Intervista a Eddie Gomez
di Adriana Augenti
foto Maurizio Bizzocchetti - Adriana Augenti
All'interno di un pub del borgo antico di Bari, per la terza volta in
pochi mesi, ho l'onore di incontrare ed ascoltare il maestro. Prendiamo posizione
l'uno accanto all'altra. L'ora è tarda, ma è lui a guardarmi e dire "che ne dici
se tu ed io ora ci facciamo una bella chiacchierata?". Un po' presa alla sprovvista
recupero subito lucidità e tiro fuori dalla borsa di Eta Beta blocchetto e registratore
e lui, chiedendomi di vederlo, avvicina la bocca al microfono dicendo "one two,
one two … prova" …
Adriana Augenti: Lei ha cominciato a suonare
quando era ancora molto giovane e fin da subito ha avuto un grande insegnante come
Fred Zimmerman. A 18 anni ha avuto la possibilità di misurarsi con alcuni
nomi che di diritto appartengo a quelle che possono considerarsi le autorità del
jazz, come
Benny Goodman, Paul Bley …ed ha proseguito i suoi studi, sempre
con Zimmerman (oltre che con altri) in una delle scuole più importanti, la Julliard.
Il contrabbasso è sempre stato il suo unico amore?
Eddie Gomez: Esatto! E' stato il mio primo amore
ed è stato il mio unico amore. Ho iniziato all'età di undici anni, in una scuola
pubblica di New York. Io semplicemente amavo la musica. Mia madre era solita cantare
per me, ed anche io, quando ero molto giovane, cantavo in una chiesa. Credo che,
almeno all'inizio, io volessi semplicemente cantare e trovare un modo espressivo
per farlo, senza pensare a nessuno strumento. Allora sono venuto fuori con un contrabbasso,
un improbabile strumento per un ragazzo piccolo come me. E allo stesso tempo sono
venuto fuori col jazz! Sono amori comparsi insieme grazie ad un'eterogenea coincidenza
di cose. Forse avrebbe potuto essere qualche altra cosa, ma è stato questo! Penso
che sia un modo bellissimo per esprimersi: creativo in molti modi, pieno di così
tante cose, di così tanta energia. Quando fai jazz viene tutto insieme, tutte le
energie convergono! A 16, 17, 18 anni io sono stato alla Julliard, ma durante quel
periodo ho anche suonato in molti altri posti ed con molte altre persone. Fred
Zimmerman è stato il mio maestro da quando avevo 14 anni, per almeno sei anni,
fino a quando non ne ho fatti 20. Forse quando sono andato alla Julliard è stato
anche per seguire lui, ma più che altro per seguire il mio cuore che voleva suonare
jazz, classica … Sono stato molto fortunato, e devo benedire quel periodo, perchè
ho avuto modo di suonare con ragazzi come Gary McFarland, Paul Bley
… Allo stesso tempo ho avuto la possibilità di misurarmi con diversi tipi di musica,
con le avanguardie. Io ero curioso, ed interessato a capire come e cosa il contrabbasso
potesse dare a quella musica. Non mi sono mai preoccupato di cosa fosse, da cosa
nascesse questo mio amore: era semplicemente musica!
A.A.: Il nome di Eddie Gomez è spesso
associato a quello di
Bill Evans.
Lo ha conosciuto al Village Vanguard, quando lei era lì col gruppo di Gerry Mulligan.
Era il 1966!
E.G.: Sì vero! Sono stato molto fortunato. Quella
sera ero lì con Gerry Mulligan ed il manager di
Bill Evans
si avvicinò a noi per dirci che avevamo suonato molto bene, che gli era piaciuto
cosa avevamo fatto, e poi, rivolto verso di me, che a Bill era piaciuto il mio modo
di suonare e che mi voleva conoscere. Io mi avvicinai quasi incredulo e lui mi disse
"Hy Eddie! Tu sei un vero talento, e probabilmente potremmo suonare insieme".
Per me fu sorprendente e fu una vera e propria scossa. Per me è un ricordo meraviglioso.
Un mese dopo mi chiamò. In quel periodo io stavo lavorando con un cantante pop,
Bobbie Darin. Era anche l'attore. Ed anche con i Copacabana … sì insomma,
stavo facendo un po' di roba commerciale per così dire, giusto per fare qualche
soldo. Quando Bill mi chiamò per me fu fantastico, ed io mollai tutto, dicendo che
quello era il mio sogno e che volevo seguirlo.
A.A.:
Pensa che nella sua carriera ci siano altri episodi altrettanto importanti, altrettanto
determinanti?
