Intervista a Claudio Angeleri
gennaio 2004 testo di
Eva
Simontacchi foto di Alberto
Gottardelli
Claudio Angeleri
ci parla del progetto Musica dalle
Città Invisibili che ha visto il suo debutto lo scorso 10 gennaio presso
l'Auditorium G. Di Vittorio della Camera del Lavoro di Milano.
E.S.:
Ci puoi illustrare il percorso che ti ha portato a portato a questo progetto tanto evocativo, poetico e straordinario? Come è nato? Come si è sviluppato, e in che modo i musicisti e le voci hanno contribuito alla forma finale che ha preso il progetto?
C.A.:
E' nato da una mia passione per Calvino ed in particolare per il libro le Città Invisibili nata dalla visita ad una mostra realizzata lo scorso anno dalla Triennale di Milano. Un lavoro stupendo che mi ha stimolato creativamente a livello compositivo e progettuale. Dall'idea iniziale e dalla scrittura musicale è nata una collaborazione a più mani (anzi più teste) con il musicologo
Mario Bertasa e l'attore Oreste Castagna. Con loro collaboro da più di dieci anni
sul dialogo tra varie forme espressive: musica, teatro, parola, danza... In
particolare in questo lavoro abbiamo cercato di superare il classico rapporto
tra la parola che racconta una storia e la musica che la commenta. Musiche dalle
Città Invisibli è soprattutto un progetto musicale nel quale anche il testo è
utilizzato in senso "musicale" proprio per il suono delle parole incluse in
partitura. La musica, al contrario, ha un ruolo descrittivo ed evocativo come
hai giustamente rilevato tu.
E.S.:
Parlaci delle voci e delle musiche... sia da un punto di vista tecnico che da un punto di vista espressivo: c'è un interscambio intermittente dei ruoli.... Inoltre in alcuni brani le metriche sono inusuali.
C.A.:
La voce è il primo strumento musicale dell'uomo e perciò in un lavoro così totalizzante non poteva mancare. Qui la voce è vista in due modi: la voce parlata (sebbene nella sua accezione musicale) e la voce cantata. La prima, di
Oreste Castagna, è manipolata in diversi modi grazie ad una nuovissima apparecchiatura elettronica, offrendo varie possibilità: effetti di chorus, delay, octaver, filtri ecc. In questo modo un'unico attore si moltiplica in varie voci ora più acute ora più gravi, ora squillanti ora tenebrose. La seconda voce è quella di
Paola Milzani a cui probabilmente toccava il ruolo più
difficile. Doveva infatti rappresentare l'ombra della voce recitata. Paola è bravissima a eseguire parti complesse di tipo strumentale grazie alla sua passata frequentazione della musica contemporanea ma al tempo stesso ha una sensibilità jazz che le consente di attraversare creativamente la partitura.
Per quanto riguarda le metriche abbiamo sperimentato vari tempi. In particolare nella Città Continua c'è un continuo variare della metrica (5/4 4/4 3/4 2/4 6/4) ma se si ascolta bene in realtà il pezzo è tutto in 1/4. In altre parole abbiamo solo lavorato sul beat di base, un pò come avviene nella musica africana e... nel jazz. Sono le frasi melodiche che creano una battuta in 5 una in 4 ecc.
E.S.:
Qual è l'emozione che ti suscita questo tuo progetto, e cosa vorresti risvegliare nel tuo pubblico?
C.A.:
Il rapporto col pubblico è fondamentale nel jazz...Credo che la musica sia essenzialmente comunicazione anche se i contenuti non sono così espliciti. Ogni volta sul palco avviene una magia; il musicista crea emozioni e il pubblico le rilancia attraverso il filtro delle diverse sensibilità. Questo un musicista lo sente immediatamente e riesce a tradurlo nuovamente in musica. E così si va avanti attraverso un dialogo biunivoco.
E.S.:
Come vengono accolti i progetti originali, come il tuo, dalle associazioni, dagli enti o dai locali a cui vengono proposti? Trovi che ci sia una certa difficoltà nel proporre i propri progetti e le proprie musiche originali?
C.A.:
Da quando suono professionalmente sono sempre riuscito a ritagliarmi uno spazio per la mia musica e per i progetti originali fin dai tempi dello Ziggurat. Direi proprio che l'interesse maggiore delle rassegne è verso i progetti nuovi anche se è fondamentale mantenere viva la tradizione del jazz.
E.S.:
Un auspicio a favore del jazz e del suo sviluppo: c'è chi sostiene che sia stato fatto praticamente tutto quello che c'era da fare.... io non credo, e comunque tu, ed altri musicisti e compositori lo state dimostrando. Cosa vedi nel futuro?
C.A.:
Il problema è a monte. Nella nostra società così traviata e banalizzata dalla televisione e dalla comunicazione rapida e poco approfondita (sms, chat ecc.), la gente è disabituata a riflettere e a rapportarsi in modo diretto, schietto e profondo quindi si stanno restringendo gli spazi per la cultura e l'incontro tra la gente e di riflesso per il jazz. Anche internet, che è uno strumento straordinario di comunicazione, consente di conoscere e diffondere notizie e cultura ma al tempo stesso può portare la gente ad isolarsi. (Per fortuna ci sono siti e persone intelligenti come Jazzitalia e Marco Losavio!).
Si è incominciato a parlare di morte del jazz quando è nato e mi pare che poi tutti siano stati smentiti ripetutamente. Non voglio fare un discorso complesso però credo che il jazz sia un esempio straordinario di come si possa mantenere continuità con la sua storia e tradizione nella discontinuità dei propri stili e delle influenze del contesto sociale e culturale in cui si è sviluppato. Credo che per garantire al jazz un futuro occorra comunque operare su più fronti: a livello divulgativo, creativo, conoscitivo. Su questo però è meglio essere operativi e concreti.
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Data pubblicazione: 08/02/2004
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