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Intervista a Gianluca Pellerito
luglio 2013
di Daniela Floris
foto di Daniela Crevena

Gianluca Pellerito ha 19 anni e già dieci anni di carriera alle spalle come batterista. E le cose da chiedergli sono molte.

Come è nata la tua passione per la batteria?
Avevo la batteria in casa, la suonava mio padre e immediatamente, da quando sono nato, ho cominciato ad approcciarmi allo strumento. Ho iniziato definitivamente a due anni utilizzando come bacchette le forchette e suonando per terra. Poi a quattro anni mi sono seduto alla batteria di mio padre e di lì abbiamo continuato sempre più in alto.



Parliamo del percorso che ti ha portato in questi giorni a suonare qui ad Umbria Jazz, con Michael Rosen, Ross Stanley e Alfredo Paixao, che compaiono anche nel tuo disco.

Oh, loro sono miei carissimi amici, i miei compagni di viaggio.

Però un percorso c'è stato, no?
C'è stato un grande percorso. Una tappa che ritengo essenziale per la mia carriera di musicista è stata la mia partecipazione nel 2002 qui a Perugia alle clinics della Berklee School.

Quanti anni avevi?
Avevo otto anni, e proprio la ha avuto inizio un percorso di studi che poi mi ha portato a cominciare a fare concerti e, di conseguenza, a conoscere sempre più musicisti. Cinque anni fa poi ho incontrato Michael Rosen, siamo diventati molto amici, e anche veri e propri soci e colleghi. Michael è uno dei miei migliori amici nonostante ci siano un po' d'anni di differenza…l'amicizia non ha età. Quasi subito abbiamo cominciato a plasmare una band per poterla tramutare in un progetto vero e proprio.

E' quasi incredibile a dirsi, ma tu qui stai festeggiando il tuo decennale di attività come musicista.. e hai solo 19 anni!
Si, diciamo che quest'anno in occasione del mio concerto si festeggiano diverse cose: non soltanto l'uscita del disco nuovo ma anche alcune tappe fondamentali della mia vita: sono passati dieci anni dalla prima volta che sono venuto a UJ, e cinquanta anni dalla pubblicazione del primo disco di Herbie Hancock.

Ecco, a proposito: il cd che presenti qui a Perugia si intitola " Jazz My Way" ed è un tributo non a un batterista, ma a un pianista: Herbie Hancock, per il suo cinquantennale. Perché proprio lui?
In effetti pianoforte e batteria sono due strumenti molto differenti tra loro. Ma io ho pensato ad Hancock perché lo ritengo il vero e proprio "padre fondatore" della mia musica. Quando nel 2002 venni qui a Perugia per le clinics della Berkeley ebbi la grande opportunità di fare il saggio finale in Piazza IV Novembre: il brano che mi assegnarono fu proprio "Cantaloupe Island" di Hancock…da lì è cominciato tutto...

Sei nato con lui, quindi? E perché ti ha particolarmente ispirato?
Come detto, lo ritengo il padre della mia musica…e questo per me è molto importante. Lo stimo moltissimo, è un musicista che adoro. Mi ha assolutamente cambiato la vita, e non soltanto per quel meraviglioso episodio che ricordo con grande emozione nel 2002, ma perché questo ha permesso la concretizzazione di un progetto che si è avverato con l'uscita di un disco...è il mio primo disco da protagonista e per me è sensazionale.

Ma Hancock ti ispira anche musicalmente?
Di certo 2002 è stata una coincidenza, devo ammettere che nonostante mi avessero affidato un brano di quel calibro io non lo conoscevo nemmeno. Avevo solo otto anni e la mia predisposizione alla musica era orientata sul funk e sul fusion, solo a dodici anni mi sono avvicinato al jazz. Quattro anni di studio ed è nato l' amore per questo musicista grandissimo.

E se dovessi invece parlare di un batterista importante per te?
Il mio batterista preferito è Peter Erskine: non soltanto è una persona fantastica, ma è anche il mio grande maestro, ho inciso con lui nel 2009 e con Alex Acuña e una grande orchestra. Ancora oggi continuiamo a sentirci, è contento dell'uscita del disco, ha già sentito alcune tracce ed è molto soddisfatto, continua a seguirmi e a darmi le sue meravigliose dritte. Avere alle spalle un maestro come lui mi da molta sicurezza.

Tu parti dalla Sicilia e a diciannove anni hai già suonato in giro un po' per il mondo. Addirittura, anche per la famiglia Kennedy, per quanto è stato scritto. Hai avuto una grande esperienza a Londra, suonando in contesti sia jazzistici che con gli Incognito che sono più pop. Hai sicuramente talento e forza di volontà. Se dovessi pensare ad un a una persona che ti abbia particolarmente aiutato, chi indicheresti?
Devo tutto a mio padre che mi sta sempre vicino e mi ha sempre incoraggiato. Affrontiamo questo meraviglioso percorso sempre insieme, cercando di divertirci il più possibile e soprattutto con la massima concentrazione. E poi penso ai miei concittadini palermitani, i miei siciliani, che mi sostengono, tutti i miei fan, i miei amici, la mia ragazza che è molto presente.

Sei circondato di gente che ti incoraggia…
Si, a me piace molto questa cosa, sono molto contento.