E.G.: No, così no. Il solo fatto di poter
essere con
Bill Evans per me è stato determinante, una vera benedizione. Lui
era molto passionale, ed io avevo la possibilità di "suonare". Durante quel periodo
io ho suonato con molte altre persone anche, con altri grandi musicisti. Miles
Davis ad esempio. Lui mi chiamò per suonare con lui e col suo quintetto, ed
anche quella fu un'esperienza meravigliosa. Miles cercava in quel periodo qualcuno
che suonasse il contrabbasso in modo permanente. Ma il mio vero desiderio era quello
di suonare con Bill. Certo che suonare con Miles era un'enorme opportunità. Sai,
non si può fare tutto nella vita, ed a volte ti trovi quasi costretto a fare delle
scelte …
A.A.: Alla Julliard lei ha avuto anche dei compagni
molto importanti, molto influenti nell'ambiente, come
Chick Corea
ad esempio. Poi, anche a distanza di anni, ci si è trovato a suonare insieme …
E.G.: Beh, io ho conosciuto
Chick Corea
già alla High School. In effetti, però, Chick era alla Julliard già prima che ci
andassi io. Quando sono arrivato lì ho incontrato anche altri grandi, fra cui alcuni
musicisti classici come James Levine, o Gary Karr, un meraviglioso
contrabbassista… La Julliard era certamente un'ottima scuola, ma la mia fortuna
è stata anche quella di esserci capitato in un buon periodio. Ma non posso tralasciare
quanto ho imparato fuori dalla scuola. Ero un giovane ragazzo che aveva la possibilità
di suonare in giro, e con i musicisti di cui abbiamo detto, nonchè con altri … Come
ho già detto non si può fare tutto nella vita, ed io volevo anche passare del tempo
con la mia famiglia. E' davvero difficile essere un un buon musicista, "dare" alla
musica, ed al contempo dare alla tua famiglia. Ho provato a fare entrambe le cose
… e credo di esserci riuscito, almeno in parte: mio figlio è meraviglioso, ed è
a sua volta un gran padre. Sono molto orgoglioso di lui. Insomma sono tutte cose
che sono riuscito a fare, e gran parte nel periodo in cui ero con
Bill Evans.
Ne ho fatte anche altre, come suonare con Dizzy Gillespie, registrare con
McCoy Tyner
… insomma, tutte cose meravigliose.
A.A.: Miles Davis e il suo periodo elettrico,
Chick Corea
e la sua electric band…Forse è una domanda singolare per un contrabbassista, ma
ha mai pensato di aver avuto anche lei il suo "periodo elettrico" …o lo ha mai desiderato?
E.G.: No, direi di no! La Columbia records
nel 1972 ebbe un'idea: realizzare un album con
Bill e me. Una collaborazione in cui Bill suonava il piano acustico ed il
piano elettrico ed io il contrabbasso ed il basso elettrico. Andammo in studio e
fu un disastro! Almeno dal mio punto di vista. Ho avuto un basso, ma non l'ho mai
amato veramente, non mi ci sono mai appassionato. Qualcuno può amarlo, e qualcun
altro suonare entrambi, basso e contrabbasso. Stanley Clarke è grande in
questo senso.
A.A.: mmmm …e posto che non si ha un "periodo
elettrico" solo suonando strumenti elettronici o elettrificati, cosa può dirci della
sua esperienza con gli Steps Ahead?
E.G.: Io non ho mai voluto suonare il basso elettrico, anche se mi
piace la musica che fanno alcuni bassisti, e la musica che produce un basso, come
la musica funky. Quando ho lasciato Bill ed ho iniziato ad avere altre esperienze
con altri musicisti, come Jack Dejohnette, John Abercrombie … il mio
modo di suonare ha incontrato nuove direzioni. Questo è il contesto in cui inquadrare
la mai esperienza con gli Steps Ahead, che sono stati un misto tra suono
acustico e suono elettrico. Queste sono le circostanze in cui si può inquadrare
la mia musica di quel periodo, ma è stata più una questione di stile che di periodo
elettrico. Oppure si potrebbe pensare a quando ho iniziato a registrare i miei album,
quelli a mio nome, quando ho iniziato a introdurre molte "macchine" nei modi di
registrazione, negli anni '80 … Però no, non
ho mai avuto un periodo elettrico, non ho mai pensato a me in questo senso, anche
perchè in realtà non ho mai cambiato molto nel mio modo di pensare la mia musica!
