Un libro scoperto tramite internet. Chi scrive è da sempre una grande
appassionata di
Bill
Evans. della sua personalità, la sua ipersensibilità, i suoi
contrasti, i suoi travagli interiori. Innumerevoli sono le biografie che
negli anni sono state scritte su di lui e che ci hanno permesso di conoscere
anche l'uomo, oltre che il grande musicista. Ma questa volta si intuiva
che non si trattava di un'ennesima biografia simile a tante altre, bensì
di qualcosa di molto più intimo e privato.
L'autrice, Laurie Verchomin è una bella signora canadese, oggi cinquantatreenne.
Dopo uno scambio di messaggi via Facebook, Laurie ha inviato una copia con
dedica del suo libro pubblicato di recente oltreoceano, per ora disponibile
solo in lingua inglese e reperibile solo tramite web.
Un libro che si legge tutto d'un fiato, per poi rileggerlo una seconda volta,
centellinandolo. Nel mentre abbiamo anche reperito un'intervista in cinque
parti rilasciata da Laurie a Marc Myers (Jazzwax) nell'agosto
2009, pubblicata su
internet,
che anticipava l'uscita del libro e ne approfondiva nel contempo moltissimi
argomenti. Una seconda intervista è uscita nel mese di settembre
2011 e porta la firma del giornalista
tedesco Sebastian Pranz per la rivista Froh.
Dunque, chi è Laurie Verchomin e perchè
ha scritto un libro su
Bill
Evans? Laurie è la ragazza di 22 anni che dall'aprile
1979 al settembre
1980 fu l'ultima amica, amante e compagna
di Bill Evans, durante l'ultimo anno e mezzo di vita del grande
pianista.
Nella seconda metà degli anni Settanta, Laurie è una studentessa appassionata
di teatro e di musica, refrattaria alle regole della famiglia e della vita
in provincia ed è in aspro conflitto specie con la figura paterna che non
condivide affatto le abitudini ed i comportamenti disinibiti della giovane
figlia. Lasciata la propria casa di Edmonton (Canada), si arrangia come
riesce per pagarsi da vivere e per proseguire gli studi a New York. E' avida
di esperienze di tutti i tipi (non dimentichiamo che stiamo parlando dell'America
degli anni '70!). Ma è tuttavia anche consapevole della propria oggettiva
inesperienza rispetto a molti aspetti della vita adulta, alla quale aspira
però con vera bramosia. Laurie in quegli anni frequentava solo coetanei,
quelli che lei nel libro chiama "cowboys", e che ci descrive come ragazzotti
grezzi e superficiali che vivevano dalle sue parti. Un giorno dell' aprile
1979 Laurie si trova a lavorare in un
locale di Edmonton, una ex chiesa Ukraina sconsacrata e riconvertita in
ristorante cinese e discoteca, dove si tengono anche concerti di musica
jazz. E quel medesimo giorno del 1979Bill
Evans si esibisce proprio in quel locale, in trio. Bill aveva
50 anni. Stava già molto male, ormai, e sapeva che gli sarebbe rimasto ben
poco da vivere. L'incombenza della morte è proprio l'elemento con cui il
libro si apre: il racconto dell'ultimo giorno di vita di Bill e della sua
fine a causa di quell'emorragia che gli fu fatale dopo troppi anni di pesantissima
tossicodipendenza.
Poi, come in un rewind, ci troviamo proiettati all'indietro, ancor
prima dell'inizio della storia. Siamo nel 1975.
Laurie ci inquadra efficacemente lo scenario della sua vita da studentessa,
in casa con i genitori, dove il perbenismo si scontra con i suoi fermenti
da teenager irrequieta. Sta frequentando il Grant MacEwan College di Edmonton,
dove scopre il jazz. Nel 1978 decide
di trasferirsi a New York per proseguire con i propri studi di teatro e
danza moderna. Quando parte per New York non ha nemmeno un posto dove stare.
