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Capitolo 7: Bill Evans e i pianisti di Davis
di Claudio Angeleri
info@cdpm.it

Anche durante l'hard-bop Miles Davis ricopre un ruolo decisivo. Dopo le atmosfere morbide della tuba band il trombettista rimane folgorato dall'energia dei nuovi boppers decidendo così di aggiornare lo stile alle tendenze del momento. Il suo gruppo diventa vibrante e vigoroso grazie al sanguigno tenorista John Coltrane e, più tardi, al sax alto di Julian Cannonball Adderley, oltre alle straordinarie sezioni ritmiche di quel periodo d'oro.

Che Davis sapesse ben scegliere i suoi partners musicali non era una novità eppure, nel periodo 1955-1963, Miles mostra di avere un fiuto particolare nella scelta dei pianisti del suo gruppo.

Personalità improvvisativa, ottimo senso dello swing, passione per la ricerca e sperimentazione e, soprattutto, doti fuori dal comune come accompagnatori, sono solo alcune delle caratteristiche dei suoi pianisti che, proprio dopo l'esperienza con Davis, prenderanno slancio per brillanti carriere personali.

Nel 1955 è la volta di Red Garland che, con Paul Chambers al basso e Philly Joe Jones alla batteria, costituisce la sezione ritmica del quintetto prima e del sestetto poi, con Cannonball.

L'intesa del gruppo è perfetta, i ruoli sono definiti, così come l'organizzazione e l'arrangiamento dei brani. Davis nelle ballads utilizza spesso la stessa formula che consiste in una esposizione/variazione del tema, giocata sui chiaroscuri e sul bilanciamento ritmico tra tempo lento e raddoppio, a cui segue l'improvvisazione sul corposo walking, degli altri solisti (Coltrane o Garland).

L'esempio che segue è una magistrale interpretazione del 1956 appunto di una ballad: My Funny Valentine.

L'esposizione del tema (in quattro quarti slow) è ampiamente rielaborata al punto che Davis non affronta neppure la prima improvvisazione affidando il compito direttamente a Garland. Davis inoltre non termina l'esposizione alla fine del tema ma "sfora" nelle prime quattro battute del chorus del pianista che inizia ad improvvisare dalla quinta misura in tempo raddoppiato. Dopo l'assolo di piano, della durata di un solo chorus, Davis riprende la rielaborazione del tema partendo dal pedale posto alla diciassettesima battuta fino alla conclusione, a corona, della melodia.

L'assolo di Garland è un capolavoro in miniatura, sia per varietà d'idee che per perfezione esecutiva: lo stile è di derivazione bebop (si veda la citazione parkeriana alla misura 40/41) condotto a single notes con moltissimi abbellimenti cromatici e fraseggi verticali. Infatti in molti punti dell'assolo si possono capire chiaramente gli arpeggi della progressione.

La mano sinistra interviene poco nella frase, solo per suggerire alcuni accordi (eseguiti in posizioni A e B), lasciando spazio al lavoro della ritmica, soprattutto del basso.

Proprio il senso dello spazio pervade l'intera esecuzione anche quando Garland accompagna Davis, che lascia appositamente alcuni respiri per stimolare l'interazione della ritmica.

Tale concezione verrà ulteriormente accentuata nei gruppi degli anni
'60, soprattutto nel quintetto con Tony Williams, Herbie Hancock, Ron Carter e Wayne Shorter (o George Coleman) sviluppando anche le possibilità di apertura ritmica.

Nella versione del 1956 Philly Joe Jones tiene saldamente il tempo dall'inizio alla fine, mentre nel disco My Funny Valentine del 1964, Tony Williams lascia spesso il metro ritmico nell'aria, suonando "sul" tempo ma spesso anche "contro" il tempo. In altre parole usa un metro "interiore" di natura fisiologica, come può essere, ad esempio, il pulsare del cuore o di altri organi vitali.


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Red Garland è inoltre un ottimo improvvisatore con la tecnica a block chords .

N
el 1958 entra nel gruppo un giovane e brillante pianista che aveva da poco licenziato un disco in trio molto apprezzato dalla critica e dai musicisti: Bill Evans.

Davis si accorge immediatamente che le nuove concezioni musicali di Evans, maturate nello studio degli autori classici (Chopin, Debussy, Ravel), dei pianisti jazz (Tristano, Powell, Silver) e delle nuove teorie modali di George Russell, possono essere funzionali al suo progetto musicale e così lo ingaggia nel sestetto.

Con Evans, Miles può sperimentare il nuovo tipo di improvvisazione modale che applica immediatamente ad alcune sue composizioni: So What, Milestones, All Blues.

