Come scriveva già nel 1988 l'imprescindibile
"Dictionaire du Jazz", il lavoro di Pierre Favre è "una perpetua
ricerca sull'estensione dei timbri, sulle combinazioni dei suoni e dei ritmi …la
batteria in quanto tale non è l' elemento essenziale dell'espressione del suo ritmo
interiore". Alla soglia dei settant'anni la ricerca del musicista svizzero è
tutt'altro che conclusa, come dimostra questo fascinoso ultimo cd.Protagonista di
"Fleuve" non è infatti più soltanto l'imponente
set percussivo che Favre utilizza nei concerti e nei dischi. A raccontare
la sua dolce ossessione dei suoni sono questa volta anche inedite combinazioni strumentali:
l'arpa che duetta con un contrabbasso, o una chitarra elettrica, o un basso tuba,
tanto per citare qualcuno dei numerosi percorsi timbrici del disco. Le percussioni
giocano ovviamente un ruolo solistico importantissimo evocando atmosfere swinganti,
cupi e maestosi tempi di marcia, paesaggi ritmici d'Africa. Ma sono per dichiarazione
esplicita dello stesso Favre, tessera di un mosaico prevalentemente melodico.
L'ascolto di Fleuve regala molte esperienze. Un "Albatros"
di malinconico andamento bachiano, giocato fra arpa, chitarra elettrica, soprano
e fruscianti ritmi di jazz. Un "Nile" dove l'arpa
incrocia le armi con il gli ottoni gravi di Godard, con il clarinetto basso
e i suoni misteriosi delle pelli dei tamburi. Una "Mort
D' Eurydice", dove non è il solo titolo a suggerire echi monteverdiani,
ma anche una dolcissima melodia del sax chiosata, dall'arpa e dai tamburi stessi.
Un "Decors" che ha l' andamento di una danza
di corte, ma che è sottolineata da un ritmo medio orientale.
Un'arca di Noè musicale, così definisce Bert Nogick nelle note
di copertina, la ricerca di Pierre Favre.
Operazioni di questo genere possono trasformarsi in una specie di bazar musicale
dove si trova accatastato tutto ed il suo contrario, se non sono attraversate da
un autentico soffio poetico. Favre questo soffio lo possiede.
Marco Buttafuoco per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 08/07/2007
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