Frequenta tutti i locali dove si fa musica, scopre il rock and roll, i Rolling
Stones, Dennis Hopper, l'acido, l'amore libero. Vive tante esperienze: amicizie,
sesso con uomini e donne, droga, arte, musica: a New York scopre il bebop
ed anche "Kind Of Blue"...
Ritorna ad Edmonton ma con addosso la voglia di scappare di nuovo.
E' il mese di aprile del 1979: la
sera del concerto di
Bill
Evans in quella strana chiesa sconsacrata-discoteca-ristorante
cinese. Laurie è addetta a servire i cocktails. Il possesso e lo scambio
di droga è descritto come una normale consuetudine. Al termine del concerto
Bill la invita garbatamente ad andarlo a trovare presso il suo hotel, dicendole
che le deve parlare. Laurie faceva parte della "Jazz Society", l'associazione
che aveva organizzato quel concerto, era una grande ammiratrice di
Bill
Evans, affascinata dalla sua musica e dalla sua sensibilità
come tutti i fans del grande pianista. Malgrado la propria disinibizione,
però, risponde al suo invito "fraintendendolo" nel senso più ingenuo ed
infatti gli domanda se può estendere l'invito anche al suo ragazzo, anch'egli
appassionato di jazz ed ammiratore del pianista. Bill le risponde sorridendo
e dicendole che non era esattamente quello che intendeva, con quell'invito…
Il loro incontro avviene comunque. Tutti si ritrovano a casa di Laurie.
Sono presenti anche tanti altri ragazzi, tutti ammiratori del pianista.
Bill è attratto da subito dalla giovane Laurie ed inizia a coltivare quel
rapporto attraverso un fitto scambio epistolare che suona anche come una
disperata richiesta di aiuto. Lei è affascinata dalla sua bravura, dalla
sua sensibilità, dalla sua figura. Recepisce subito dalle parole di lui
il suo grande bisogno di sostegno a livello umano, ma ammette di non provare
inizialmente "amore" nei suoi confronti, ma solo una profonda empatia.
In una delle prime lettere che le invia, Bill esterna la propria disperazione
per la morte del fratello Harry, suicidatosi poche settimane prima. Bill
è devastato: Harry per lui rappresentava un punto di riferimento assoluto.
Laurie comprende sempre di più che Bill ha bisogno di qualcuno che lo ascolti,
che lo sostenga e che gli dia energia per andare avanti. Decide di partire
e di raggiungerlo a New York, ma ancora non ipotizza di diventare la sua
amante. Dal loro incontro scaturisce invece inaspettatamente una grande
sintonia ed anche una forte attrazione reciproca, malgrado le condizioni
fisiche devastate di lui. Bill le appare paradossalmente vitale, aggrappato
con la forza della disperazione alla poca vita che gli resta. Impressionano
le parole di Laurie che dice: "E' come se il suo spirito aleggiasse al
di fuori del suo corpo martoriato come quello di un reduce di guerra…".
Sulle prime, Laurie inizia a sognare romanticamente un "futuro a due" con
lui, magari facendogli anche cambiare abitudini ed aiutandolo a recuperare
la salute, ma ben presto si rende conto che si tratta di un'impresa impossibile.
E da quel momento non interferirà mai con le scelte fatte da Evans nel suo
irreversibile rapporto con la droga. Semplicemente gli starà vicino.
Dopo pochi giorni, Bill in un'altra lettera le invia il manoscritto di un
brano che ha composto per lei: "LAURIE", proprio il pezzo che tutti noi
evansiani conosciamo. Di questo brano le invierà 5 diverse versioni, fino
alla stesura finale. Andy Laverne studierà tutte e cinque le versioni,
che gli forniranno tanto materiale per il suo lavoro sull'analisi dello
stile compositivo di Evans. Anni dopo, parlando di questo pezzo, Laurie
lo descriverà come un' "ascensione, un qualcosa che attraverso le sue
continue modulazioni tende verso l'alto, verso il sublime".