L
a concezione modale presuppone che l'improvvisazione avvenga su una scala o un limitato numero di scale per la durata di parecchie battute invece di spostare continuamente il centro tonale mediante le modulazioni. In questo modo l'improvvisatore può avere molta libertà di azione e decidere perciò di stare all'interno della scala o al di fuori, parzialmente o totalmente. Naturalmente occorre che i musicisti siano disponibili a rischiare ascoltandosi attentamente ed interagendo così reciprocamente.

Il disco "manifesto" della nuova improvvisazione modale collettiva è Kind Of Blue del 1959. La formazione è composta da Davis, Coltrane, Adderley, Evans, Chambers e Jimmy Cobb alla batteria. In un brano Wynton Kelly sostituisce Evans al pianoforte.

Nelle note di copertina del disco è lo stesso Bill Evans che spiega le modalità dei takes di registrazione che sono avvenuti al "buio" senza cioè aver effettuato alcuna prova preventiva del nuovo materiale.

Il primo brano, So What, è particolarmente significativo ed adotta la forma canzone AABA di trentadue misure, ma in modo profondamente diverso.
La sezione A è infatti composta da otto misure basate sulla scala dorica di RE, la sezione B sulla scala dorica di MI bemolle.

Il pianoforte accompagna il solista muovendosi abbastanza liberamente sulla scala mediante accordi per quarte.

Nei So what voicings, la mano sinistra suona un accordo per quarte mentre la destra suona un intervallo di terza (maggiore o minore a seconda dello sviluppo della scala). Tra le due mani c'è un intervallo di quarta.

Naturalmente ci si può sbizzarrire ritmicamente usando dei side slipping cromatici.

La dimensione del trio è comunque più congeniale a Bill Evans che lascia dopo meno di un anno il posto a Wynton Kelly.
Nel 1959 Evans si unisce al giovane astro del contrabbasso Scott La Faro e al batterista Paul Motian suonando ininterrottamente fino al 1961,. anno della tragica scomparsa di La Faro in seguito ad un incidente automobilistico.

Il concetto dominante del trio è l'interplay cioè il dialogo interno tra i musicisti che improvvisano collettivamente. La Faro abbandona spesso il walking bass a favore di linee spezzate di contrappunto.

Paul Motian è apparentemente il musicista più ancorato al beat anche se, analizzando attentamente la scansione del piatto sospeso, ci accorgiamo che la figurazione interagisce in continuazione con basso e pianoforte.

Per quanto riguarda le novità armoniche, Evans porta al massimo sviluppo i voicings estesi ai toni ornamentali, costruiti con l'omissione di tonica (cat. A, B, C) sovrapponendo triadi, frammenti e accordi di quarta. (Si veda a questo proposito JAZZ vol.1 LPM 051). È interessante anche notare il movimento interno ai voicings secondo una procedura assolutamente nuova, di derivazione orchestrale, non ancora sviluppata fino a quel momento dai pianisti bop.

Evans ama inoltre sfruttare spesso la dissonanza "stretta" della seconda minore che introduce nei suoi voicings. La posizione C del voicings di settima maggiore viene perciò spesso sostituita da una posizione B.

L'utilizzo degli intervalli di seconda minore si evidenzia ancor di più nei voicings a "frammenti".

Proprio queste posizioni consentono a Evans di spaziare con maggiore libertà nell'improvvisazione

Come visto nel primo volume, i voicings di cat. A, B, e C possono essere modificati e alterati dando origine ad una serie di "posizioni equivalenti" molto interessanti per i riferimenti modali.

I voicings possono avere molteplici denominazioni e applicazioni, con il pregio, non indifferente, di essere facilmente memorizzati.
Si analizzi il turnaround dell'Es. 40.

I primi tre voicings sono ricavati dalle rispettive scale lidie di dominante.

Per quanto riguarda la costruzione dei voicings, si noti che la mano sinistra suona dei voicings di Cat. A la cui tonica sta un tono sopra (Db7#11 = Eb7 Cat. A; C7#11 = D7 Cat. A; B7#11 = Db7 Cat. A).
La mano destra suona invece degli accordi per quarta. Tra la sinistra e la destra c'è un intervallo di quarta perfetta.
Le possibilità di manipolazione dei voicings sono infinite.

L'Es. 42 riguarda un voicing costruito sulla scala simmetrica 1-2 (semitono/tono).

La mano sinistra suona un voicing b9 derivato dalla posizione equivalente di una dominante di Cat.B situata una terza minore sopra (C7 b9 = Eb7 Cat. B). Questo voicing viene detto anche Hancock voicing (vedere JAZZ vol. 1 LPM 051).

La mano destra suona un voicing #9 derivato dalla posizione equivalente di una dominante di Cat. B situata un tritono sopra (C7#9 = F#7 Cat. B).

Lo stesso voicing si sposta sulla scala simmetrica 1-2 salendo o scendendo per terze minori. Date le equivalenze della scala simmetrica ogni combinazione viene riferita a quattro accordi.

