ECM - 2008 |
Norma Winstone
Distances
1. Distance
2. Every time we
say goodbye
3. Drifter
4. Giant's Gentle Stride
5. Gorizia
6. Ciant
7. The Mermaid
8. Here Comes the flood
9. Remembering
10. The Start Of Never Ending Story
11. A Song For England
Norma Winstone - voce
Glauco Venier - piano
Klaus Gesing - Clarinetto basso e soprano
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ECM - 1986
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Somewhere
Called Home
1. Cafè
2. Somewhwere Called Home
3. Sea Lady
4. Sometimes Ago
5. Prologue
6. Celeste
7. Hi Lili Hi Lo
8. Out Of This World
9. Tea For Two
Norma Winstone -
voce
John Taylor - piano
Tony Coe - Clarinetto basso e soprano
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Nel 2009 ECM avrà quarant' anni. In attesa
delle celebrazioni ufficiali la gloriosa casa tedesca sta ripubblicando, a prezzo
scontato, quaranta perle della sua lunga collana. La nuova serie si chiama "Touchstones"
e prevede titoli di
Pat Metheny,
John Abercrombie, Keith Jarret, Paul Motian, tra gli altri.
C'è anche un disco del
1986 "Somewhere called
home" nel quale Norma Winstone dava la voce ad un trio, molto
cameristico, con il grande John Taylor e con Tony Coe al clarinetto
ed al sassofono tenore. Sempre nel 2008 Manfred
Eicher ha pubblicato però anche "Distances"
un altro disco – nuovo - della vocalist inglese, in trio con il pianista italiano
Glauco Venier e con Klaus Gesing, che suona il clarinetto basso ed
il sax soprano. La dimensione del trio con piano e fiati è congeniale alla Winstone.
Non per niente fu Azimuth, con Kenny Wheeler e lo stesso Taylor a renderla
celebre.
La storia di Norma Winstone è strettamente legata a quella della
ECM. Norma è una delle voci ECM. Nel senso che incarna perfettamente il senso della
discussa poetica dell'etichetta bavarese: che è lo stare all'incrocio dei venti,
in un paesaggio sonoro vasto ed indistinto, sfumato, malinconico.
Non ci sono grandi differenze fra i due lavori. Forse in "Distances" c'è
meno sperimentalismo, più cantabilità. Ma in realtà la Winstone sembra essere
rimasta fedele, nel tempo, al suo stile, al suo mondo espressivo, nel quale il jazz
è un linguaggio importante ma non unico. Il suo modo di cantare in questo ambito
è molto influenzato da quello della Merrill: la stessa capacità, di dare "consistenza
al soffio", la stessa emotività raccolta, "bianca", un uso praticamente nullo di
effetti spettacolari e virtuosismi. La sua lettura di uno standard come "Everytime
we say Good bye" è in questo senso molto indicativa: rimane infatti sempre
"fedele" alla meravigliosa melodia di Porter, non né da interpretazioni sorprendenti,
si "limita" ad estrarne il senso emotivo più riposto. Lo stesso dicasi per
"Tea for two", giocata su un tempo lentissimo.
La ricerca della cantante inglese entra anche nella sfera della canzone
"leggera" del 900, sfiora la tradizione liederistica dell'800, affonda le radici
forse anche nella musica inglese tradizionale, nella antiche ballads. Quello che
conta alla fine è però l'esito poetico di questo lungo viaggio: una musica soffusa
di malinconia, di lontananze. Brumosa come una brughiera inglese, sommessa ed inquieta,
aristocratica, ostica al primo ascolto ma capace, strada facendo, di trasmettere
all' ascoltatore emozioni non banali. Storie di ombre illuminate, fiocamente, da
un fuoco caldo e quieto.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 21/01/2009
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