Foto 2 e 3: spartito manoscritto
di LAURIE e biglietto di Bill
(click per ingrandire)
Nonostante la grande differenza di età, Bill e Laurie hanno
molte affinità. Hanno il medesimo background familiare e religioso:
la madre di Bill era di origini russe e con lui aveva da sempre
condiviso la "malinconia" della musica della chiesa russo-greco-ortodossa.
Il padre di Laurie era di origini ucraine ed era anch'egli di
fede russo-greco-ortodossa.
Laurie è molto lucida nell'osservare e descrivere i grandi contrasti
che ci sono nella vita e nella personalità di Bill: in lui vi
è la costante compresenza di bellezza e di autodistruzione,
di vita e di morte. Ci racconta del suo corpo distrutto dalla
droga e riporta che questo non gli creava tuttavia alcun imbarazzo.
Nel corso dell'intervista con Myers, Laurie fa un'osservazione
in merito: "I giovani sono ossessionati dall'idea della perfezione
fisica….mentre uno come Bill, invece, ormai era concentrato
su ben altre cose…"
L'idea di scrivere questo libro, una sorta di diario contemporaneamente
"esteriore ed interiore" della sua relazione, nasce fin da subito
in lei, che ai tempi era affascinata dai diari di Anais Nin.
Ma il progetto si concretizzerà solo molti anni dopo. Laurie
conserva tutte le lettere, i disegni, gli appunti, i bigliettini
che Bill le inviava quando si trovava lontano da lei, fino al
giorno in cui, dopo quasi trent'anni, decide di renderli pubblici
e di farne parte integrante del suo libro. Parlando di questo
suo lavoro, lo descrive come un'altra tappa essenziale nella
sua vita, un'esperienza che rappresenta per lei il raggiungimento
di un nuovo stadio di consapevolezza.
Ciò che colpisce è la schiettezza di Laurie nel trattare
qualsiasi argomento. La sua narrazione è completamente priva
di filtri. Inoltre, nessuna delle sue considerazioni è retorica.
La sua visuale lascia spesso il lettore alquanto spiazzato.
Ma se chi legge riesce a liberarsi da tanti orpelli perbenistici
e da tanti luoghi comuni, allora può riuscire anche a cogliere
la vera essenza delle sue parole e dei suoi pensieri.
Comprendiamo così quanto "The big love" fosse un amore soprattutto
cerebrale nei confronti di un uomo di trent'anni più anziano
e fisicamente ormai distrutto, che in Laurie vedeva una musa,
una persona da cui "trarre ispirazione ed energia", ma che vedeva
in lei anche e soprattutto una persona buona, umana e disposta
semplicemente a stargli vicino mentre stava morendo. E Laurie,
dal proprio punto di vista, riconosce il lui l'artefice di quella
profonda trasformazione che le cambierà radicalmente la visuale
della vita e che paradossalmente inizierà ad essere tangibile
proprio dal momento della morte di lui, in un processo irreversibile.
Il linguaggio dell'autrice è molto diretto ed efficace: con
poche parole riesce a descriverci moltissimo. Nella sua rievocazione
cogliamo anche tanta freschezza e spontaneità tipicamente giovanili:
"...Come mi vesto? E lui come si presenterà?". Cose normalissime
per una ventenne. Quello che non ci si aspetta è che anche Bill,
come Laurie, viva quella storia come se fosse un ragazzo col
batticuore e non un cinquantenne prossimo alla morte. Questi
aspetti, resi magistralmente nella narrazione, riportano i due
protagonisti, e specialmente il grande pianista, in una dimensione
del tutto umana e terrena (in contrapposizione alla tendenza
che tutti abbiamo di idealizzare le figure dei grandi artisti
che tanto ammiriamo!).