Bill Evans dopo la morte di Scott La Faro rimane per sei mesi inattivo ed incapace di reagire alla tragica fatalità.

Nel 1962 ricostituisce il trio con il bassi sta Chuck Israel ed incide con Freddie Hubbard, Jim Hall, Zoot Simms e Shelly Mann, ma il fatto più rilevante è che Evans ha il coraggio di smettere l'uso degli stupefacenti.

La rinascita fisica e psicologica è immediata ed il pianista l'anno successivo si cimenta in un interessante progetto discografico (Conversation With Myself) con tre pianoforti sovraincisi vincendo un Grammy.

Nel 1964 raccoglie un enorme successo in Europa. Nello stesso anno incide con il tenorsassofonista Stan Getz oltre che con il suo trio. Al basso troviamo Gary Peacock mentre alla batteria c'è sempre il fido Motian.

La trascrizione riportata nell'Es. 44 riguarda proprio quel trio del 1964. Il brano, Little Lulù, è tratto da un cartone animato e ripropone la fortunata rilettura di brani popolari già adottata con Someday My Prince Will Come la colonna sonora di un celebre film di Walt Disney.


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Nel 1965 Evans registra con un'orchestra d'archi diretta da Klaus Ogerman, nel '66 incide in duo con Jim Hall. Dopo il successo del concerto alla Town Hall, nel corso del quale propone al piano solo un brano dedicato alla memoria del padre scomparso due settimane prima, ricompone il trio con Eddie Gomez al basso e Shelly Manne, Jack De Johnette (Live in Montreux) o il vecchio amico Philly Joe Jones alla batteria.


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La formazione si stabilizza con l'ingresso del batterista Marty Morell a cui talvolta si unisce il flautista Jeremy Steig. Nel 1972 co-dirige con George Russell una grande orchestra, mentre l'anno successivo incide, in duo con Eddie Gomez, l'album Intuition. Evans si cimenta con notevole successo al piano elettrico Rhodes, registra con il popolare cantante Tony Bennett ed ottiene un nuovo Grammy nel 1975 per il disco Alone realizzato in piano solo in California.

Dopo alcune collaborazioni con Lee Konitz e Warne Marsh, Evans torna a New York ove sostituisce Gomez con Marc Johnson, il giovane bassista dell'orchestra di Woody Herman.

Negli ultimi anni di vita, Evans modifica ulteriormente il suo stile utilizzando un attacco percussivo soprattutto della mano sinistra che diventa più incalzante e presente per l'accentuazione di nuove scomposizioni ritmiche e concezioni armoniche molto avanzate, a tratti atonali. Già nel 1973 Evans aveva inserito la sperimentazione seriale in un brano:
TTT (Twelve Tone Tune) la cui melodia è costituita infatti da tre serie dodecafoniche.

L
'ultima esibizione di Evans è del
9 settembre 1980 a New York (con Marc Johnson e Joe La Barbera alla batteria). Pochi giorni dopo, viene ricoverato d'urgenza al Mount Sinai Hospital ove muore il 15 settembre 1980.

Facciamo ora un passo indietro e torniamo a Kind of Blue di Davis del 1959, dove troviamo in un brano un altro pianista, questa volta di colore, che sostituirà Bill Evans per i due anni successivi (1959 e 1960): si tratta di Wynton Kelly.

Sebbene abbia in comune ad Evans uno straordinario talento di accompagnatore, per certi versi anche superiore, Kelly si differenzia da lui proprio per il colore della pelle che porta inevitabilmente a privilegiare la componente bluesy della sua musica.

Anche Wynton Kelly utilizza ampiamente i voicings estesi ai toni ornamentali oltre a posizioni modali a quarte.

La trascrizione dell'assolo riguarda proprio il blues Freddie The Freeloader di Kind of blue. La struttura armonica è basata sugli accordi di tonica, sottodominante e dominante del blues classico.

Si noti il senso dello swing di Kelly, sicuramente tra i più limpidi e moderni in assoluto.

L'incedere della sua improvvisazione si fonde benissimo con il timing "stretto" del batterista Jimmy Cobb e del bassista Paul Chambers. Il modo di stare sul tempo della ritmica risulta infatti lievemente in anticipo rispetto al beat con, alcuni, brevissimi, accenni in shuffle time: il tipico tempo, appunto, del blues.

Wynton Kelly suona e incide con il sassofonista Julian Cannonball Adderley attuando una notevole e moderna sintesi tra blues, bebop e jazz modale.


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Wynton Kelly viene sostituito nel 1963 dal pianista ventitreenne di Chicago Herbie Hancock che aveva già avuto modo di mettersi in mostra a New York con alcuni importanti gruppi tra cui quello del trombettista Donald Byrd e del sassofonista Eric Dolphy.