Quanto tempo dedichi allo studio, quanto alla composizione e qual è la tua giornata tipo?
Sono felice, perché cinque giorni fa ho dato l'esame di maturità classica. E' stata dura, ma ora ho finito con la scuola e la musica da adesso avrà la priorità. Studio quattro ore e mezza al giorno, ripartite tra composizione, strumento, lettura. Ho cominciato a comporre un anno e mezzo fa, quando mi si è presentata l'occasione di poter fare un disco e di poter inserire un mio brano originale. Ora ne ho molti da parte da modificare ed ultimare, ma sono contento di aver composto "Jazz My Way", che oltre ad essere il mio primo brano originale ad essere pubblicato ha anche dato il nome al disco.

E rispecchia il tuo jazz, lo dice il titolo…
E' un brano dedicato a Hancock ed è un brano dove ho inserito tutto me stesso, in effetti il timing e il drumming sono di matrice fusion e funky e mi rispetta in pieno.

Ti è stretta la definizione di enfant prodige? Ci pensi al fatto di essere appena diciannovenne, un'età in cui i tuoi coetanei sono a distanza siderale da te? Ovvero, tu ti ritieni un batterista e basta a prescindere dalla tua età, o sei consapevole di essere comunque un diciannovenne con dieci anni di attività alle spalle? Il che non è proprio usuale.
Mi rendo conto di aver fatto un grande percorso. Ho studiato tante cose, mi sono relazionato con musicisti diversi, e questo per me è stato molto importante, per poter comprendere quel che è fino in fondo l'essenza della musica. In assoluto il mio futuro, lo vedo basato sulla musica. Il prossimo anno voglio andare a Boston, alla Berklee, e lì terminare i miei studi, perché non ho ancora finito, anzi credo di aver appena iniziato. Ho completato la scuola, ora ho tempo pieno per potermi dedicare alla musica. Sono contento di essere un batterista. Sono un batterista.

Ad un certo punto si termina di essere giovanissimi talenti, si diventa adulti nel senso pieno del termine e si "perde" la qualifica (e lo stupore ad essa legato) di "enfant prodige". Sei pronto a questo? Hai colleghi che hanno superato bene il momento, per esempio Francesco Cafiso, Mattia Cigalini, a Dino Rubino. Come deve lavorare un artista così giovane per distogliere l'attenzione dal fattore anagrafico ed incentrarla sulla propria musica?
Devo dire la verità: il termine enfant prodige è un appellativo che mi porto dietro da tantissimo. Sono uscito dall'età infantile, posso dire, ieri. Sono ancora molto piccolo, ma ho intenzione di proiettarmi all'interno del mondo dei musicisti veri, della vera musica, di essere un vero musicista a tempo pieno. Non solo non ho paura, ma non vedo l'ora. Non vedo l'ora di cominciare.

Come definiresti il tuo drumming? Cosa trovi di espressivo nella batteria? Quanto conta la tecnica e quanto ciò che è dentro di te?
Posso rispondere dicendo che la musica è vita e che non c'è uno strumento che esprime una propria filosofia rispetto ad un altro. Ogni strumento differisce dagli altri, ma alla fine tutto va a confluire nella musica, che è un qualcosa di straordinario e meraviglioso. Io con la batteria cerco di esprimere me stesso. Il suono è l'espressione dell'esecutore. Deve emergere questo. Quando suono rido, guardo i musicisti, ci incitiamo a vicenda, tiriamo fuori un drumming funky - fusion che fa paura, spingiamo tantissimo! Nel jazz cerchiamo di essere più raffinati possibile che è fondamentale; cerchiamo di far emergere la raffinatezza, la classe.

I tuoi prossimi impegni?
Stiamo definendo una tourneè americana, e l'impegno più grande si baserà sulla concretizzazione dei miei studi andando alla Berkeley il prossimo anno.

Vorrei che concludessimo parlando del tuo disco "Jazz My Way"
E' un disco che esprime me stesso. Ieri quando l'ho suonato dal vivo, mi guardavo negli occhi con mio padre e la commozione era allucinante: presentare qui a Perugia ufficialmente il mio lavoro ha lasciato un segno profondo nella mia vita. Oltre al mio pezzo originale abbiamo scelto i brani di Hancock cercando di plasmare un repertorio che ripercorra le tappe della vita di questo straordinario artista: "Cantaloupe Island", "Watermelon Man", e pezzi molto artistici come "Butterfly", con l'ausilio della voce di Yoyce Yuille. Poi pezzi come "Rock it", che è totalmente fuori dalle corde di Hancock. Parliamo di rock, un genere molto più duro. Abbiamo cercato di far emergere quello che mi piace di più, rispettando i gusti musicali miei e della mia band.

E' proprio il caso di dire che questo disco è un po' la sintesi di ciò che ami.
Si. E poi per me è stato importante aver potuto concretizzare questo progetto grazie ad un' etichetta di prestigio quale è la Emarcy, della Universal: hanno creduto in me, e per me questo è un grande onore.

E' stato registrato dal vivo?
Si è un live registrato l'anno scorso a Umbria Jazz Winter. E poi promosso qui ad Umbria Jazz.







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Data pubblicazione: 27/10/2013

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