Questo libro infatti, che da un lato è testimonianza di una
visuale trascendente e tendente verso il sublime, da un altro
lato ci parla di due persone che in una breve fase della loro
vita condividono emozioni, sentimenti e stati d'animo comuni
a tutti gli esseri umani. Laurie descrive anche le proprie ansie
(delle quali però non farà mai cenno a Bill). Ci parla della
propria paura e della continua tensione che l'attanagliava,
facendoci capire cosa significasse transitare per tanti aeroporti
internazionali sempre con grossi quantitativi di droga al seguito.
Ci narra di quella volta che Evans venne arrestato per un giorno,
per possesso di droga, quindi rilasciato ma condannato a seguire
un programma di disintossicazione col metadone, fallito miseramente.
Ci descrive anche la continua ansia di lui per stabilire contatti
di città in città al fine di reperire la droga di cui ormai
faceva un uso assolutamente esagerato.
Laurie descrive l'unico episodio in cui si scontrò violentemente
con lui, proprio per essersi rifiutata di andare a procurargli
la cocaina, e ci fa anche commuovere parlandoci del bigliettino
che Bill le inviò, subito dopo quel violento alterco, con le
sue scuse sincere e profondamente addolorato per l'accaduto.
Perchè, dice Laurie, Bill era un uomo buono, profondamente rispettoso
e dotato anche di grande controllo dei propri stati d'animo.
Il libro narra abilmente anche alcuni momenti sereni, il
tempo libero che di tanto in tanto riescono a trascorrere insieme
e dove
Bill Evans non è più il celebre jazzista,
ma un uomo qualunque che si mischia tra la folla, un uomo ricco
di esperienza e di conoscenza (più di una volta nel libro Laurie
ripete che "poteva essere suo padre"), ma per nulla "bacchettone",
che l'accompagna nei luoghi più interessanti di New York, facendole
scoprire anche molti lati trasgressivi di quella città. Oppure
ci ricorda le loro uscite per assistere alle corse dei cavalli
di cui Bill era appassionatissimo, essendo anche proprietario
assieme a Jack Rollins (produttore di Woody Allen) di un cavallo
da trotto. Bill era di carattere socievole ed aveva parecchi
amici nel giro delle corse. Ma la cosa incredibile è che loro
non sapessero nemmeno chi lui fosse! Questo è uno dei grandi
contrasti della vita di
Bill Evans che, per rilassarsi e riprendersi
dal continuo stress creativo ed emozionale che lo accompagnava,
nella vita privata soleva frequentare ambienti assolutamente
non creativi, da "uomo qualsiasi" in mezzo a tante altre persone
qualsiasi.
Il tema della droga viene trattato da Laurie in modo distaccato
ed asettico, quasi come fosse un semplice dovere di cronaca,
e proprio per questo ci appare ancor più inquietante: nell'ultimo
periodo Bill consumava un paio di once di cocaina alla settimana.
Un quantitativo enorme: un'oncia, spiega Laurie, sono 28 grammi.
La maggior parte dei cocainomani degli anni
'70 ne usava al massimo
un grammo in tutto il weekend. Bill spendeva così tutto il proprio
denaro. Anni prima, invece faceva uso di eroina. La differenza
fra i due periodi la si avverte anche dalle sue composizioni
e dal suo stile pianistico, molto dilatato e rilassato prima,
veloce e teso nell'ultima fase.
Parlando di se stessa, nell'intervista del
2009 Laurie paragona il
proprio ruolo accanto a Bill a quello di una persona che assiste
un malato terminale: "Chi si ritrova a vivere quel ruolo
non ha di certo la pretesa di sconfiggere la malattia. Quando
si assiste un malato terminale si può solo cercare di renderlo
felice per il poco tempo che gli rimane da vivere".
Bill possedeva un pianoforte regalatogli dalla prima moglie
Ellaine; Laurie descrive il processo compositivo di
Bill Evans come qualcosa di totalmente spontaneo
e fluido. La musica prendeva forma mentre Bill la suonava. Per
lui comporre non era un processo tortuoso.
