Questo album-tributo a Mal Waldron arriva
al momento giusto per ricordare e rivalutare l'apporto del grande pianista alla
storia del jazz. Figura eccentrica ed in un certo senso defilata tra i suoi contemporanei,
Waldron ci ha lasciato, sia come leader che come accompagnatore di vaglia, alcune
tra le pietre miliari del jazz moderno. Lo ricordiamo già alla fine degli anni cinquanta
come partner nelle ultime incisioni di Billie Holiday, a poi co-protagonista
in alcuni capolavori di Mingus ("Mingus at the Bohemia", "Pithecantropus
Erectus", "Blues and Roots") e di Max Roach, nelle prime incisioni di
John Coltrane
e di Jackie Mc Lean e nel leggendario quintetto di Eric Dolphy e
Booker Little ("At the Five Spot"). Risale a quel periodo una delle
sue opere più significative, "The Quest" del 1961,
misconosciuto capolavoro inciso per la Prestige- New Jazz con una formazione atipica,
con lo stesso Dolphy e Booker Ervin ai fiati e Ron Carter al violoncello.
Il trasferimento in Europa avvenuto a metà degli anni sessanta, se da una parte
lo ha ulteriormente allontanato dai riflettori, dall'altra ha avuto il merito di
metterlo in contatto con l'ambiente forse più recettivo e stimolante del jazz europeo.
La ricerca sulla poetica di Monk lo ha portato spesso ad incrociare il percorso
di un altro illustre "monkiano",
Steve Lacy
con il suo sax soprano, con il quale già nel lontano 1958 incise il seminale
"Reflections –
Steve Lacy plays Thelonious Monk". Proprio gli album del duo Lacy
– Waldron costituiscono il naturale riferimento di questo lavoro. Non a caso la
pianista e compositrice Silvana Renzini
ebbe l'occasione di partecipare ai famosi seminari estivi tenuti dai due protagonisti
nel 1986.
Occorre subito precisare che, contrariamente a quanto usuale in un album-tributo,
non ci sono riletture di pezzi di Waldron, ma si tratta di tutte composizioni originali
firmate dalla pianista.
Lo spirito notturno, lunare ed inquieto della musica di Waldron viene reso
con assoluta devozione, senza riproporre clichè o luoghi comuni abusati. Merito
della pianista e compositrice Silvana
Renzini che è riuscita a ricreare le atmosfere di Mal Waldron - un musicista
che davvero non è mai stato "facile" - utilizzando un flusso sonoro meno spigoloso
ed asimmetrico rispetto a quello del maestro. Il risultato è un album sorprendentemente
piacevole, che coniuga la profondità del linguaggio musicale del maestro con una
fluidità di ascolto inaspettata.
L'interazione piano – sax è perfetta ed il duo si abbandona a soluzioni
liricamente coinvolgenti come in "Blues in Mal's
Colors", il brano che apre l'album. Il soprano di
Maurizio Signorino, ripercorre
le orme di Lacy mantenendo una propria autonomia espressiva. Il pregio, ma allo
stesso tempo il limite del lavoro, possiamo trovarlo nell'omogeneità delle atmosfere
complessive del disco; forse una maggior caratterizzazione dei singoli brani avrebbe
reso più vario un prodotto finale che resta comunque di alto livello.
Il progetto artistico non si esaurisce nella sola realizzazione dell'album, ma
in una visione più "globale" riguarda anche le arti visive, con il coinvolgimento
della pittrice Laura Tornadù. Infatti nel corso delle performances, la pittrice,
attraverso il segno e il colore, giunge a dare forma visibile alle immagini sonore
create dai musicisti in un percorso di interazione fra il linguaggio musicale e
quello pittorico. Il nero, il blu, il giallo e l'arancione - la notte, il blues
e i lampi di luce – dipinti su tela e riportati nella copertina del disco – sono
senza dubbio "Mal's colors", i colori della musica di Mal Waldron.
Sono i colori dell'alba, del passaggio dalla notte al giorno, metafora del "venire
alla luce" dell'essere umano.
Roberto Biasco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 09/04/2009
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