A me piace la musica! Mi piace il funky, mi piace il blues, mi piace il R&B, e sai,
mi piace anche il rock, un certo tipo di rock mi piace molto …
A.A.: Un altro step importante della sua carriera
è stata la musica classica. Lei ha suonato anche con grandi musicisti classici,
come il clarinettista Richard Stoltzman per esempio, ed altre importanti
formazioni. Quale è la strada che porta un musicista jazz a misurarsi con questo
genere di musica?
E.G.: Beh, c'è una strada. Io non credo che tutti i musicisti jazz
ci passino attraverso necessariamente, non credo proprio che sia necessario. Però
io ero sufficientemente interessato a percorrerla quella strada. A me piace molto
la musica europea, è una parte di me. Però io sono anche altro: sono portoricano,
amo la musica latin, per dirne una. Ed amo il rhythm ‘n blues, il jazz, sia quello
tradizionale che quello contemporaneo, mi piace la musica Africana, e la word music
… ci sono molte cose che mi piacciono. La musica classica ha un altro gusto, un
altro sapore.
A.A.:
Spesso, quando studiamo musica, i nostri insegnanti si preoccupano di indicarci
cosa appartiene alla musica accademica e cosa appartiene al jazz, sottolineando
magari più le differenze tra le due che altro. Lei pensa che ci sia qualcosa che
le accomuni? Qualche punto di contatto?
E.G.: Assolutamente sì! Sai, ci sono molte convergenze nel linguaggio
dei "romanzi"! La musica è un linguaggio, per cui ci sono certi tipi di musica che
sono più simili fra di loro perchè hanno radici simili. Io penso che la musica classica,
la musica europea, il jazz, hanno qualche radice in comune, o quantomeno simile.
Nell'armonia per esempio, nel linguaggio armonico … Io insegno al conservatorio
in Portorico ultimamente. Ci vado una volta al mese. Una delle cose che sto cercando
di fare è posizionare la sfera della musica jazz e la sfera della musica classica
in modo che possano crearsi delle sinergie. Così ci si può rendere conto che ci
sono più punti di contatto che differenze. Dico di studiare Bach ad esempio,
le Chorales, per capire il moto armonico del jazz, perchè hanno … usano lo
stesso tipo di linguaggio, la stessa nomenclatura.
A.A.: Ma una appartiene alla tradizione scritta,
l'altra alla tradizione orale. Una è …
E.G.: Vero! Però la tradizione orale la si può anche trasmettere scrivendola.
So cosa stavi per aggiungere. Una appartiene alla sfera dell'improvvisazione, del
tempo reale, l'altra alla composizione. Ma quello che facciamo col jazz è anche
composizione, composizione in tempo reale. Però gli elementi della composizione
sono gli stessi, in termini di tema musicale, motivo, allungamenti, diminuzioni.
Tutti gli strumenti della composizione vengono utilizzati nell'improvvisazione,
ma in un diverso e potremmo dire più veloce modo. Ciò che è realmente differente
è il linguaggio, ed il modo di utilizzare il linguaggio che si sceglie: in questo
senso la musica classica, la musica europea è differente dal jazz. Il jazz proviene
da un background africano ed afroamericano, ma non escludo qualche influenza europea
anche. E' un miscuglio potremmo dire, un miscuglio avvenuto in sinergia. E' il linguaggio,
l'accento ad essere differente! Puoi anche studiare jazz sui libri, ma è come per
le lingue: devi parlarlo!
A.A.: Diciamo che la mia era una curiosità interessata.
Io credo che sia come quando vuoi imparare a ballare e vuoi fare danza contemporanea,
o un altro tipo di danza moderna. A scuola di danza come prima cosa ti insegnano
le posizioni, e sono posizioni di "classica", che potremmo considerare come uno
standard d'obbligo per poter imparare …
E.G.: Questa è l'altra cosa che dico sempre ai miei studenti! Per me la musica,
in particolare il jazz, ma la musica tutta … deve avere il ballo, la canzone! Devi
avere l'intelletto, il cervello, l'emozione. Tutte queste cose devono essere insieme.