Quanto all'ambiente musicale di quel periodo, la narrazione
di Laurie ci fa capire molte cose pur senza dilungarsi troppo.
Pur avendone la possibilità, Laurie ventiduenne non si considera
in grado di sostenere incontri con mostri sacri del jazz come
Miles Davis. Infatti si rifiuta di incontrarlo personalmente.
Ma di lui si è tuttavia formata un'idea ben chiara. Sempre nell'intervista
di Myers, accenna a Miles sul piano personale in toni molto
critici, riferendosi alle sue abitudini da "capo" assoluto del
proprio gruppo: Miles avanzava ogni diritto e pretendeva "tutto"
dai musicisti che ingaggiava, permettendosi anche certe libertà
che sfioravano in taluni suoi comportamenti la molestia sessuale.
Laurie accenna anche al fatto che Miles in quel periodo frequentasse
anche travestiti. Accenna tutte queste cose a Bill, mossa come
da un impulso protettivo nei suoi confronti: Bill così fragile,
eticamente corretto e rispettoso! Era proprio l'opposto di un
personaggio senza scrupoli qual era Miles!
Bill Evans al piano
Si riporta un breve passaggio del libro: è la descrizione
di un concerto di
Bill Evans con Marc Johnson e Joe
Labarbera al Village Vanguard di New York nel dicembre
1979:
"Bill emerge dalla toilette degli uomini che si trova sul
retro del Vanguard. Segue la striscia rossa sul pavimento del
corridoio, supera gli armadietti del personale e la porta della
cucina. Scivola accanto al pubblico nel buio del locale, raggiunge
il palco e si siede al piano. Marc e Joe lo stanno aspettando
per iniziare l'intro. Anche il pubblico si pone in attesa, uniformandosi
al suo comportamento così serio. Le teste chinate. Tutti in
attesa dell'inizio delle trasmissioni. Bill suona i primi accordi
di "I do it for your love". Ogni accordo resta sospeso nella
calma densa del Vanguard. Siamo tutti uniti in uno stato di
reverenziale emotività. Bill vuole invitarci, farci posto accanto
a lui. Per lui non c'è palcoscenico, non c'è separazione. Il
suo è un invito per tutti noi a condividere con lui quella bellezza
interiore. Assume la sua tipica posizione, le mani sulla tastiera,
la testa dolcemente chinata sopra di esse. Volge il capo da
un lato – ascoltando – e vedo il suo viso, la pelle tesa ed
olivastra della sua ampia fronte, le sopracciglia sollevate
in un'espressione meravigliata, fra agonia ed estasi, gli occhi
chiusi dietro gli occhiali scuri. La bocca aperta. Questa è
la sua espressione mentre compone al pianoforte a casa. Questa
è la sua espressione mentre facciamo l'amore. Questa è la sua
espressione più intima, vulnerabile, priva di ego, così piena
di verità e di bellezza". […]
Anche nella descrizione di un concerto, attraverso l'osservazione
di tanti piccoli particolari, Laurie si dimostra particolarmente
recettiva e propensa a parlarci degli stati d'animo, dei messaggi
non verbali, di quel senso di bellezza sublime che Bill vuole
e sa condividere con il pubblico. E anche con lei, nei momenti
più intimi. Tranne questi pochi accenni, l'ambiente musicale
in quanto tale, è forse l'aspetto che meno emerge dalla sua
narrazione.
Per contro, comprendiamo che tra Bill ed altri musicisti
che suonavano abitualmente con lui esistevano rapporti di vera
amicizia, legami umani assai profondi e non dei semplici rapporti
di lavoro. E' il caso di Joe Labarbera che fu il batterista
del suo ultimo trio dal 1978
al 1980. Ed è proprio Joe
a guidare l'auto, in quella disperata corsa per portare Bill
in ospedale che viene descritta all'inizio del libro. Laurie
riesce a farci provare lo stesso stato di shock in cui lei e
Joe si trovano in quella tragica circostanza, in uno scenario
che appare quasi surreale: Bill in preda a tosse emorragica
riverso sul sedile posteriore dell'auto e che lucidamente continua
a fornire indicazioni a LaBarbera per raggiungere l'ospedale
Mount Sinai, aiutandolo a districarsi nel traffico cittadino.
