ECM, 2009 (2077, distribuzione Ducale)
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Jon Hassell
Last Night The Moon Came Dropping Its Clothes In The Street
1. Aurora
2. Time and Place
3. Abu Gil
4. Last Night the Moon Came
5. Clairvoyance
6. Courtrais
7. Scintilla
8. Northline
9. Blue Period
10. Light on Water
Jon Hassell - tromba (1-4, 6, 8-10),
tastiere (3, 6)
Peter Freeman - basso elettrico (1-6, 8-10), percussioni (2),
chitarra (7) samples (9)
Jan Bang - live sampling
Rick Cox - chitarra (1, 2, 4, 7, 9), archi (4)
Jamie Muhoberac - tastiere (1, 2, 4, 9) batteria (4, 9)
Kheir Eddine M'kacich - violino (2-5, 7)
Pete Lockett - batteria (2)
Eivind Aarset - chitarra (3, 8-10)
Helge Norbakken - batteria (3, 8, 10)
Thomas Newman - archi (4)
Dino J. A. Deane - live sampling (6, 7)
Steve Shehan - percussioni (6, 9)
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Trascorsi ventitre anni da quel capolavoro che fu "Power Spot" (le session,
con la supervisione e di Brian Eno e Daniel Lanois risalgono addirittura all'ottobre
1983), e, dopo il bell'episodio di "Fascinoma"
(al quale seguì Maarifa Street: Magic Realism, Vol. 2), Jon Hassell
ritorna in casa ECM con un lavoro che testimonia le ultime "visioni" compositive
del settantaduenne trombettista di Memphis.
Composizioni soffuse ed eteree costituiscono
questo disco parzialmente dal vivo registrato tra Avignone, Londra e Courtrais dal
titolo lunghissimo, tratto dai versi di Rumi, celebre poeta persiano vissuto
nel 1200. Hassell edifica qui insormontabili castelli sonori fondati su tappeti
modali talvolta liquidi e impalpabili. In altre occasioni tace nella giostra dei
suoni che via via si sovrappongono come propaggini provenienti da uno spazio lontano
e indefinito. Preferendo giocare su tematiche dove il pedale si forma in progressioni
notturne e sovente introspettive, il trombettista statunitense predilige in questo
modo orchestrare con l'elettronica tutta la sua impalpabile e aleatoria liricità.
Sempre moderna, sempre più che al passo coi tempi - diremmo decisamente
"avanti" - come quasi un proseguimento più maturo e profondo delle magistrali intuizioni
presenti nel già citato "Power Spot". Arabeggianti nenie dal sapore antico navigano
mutevoli lungo costellazioni imprevedibili dove la sostanza stessa del suono si
fa iterazione, circostanza relativa, spesso mutevole. Gli altri musicisti presenti
al progetto e tra di essi l'insostituibile apporto di Eivind Aarset
partecipano equamente alla spartizione di questa lunga poesia animata che sembra
amalgamarsi prolungando ipotesi, assemblando sospensioni e piccole cellule tematiche
che costituiscono il "continuum work in progress" di questa musica evocativa che
prosegue per immagini (tra questi alcuni "copia e incolla" sono tratti da musiche
scritte per The Million Dollar Hotel di Wim Wenders).
Altrove si rintracciano echi di Caravan, la composizione del 1937
di Juan Tizol e Duke Ellington, quasi come voler dare una nuova propagine di quel
jungle style spesso blasfemamente definito da un ventennio world music (Hassel
preferisce definire tutto ciò "musica del quarto mondo").
Il lavoro di Hassel va ben oltre questi parametri ma è mosso semmai
dalla prosecuzione di un nocciolo armonico arricchito sempre da sinuosi violini,
da un basso elettrico in slow dub, da un piano elettrico sibillino, della
sua stessa tromba legata a sequencer e a un live sampling di effetti dai suoni decisamente
inauditi. Ad essi si aggiungono quei reticolati chitarristici che sollecitano e
amplificano le onde e il movimento graduale che svuota l'intero involucro sonoro,
catapultando chi ascolta in un mondo fatto da una interminabile ipnotica elegia.
Un disco meraviglioso al quale oggi non si può preventivamente darne una
valenza superlativa ma, come fu per il suo predecessore ECM, avrà modo nel corso
degli anni di essere vivisezionato e analizzato a fondo per comprenderne l'esatta
simbolica bellezza.
Gianmichele Taormina per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 14/04/2009
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