Allora sarai pronto per avvicinarti all'arte, o quantomeno avrai a disposizione
tutti gli strumenti per poterlo fare. Quindi il ballo e la canzone, l'intelletto
e il cuore, tutte queste componenti devono venire insieme. Come ho detto, ciò che
è differente è il linguaggio, meglio, la lingua, ed in questo modo potrai parlare
di Palestrina, musica medievale, di Corelli, o di Vivaldi,
o di Mozart … di opera o di Debussy o di Stravinskij, o ancora
sarai in grado di parlare di
Louis Armstrong,
di Herbie Hanckok, di Miles Davis, di
Bill Evans
…Tutta la grande musica, l'armonia, utilizza la danza, e tutti questi tipi di musica
possiedono "danza", e possiedono canzoni in se stesse, quella forma di movimento
armonico … la musica è di per sé un tipo di danza. Ciò che è differente è il linguaggio,
gli accenti… Questo è il motivo per cui quando studiavo la musica studiavo un linguaggio
per la classica, un linguaggio per il jazz, e dentro di me mi dicevo che lo spagnolo
era la mia lingua madre, che però mi permetteva di aprirmi ad altri tipi di linguaggi.
Per questo parlo di linguaggio e mi riferisco alla danza, alle canzoni … e successivamente,
quando riesci ad unirci cuore e cervello, passione ed intelligenza, allora riesci,
forse, ad esprimere qualcosa.
A.A.:
Qual è dunque la sua relazione con la tradizione?
E.G.: Tutto ciò che io ho studiato, tutto ciò a cui mi sono interessato,
non è stato premeditato. Non è mai successo che io mi sedessi e dicessi "ora
mi siedo e studio, perchè devo imparare la storia…". Il mio interesse si è sviluppato
col tempo. A 21 anni forse potevo dire di aver appreso qualcosa di questa storia,
e di quella e di quell'altra … Poi, nei miei anni succesivi con
Bill Evans,
ho appreso ancora di più della tradizione … e sto ancora imparando.
A.A.: Lei è stato spesso in Oriente, dall'inizio
della sua carriera, da quando era con
Bill Evans.
Ha anche spesso avuto modo di suonare con alcuni jazzisti dell'estremo oriente,
come il tenorsassofonista Yasuaki Shimizu, il pianista Masahiko Sato,
il pianista Makoto Ozone. Forse penserà sia una domanda ingenua, ma mi sono
spesso chiesta come una cultura così diversa da quella afroamericana come quella
orientale potesse apprezzare la musica jazz. E so che è parecchio apprezzata in
quei mondi! Ha trovato e trova oggi differenze tra il pubblico dei diversi continenti?
E tra i musicisti orientali ed il modo occidentale di suonare?
E.G.: Penso che questa sia davvero una buona
domanda! Non trovo differenze nel pubblico. Sono sia consapevoli sia sofisticati,
o no. Il pubblico per cui ho suonato nel corso degli anni della mia carriera l'ho
sempre trovato molto buono, sofisticato. Musicisti come Shimizu, Masahiko
Sato, il chitarrista Kazumi Watanabe, e molti altri … li ho da sempre
trovati ottimi musicisti. In fondo i grandi musicisti sono grandi, punto! E' comunque
sempre un problema di linguaggio. E' sempre interessante sia che si tratti di un
musicista europeo, un musicista americano o uno orientale, giapponese... è una questione
di quale e quanto linguaggio viene assorbito. Dovrebbe essere più facile per un
Americano suonare jazz, ma temo anche che il musicista Americano, magari non stimolato
ad "apprendere" il linguaggio, si riveli più rigido di quanto possa esserlo un giapponese
ad esempio. In linea di massima dovrebbe essere più facile per un Americano. Ma
un grande musicista europeo, o giapponese, o caraibico, che ha assorbito il linguaggio
ha fatto ciò che spetta ad ogni musicista jazz e quindi è ugualmente grande! Così
come noi occidentali dobbiamo assorbire altri linguaggi, o perlomeno averne una
cognizione: la classica, la musica europea, quella sudamericana, la Salsa dei Caraibi,
la BossaNova...Bisogna essere aperti a tutto quanto questo! Abbiamo prima parlato
di Richard Stoltzman, di Kazumi Watanabe. Beh, abbiamo in cantiere
la realizzazione di un progetto insieme nel prossimo anno. Sto preparando una registrazione
con Kazumi, una o due tracce con Richard Stoltzman, ma ci sarà anche un progetto
con un musicista giapponese, suonatore classico di marimba, Mika Yoshida.
E andrò anche in teatri e festival in Giappone, per suonarvi con Richard e Mika.
Anche Kazumi suonerà al festival, e poi faremo un progetto sulle Variazioni Goldberg,
improvvisando su di esse.
A.A.: Per quel poco che io conosco della cultura
orientale ciò che apprezzo molto è il loro teatro, molto basato ed incentrato proprio
sull'improvvisazione …
E.G.: Hanno una profonda e meravigliosa cultura per teatro, cinema, musica
… tutto insomma. Prima mi hai chiesto della musica classica, e c'è una cosa interessante
che non ti ho detto: mi sono trovato a suonare con l'Ensamble Tashi, che
è un gruppo originale, insieme a Peter Serkin e Richard Stoltzman,
e ci siamo trovati a suonare classica, Beethoven ed altro. Mi è piaciuta molto come
esperienza: è stato quasi come travestirsi da musicista classico.