Ma Bill aveva ormai i polmoni pieni di sangue. Dopo mezz'ora
dal suo arrivo in ospedale, giunge la notizia della sua morte.
Un particolare è sconcertante: a Laurie non verrà mai mostrato
il corpo di Bill dopo il suo decesso. Forse, proprio per questo
motivo, la morte di Bill non ha mai potuto essere elaborata
del tutto, nella psiche di Laurie. Per lei Bill non è affatto
"morto", Bill è e sarà sempre al suo fianco. La sua scomparsa
non viene vissuta come una disgrazia o una perdita, bensì semplicemente
come la fine di un viaggio che per Bill rappresenta il raggiungimento
di un luogo e di una condizione agognati da tanto tempo. Quanto
a se stessa, Laurie descrive l'esperienza di quella morte definendola
"positiva" e la paragona ad un grande "crescendo orchestrale".
La morte diviene così il mezzo che le permetterà di assurgere
ad una nuova dimensione, dando il via a quel processo di trasformazione
radicale della sua vita interiore e spirituale che altrimenti
non sarebbe mai potuto avvenire.
Per la copertina del libro, l'autrice ha scelto due preziose
fotografie del 1980: una
la ritrae il giorno del funerale di Bill, l'altra ritrae il
grande pianista nel suo ultimo tour a Parigi. Entrambe le foto
furono scattate dall'amico Francis Paudras (il grandissimo
appassionato di musica, non solo di jazz, che divenne amico
e punto di riferimento per tanti jazzisti che transitavano per
Parigi, che mise a loro disposizione anche la propria casa e
che si prese cura di loro. Il suo nome è legato in particolare,
oltre che a
Bill Evans, a quello di un altro grande pianista
americano,
Bud Powell. La loro amicizia venne descritta
anche da Bertrand Tavernier nel film Round Midnight.)
Bill Evans,
Bud Powell, Francis Paudras: il comune
denominatore tra loro fu una vita segnata da grandi travagli
interiori, dalla depressione e da un destino tragico, sia pure
in forme diverse:
Bill Evans, stroncato dalla droga a soli 51
anni.
Bud Powell, vittima di una patologia psichiatrica
che gli sottrarrà ancora in età giovanile le immense doti pianistiche
che possedeva e che lo condurrà alla morte a soli 42 anni.
Francis Paudras che morirà suicida nel
1997 lasciandoci come ricordo
di sè un patrimonio inestimabile di documenti sul jazz ma anche
tante domande sui perchè del suo tragico gesto.
"The Big Love" è un libro che non può lasciarci indifferenti:
è, più di ogni altra cosa, una dichiarazione d'amore eterno.
Ma è anche il ritratto di due semplici esseri umani. Ed è anche
la ricostruzione di una profonda esperienza spirituale individuale.
La testimonianza in prima persona di Laurie Verchomin
e tutta la documentazione inedita che fa parte integrante di
questo libro (lettere, manoscritti, fotografie, disegni) ci
permettono di addentrarci nelle pieghe più intime della personalità
di
Bill Evans come non si era mai potuto fare
prima, ma sempre con grande rispetto e con tanta umanità.
L'introduzione di questo libro porta la firma autorevole del
grande chitarrista John Mclaughlin.
"The Big Love" in lingua originale ed autografato
dall'autrice, così come una stampa artistica in edizione limitata
dal titolo "The Island" (un disegno che Bill fece per
lei), sono reperibili tramite il suo sito web:
http://www.laurieverchomin.com
Laurie Verchomin
Bill Evans Trio: "I Do It For
Your Love" (Paul Simon) – Iowa, 1979