Ben noto nella scena musicale del Latin jazz, Sebastian Schunke
pubblica "Vida pura" scegliendo un énsemble
di caratura internazionale, con artisti che hanno frequentato molti stili e
che hanno in comune – nel fondo – una medesima Koiné , la cultura latinoamericana,
un universo sonoro sfaccettato e complesso, non sempre facilmente decifrabile da
chi è estraneo ai luoghi in cui solitamente viene proposto.
La prova che presenta è distinta da un' immediata forza comunicativa,
amplificata da un poliedrico senso del ritmo e della lettura esecutiva, fattori
che ne favoriscono l'assimilazione, diventando il passo ideale che lega la solarità
del sound del Caribe a quello mediterraneo: spazi d'invenzione tutt'altro
che distanti fra loro. Del resto, a ben vedere, l'anima è la stessa.
Le calde declinazioni del Latin percorrono sfumature espressive
assieme al tradizionale timing swingato del jazz in brillante interazione
con le intuizioni percussive di Lukmil Perez, noto a molti come uno dei più
creativi batteristi del genere; in tale scelta estetica, in virtù degli arrangiamenti
del pianista, vengono opportunamente evitati quegli urti e quelle dissonanze che
non di rado ai nostri giorni improntano l'espressività di produzioni similari.
Di particolare qualità risultano i dialoghi tra voce e pianoforte, sensibilità
serrate e positive, costrutti sia morbidi sia più decisi specie nei cantabili
, articolati in modo spontaneo ed equilibrato tanto nelle movenze inquiete che
negli svolgimenti delicati e meditativi.
Di qui s'intuiscono le possibilità aperte dal confronto sistematico e
totale fra le note, tra ricerca e tradizione, all'insegna di un pronunciato senso
della mobilità interiore, esaltata dalla roca sensualità della cubana Olvido
Ruiz, vocalist dotata d'una timbrica molto personale ed intensa, congeniale
alle performances caraibiche quanto a paesaggi maggiormente legati alle blue
notes. Olvido…verrebbe da chiedersi quante cantanti sarebbero in grado di suscitare
tali emozioni: una timbrica pastosa ora morbida ora alla ricerca di spazi riflessivi
ora lacerante in fraseggi dal cromatismo inquieto… Per inciso, è proprio dal loro
incontro artistico, avvenuto qualche anno fa, che ebbe luogo la svolta per la ricerca
musicale di ambedue.
Sebastian, da intelligente band leader, lascia spazio agli altri
esecutori, ed in tal modo possono emergere le qualità espositive, colte e coinvolgenti,
di Mario Morejòn "El Indio", trombettista di cui colpisce la passionalità
e l'energia dei soli, di Dan Freeman, eclettico sassofonista, di Perez,
mai debordante o troppo distante dalla forza dell'unisono, essenziale per il linguaggio
jazzistico proprio delle composizioni schunkiane: colpiscono davvero la sicurezza
e l'ispirazione espresse dal drummer, in perfetto interplay con i
tre bassisti presenti nell'album.
Di Sebastian, peraltro, ben s'intende la solida preparazione classica
che è possibile scorgere nelle intuizioni melodiche ben definite, cromaticamente
temperate e, soprattutto, aliene da facili esotismi: egli dimostra come sia possibile
costruire musica ad alti livelli pur mantenendo perfettamente godibile il brano,
non ricorrendo ad intellettualizzazioni o ad episodi mainstream noiosi se
non paradossali, secondo quanto avviene, purtroppo, in molto Latin proposto
quotidianamente, privo di sfumature strumentali e fin troppo accattivante nella
propria convenzionalità. A lui va dato merito d'aver abilmente tentato – e con esiti
degni di nota – di rivisitare un genere noto e talora "di consumo" articolando i
pentagrammi e gli arrangiamenti non solo secondo una sintassi moderna e polimorfa
ma soprattutto con emozioni autentiche, con sensazioni che prendono luce in modo
fluido ed agile, disegnando momenti d'ascolto eleganti e inevitabilmente coinvolgenti.
Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 04/11/2007
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