Herbie Hancock è in effetti un vero e proprio enfant prodige: a 11 anni suona già Bach e Mozart con l'orchestra sinfonica di Chicago imparando nel contempo il lessico jazzistico di Peterson e Shearing.

Il pianista precorre i tempi anche nella produzione discografica, condotta all'insegna del successo e del business. Il suo primo disco,
Taking Off inciso ne1 1962 con il sassofonista Dexter Gordon e il trombettista Freddie Hubbard, contiene infatti già un brano, Watermelon Man, destinato a riscuotere negli anni settanta un enorme successo di vendite.

Lo stile pianistico è già personale anche se si intravedono chiaramente le influenze armoniche di Bill Evans, il blues feeling di Wynton Kelly e l'approccio funky di Horace Silver.

La breve esperienza passata con Dolphy è comunque molto formativa sia sotto il profilo artistico (Hancock impara infatti ad armonizzare in contesti di improvvisazione libera) che umano.

Grazie a Dolphy, conosce il batterista adolescente Tony Williams (già con Jackie Mclean) con cui stringe una grande amicizia. Nel maggio del 1963 entra nel gruppo di Davis proprio grazie alla segnalazione di Tony Williams. L'incontro è decisivo: dopo pochi giorni è già in studio di registrazione (Seven Steps To The Heaven), mentre nell'estate dello stesso anno tiene un impegnativo tour in Europa che lo vede anche al Festival di Antibes con il quintetto di Davis di cui fanno parte Williams, il bassista Ron Carter ed il sassofonista George Coleman.

Nel 1964 incide a suo nome l'album Empyrean Lsles e con Davis lo splendido
My Funny Valentine in cui il quintetto dimostra un'intesa perfetta, pur basandosi su continui rischi armonici e ritmici. Sempre nel 1964, entra a far parte del quintetto il sassofonista Wayne Shorter, inaugurando un lungo periodo estremamente ricco sotto il profilo creativo.

Tra gli album più importanti del nuovo quintetto ricordiamo
ESP del 1965, in cui Davis sperimenta l'improvvisazione libera, e Miles Smiles del 1966.
Il 1965 è anche l'anno in cui Hancock registra il suo album più famoso: Maiden Voyage.

Tre anni dopo abbandona definitivamente il gruppo di Miles, sostituito da Chick Corea, anche se partecipa nel 1969 e nel 1972 alla svolta elettrica di Miles con gli album In A Silent Way e On The Corner.

Dopo il disco a suo nome Speak Like A Child e la colonna sonora del film Blow up, sperimenta le tastiere negli album Mwandishi,
Crossings e Sextant, in cui la ricerca elettronica si fonde con l'improvvisazione collettiva e i ritmi africani.

Il 1973 è l'anno del jazz rock interrotto dalla parentesi acustica del quintetto VSOP nel '76.

Durante gli anni ottanta e l'inizio dei novanta dà sfogo al suo eclettismo dedicandosi al jazz con Wynton Marsalis, al cinema (con Round midnight, Hancock vince anche un Oscar per la migliore colonna sonora) e alla fusion di Jack De Johnette con Pat Metheny (Parallel Realities).

Tra gli ultimi lavori discografici si segnala l'omaggio a Davis, A tribute to Miles (1994) realizzato con i vecchi amici Shorter, Williams, Carter ed il giovane trombettista Wallace Roney, il disco in duo con Shorter, 1+1 del 1997, il quintetto del 2002 Directions in Music con Brecker, Hargrove, Patitucci e Blade .


L'influenza di Hancock sul pianismo jazz contemporaneo è tra le più importanti, proprio per quella sintesi attuata tra tradizione, blues feeling, jazz modale e approcci libertari.

Il suo comportamento marcatamente professionale ha talvolta suscitato non poche critiche a causa della spigliatezza con cui ha alternato momenti di altissima creatività ad operazioni meramente commerciali. Resta da dire che Hancock, sebbene il suo talento e la sua maestria siano ancora oggi rimaste inalterate, ha espresso i suoi estri migliori nel periodo compreso tra il 1963 e 1969, cioè nel periodo della militanza con Davis.

Anche i lavori a suo nome di quegli anni rimangono nella storia del jazz, a riprova che lo stimolo esercitato da Davis ha rappresentato una tappa molto significativa nella carriera del pianista di Chicago.

Tra i pianisti più legati all'estetica di Hancock citiamo Kenny Kirkland, che dopo la collaborazione con Wynton Marsalis e la parentesi commerciale con Sting, ha licenziato un bellissimo album nel 1991 (
Kenny Kirkland, Grp).

L'assolo di Hancock riguarda l'esibizione dal vivo ad Antibes con Davis nel 1963.


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Data pubblicazione: 14/11/2004

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