A.A.: Cosa pensa dell'Italia?
E.G.: Bene, credo che l'Italia stia diventando la mia nazione preferita.
Nell'ultimo anno e mezzo o due mi sono accorto di quanto amo questa cultura, e sembra
anche che loro [gli Italiani] ricambino questo affetto, nel modo in cui mi apprezzano.
Vengo qua dal 1966, qualcuno mi ha mandato i
saluti di
Franco Cerri stasera... con cui fui qua nel
'67, quando avevo 21-22 anni. Dunque, amo l'Italia
e amo la lingua e cerco di impararla … e non diventare scemo. Mi sto impegnando
seriamente. E' difficile, perchè ho studiato un po' di francese e "mi lengua
es Espanol". Il problema è che la somiglianza tra lo spagnolo e l'italiano è
notevole, ma ciò può essere anche "pericoloso" (in italiano), perché ci sono delle
sottigliezze che confondono il senso. Quindi: amo il cibo, l'arte, la storia,
Caravaggio, Raffaello, Michelangelo, la vostra storia con Garibaldi
e Vittorio Emanuele, amo la lingua... Sono interessato alla storia, è affascinante,
andare indietro nel tempo fino alle città stato del medioevo, a Roma, e tutto ciò
che è stato costruito in 2000-3000 anni...Tra parentesi, sono innamorato di Roma,
penso sia una delle più belle città nel mondo.
A.A.: Se non fosse stato un musicista?
E.G.: Non so. Mi piace dipingere ma non so se sarei mai in grado di farlo.
E mi piace scrivere. Mi piacciono queste cose anche perchè il processo di creazione
è differente dall'essere un musicista; fare musica spesso è come uno sport di squadra,
e il confronto con altri e meraviglioso. Ma sono anche affascinato da quando fai
le cose per conto tuo... ad esempio quando componi. Mi piace anche la recitazione
ed il teatro... e anche lo sport. Ma ho molti altri interessi: medicina, architettura...E'
il mondo che è interessante, la scienza è interessante, trovo interessante l'astronomia...
A.A.:
E' facile che non ne esista uno, "solo" uno, ma … quale album le viene subito in
mente quando le chiedono il suo album preferito?
E.G.: E' una domanda difficile. Il primo album che comprai che amai veramente
da giovane (ero un teenager) fu l'album "Garland of Red",
con Red Garland, Paul Chambers, Art Taylor. E' un gran bell'album!
Poi ovviamente mi piace Kind Of Blue, ma l'ho
avuto più tardi. Una delle collaborazioni tra Miles e Gillespie,
Sketches of Spain, è un album molto bello ...
Poi ci sono anche gli altri generi musicali, come sai: Debussy, Prokofiev
or Tchaikovsky …E' davvero difficile sceglierne solo uno.
A.A.: E libro?
E.G.: Libro? Mi piace un libro di Victor Hugo, "Les
Miserables". A mio parere contiene qualcosa di veramente importante a
proposito dell'esperienza umana: la vita si ripete, in modo differente, con diversi
modelli e forme diverse, ma allo stesso tempo accadono le stesse stupide cose!
E' davvero tardi. Ci guardiamo intorno e ci accorgiamo che qualcuno dei
nostri si è abbioccato sui divanetti, qualcun altro invece continua amabilmente
a chiacchierare. Sorridiamo entrambi: è proprio ora di andare a dormire.
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
25/03/2010 | Hal McKusick si racconta. Il jazz degli anni '40-'50 visti da un protagonista forse non così noto, ma presente e determinante come pochi. "Pochi altosassofonisti viventi hanno vissuto e suonato tanto jazz quanto Hal Mckusick. Il suo primo impiego retribuito risale al 1939 all'età di 15 anni. Poi, a partire dal 1943, ha suonato in diverse tra le più interessanti orchestre dell'epoca: Les Brown, Woody Herman, Boyd Reaburn, Claude Thornill e Elliot Lawrence. Ha suonato praticamente con tutti i grandi jazzisti tra i quali Art Farmer, Al Cohn, Bill Evans, Eddie Costa, Paul Chambers, Connie Kay, Barry Galbraith e John Coltrane." (Marc Myers) |
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Data pubblicazione: 11/02/2007
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