butch Morris, Steve Coleman Vernon Reid, Anat Cohen, Aaron Goldberg, Nasheet Waits, Abraham Burton, Eric McPherson...(Petra Cvelbar)
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Data pubblicazione: 04/05/2009
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