Un tributo a
John Coltrane:
questo di
Steve Kuhn non è certo il primo né, di sicuro, sarà l'ultimo.
È allora inutile, rispetto a un omaggio a Coltrane e alla sua musica, chiedersi
il perché – ci sarebbe da preoccuparsi seriamente se non ce ne fossero più. È utile,
piuttosto, "come": in che modo
Steve
Kuhn ha reso omaggio a Trane e cosa caratterizza il suo Mostly Coltrane
e lo distingue dagli altri, innumerevoli tributi. Già il titolo del cd fornisce
un'indicazione essenziale; Mostly Coltrane: "per lo più", "soprattutto" Coltrane
– ma non solo, non del tutto. È questo resto, questo piccolo margine che si sottrae
all'ombra lunghissima del "maestro" che fa la differenza.
Pochi sanno, forse, che
Steve
Kuhn ha suonato con il quartetto di Coltrane tra la fine del
1959 e l'inizio del
1960 per otto settimane al New York City's Jazz Gallery. Non ne è
rimasta nessuna registrazione, ma non c'è dubbio che per il ventunenne Kuhn è stata
un'esperienza decisiva. Scorrendo la lista dei brani di Coltrane eseguiti dall'inedito
quartetto di Kuhn – al suo consueto trio, infatti, si è unito per l'occasione
Joe Lovano – si può notare come sia a partire da quel periodo, e non prima,
che si attinge al repertorio coltraniano, per esplorarlo poi fino alle ultimissime
composizioni, come Living Space, Configuration, Jimmy's Mode.
Sembra quasi che, a distanza di quasi cinquant'anni, Kuhn abbia voluto proseguire
e portare a termine quell'esperienza interrottasi forse troppo presto.
Eppure, non è esclusivamente per una questione di repertorio che in Mostly Coltrane
c'è molto Trane, ma non tutto. In Mostly Coltrane, suonano anche dei grandissimi
jazzisti che, per omaggiare il maestro, non hanno affatto rinunciato alla propria
personalità musicale: il lirismo e la pulizia delle linee melodiche di Kuhn lo rendono
un pianista estremamente diverso dai più "ritmici"
McCoy Tyner
e Alice Coltrane e lo stesso Lovano resta fedele al "suo" sax tenore
in ogni brano, tranne in Spiritual, dove abbraccia il tarogato, strumento
a fiato ungherese, dal timbro malinconico, che contrasta evidentemente con la sonorità
del soprano di Coltrane.
Pur senza le "grandi classiche" My Favorite Things, Naima
o Giant Steps, lo spaccato sull'opera di Coltrane è comunque ricco: si
va dal post-bop di Like Sonny al free di Configuration, agli standard
coltraniani I Want To Talk About You e The Night Has A Thousand Eyes
(tracce della lontana esibizione newyorkese del 1960).
In Mostly Coltrane, però, al di là della filologia, è soprattutto il pathos
e lo "spirito" di Coltrane a essere pienamente rispettati. Come ne sono testimonianza
le due composizioni a firma di Kuhn, l'inedita With Gratitude e la classica
Trance, che il pianista esegue in solo: un tributo nel tributo, personale
e commosso.
Dario Gentili per Jazzitalia
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
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Data pubblicazione: 28/10/2009
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