|
Chet Baker
Chet Baker sings. It Could Happen To You
Intermusic/Distribuzione Egea
1. Do It The Hard Way 3:00
2. I'm Old Fashioned 5:03
3. You're Driving Me Crazy 2:53
4. It Could Happen To You 2:50 $0.69
5. My Heart Stood Still 3:26
6. The More I See You 3:03
7. Everything Happens To Me 5:02
8. Dancing On The Ceiling 3:06
9. How Long Has This Been Going On? 4:07
10. Old Devil Moon 2:57
11. While My Lady Sleeps 4:18
12. You Make Me Feel So Young 3:37
Chet Baker
- tromba e voce
Kenny Drew - piano
George Morrow, Sam Jones - contrabbasso
Philly Joe Jones, Dannie Richmond - batteria
Stiamo assistendo ad un susseguirsi inarrestabile di riedizioni ampliate, a volte
sottolineate dalla dicitura "The complete", di incisioni di jazzisti celebri, ma
non solo, come Miles Davis,
John Coltrane,
Eric Dolphy,
Chet Baker. Di quest'ultimo è uscito l'album del 1958 "Chet
Baker sings: It Could Happen To You", arricchito da due
titoli inediti. Ma i bonus non finiscono qui. Trovano spazio nel CD tutti i brani
di una sessione vocale del 1955 che sarebbe confluita in "Let's Get Lost"; "Let
Me Beloved", del 1956, cantata da Baker per la colonna sonora di un documentario
su James Dean; tre brani del 1956 che comparvero nel suo primo LP di 12 pollici
in qualità di vocalista.
La voce di
Chet Baker può ricordare quella di un bambino timido, ma essendo
emessa da un adulto, porta con sé la malinconia. Il suo fascino è poi accresciuto
dal modo originale di sviluppare lo scat. Come scrive Donald Vincent nella presentazione
del 2010, è sempre stato un problema cercare di tratteggiare la sua figura di artista.
"Siamo di fronte a 'un trombettista che anche canta' o a 'un cantante che anche
suona la tromba'?". Ciò che avvertiamo ascoltandolo è un'inscindibilità, un
legame forte, tra la voce e la tromba, due espressioni di un'unica personalità,
diversa da quelle di qualsiasi altro jazzista conosciuto. Perché il suo approccio
allo scat - diceva già Bill Grauer nelle note di copertina del 1958 - sta a metà
strada tra il modo di suonare e il modo di cantare. Il repertorio di standard è
piacevolissimo. Quanto alle diverse formazioni, avvertiamo una netta differenza
qualitativa tra quelle coinvolte in "It Could Happen To You" e le
altre.
Kenny Drew asseconda con accordi e assolo il lirismo di Chet, conferendogli
una fresca dose di swing. Philly Joe suona sette brani - cinque con George
Morrow e due con Sam Jones -; Dannie Richmond cinque e tutti con
Sam Jones. Non si nota una differenza di carisma, nonostante Philly Joe avesse
lavorato a lungo con Davis, mentre Richmond fosse ancora una promessa. Entrambi
mostrano un carattere deciso, un'abilità ritmica ricca di accentazioni che conferiscono
colore e limpidezza alle diverse esecuzioni del leader, sia nei momenti strumentali
che in quelli vocali. Richmond esegue una trascinante introduzione ad "Old Devil
Moon", un brano di 32 misure che ne alterna 8 in tempo di swing ad 8 di medium bounce,
ed è fantastico nei rilanci, togliendo la cordiera al rullante, stimolando la vocalità
di Chet e lanciando l'assolo di Drew. Ma ritorniamo a Baker. Sia la tromba che la
voce emanano calore e introducono una situazione di intimità. Sembra che Chet stia
suonando solo per te che lo stai ascoltando in quel preciso momento. Il modo di
interpretare le ballad è altamente rilassante, anche se vieni preso da un'inspiegabile,
naturale, dolce tristezza. E allora pensi a come stai vivendo e al tempo che passa
inesorabilmente veloce. Se sei triste, ascoltando Chet, pensi alla tua tristezza,
ma nello stesso tempo riesci a trovare un po' di conforto, un salvagente a cui aggrapparti.
Se stai vivendo un momento di felicità, la musica di Chet ti fa sentire ancora più
felice.
Giovanni Greto per Jazzitalia
04/05/2008 | 1 marzo 1984: ricordo di Chet Baker al Naima Club di Forlì: "La sua voce sottile, delicata, sofferta, a volte infantile, mi è rimasta dentro il cuore per molto tempo, così come mi si sono rimaste impresse nella memoria le rughe del suo viso, profonde ed antiche, come se solcate da fiumi impetuosi di dolore, ma che nello stesso tempo mi sembravano rifugi, anse, porti, dove la sua anima poteva trovare pace e tranquillità. La pace del genio, la pace del mito, al riparo delle tragedie che incombevano sulla sua vita." (Michele Minisci) |
|
Inserisci un commento
Questa pagina è stata visitata 5.202 volte
Data pubblicazione: 06/01/2011
|
|