Arrigo Arrigoni
Jazz foto di gruppo
Mito, storia, spettacolo nella società
americana
ll Saggiatore, Milano, pagg.528
Un libro, fitto, reticolare. Dove si parla di jazz per raccontare l'America e dove
si racconta l'America per parlare di jazz. Una storia del jazz non può che essere
sgradevole. Ci sono troppi peccati alla sua origine perché il jazz possa ritrovare
una leggibilità lineare che ignori questi peccati peraltro irrimediabili. Sono colpe,
con le quali la comunità afroamericana, senza averne la responsabilità, ha sempre
dovuto fare i conti. Quasi a doversene giustificare. Microstorie, milioni di microstorie
che inesorabilmente sono filtrate nella loro musica. La prima parte del libro
dal titolo La schiavitù è genocidio illustra bene questa tesi. Seguono le
microstorie che Arrigoni narra con penna partecipe. E sono davvero tante: se non
milioni, qualche centinaio, almeno. Lavoro poetico, o meglio, rapsodico, per il
suo aprire delle parentesi liriche su questo o quel musicista -spesso poco più di
un nome per le storie del jazz ufficiali- e del quale qui si narrano vicissitudini,
inquietudini esistenziali, difficoltà, conquiste artistiche. Leo Watson con il suo
vocalese spiritato esce dal dimenticatoio, assieme all'altro cantante atipico
Slim Gaillard; Tadd Dameron e l'arrangiamento per organico be bop viene valorizzato
meglio di quanto solitamente facciano i manuali di storia del jazz. L'affollamento
di personaggi, fatti, dati, situazioni, città, eventi noti e dimenticati è ben rappresentato
dalla copertina, uno scatto del fotografo Art Kane:A great day in Harlem.
Una illustrazione storica dove si affastellano uno sull'altro -come a scuola- un
nutrito gruppo tra i migliori musicisti degli anni Cinquanta e che sembra dirci
in quale misura oggi la storia del jazz la possiamo leggere tutta insieme o piluccando
qua e là, senza per forza doverla ordinare in un prima e un dopo. Proprio come si
guarda una istantanea. Scrive l'autore: in una foto c'è un inizio e non c'è una
fine. Quando si guarda una foto si può partire da dove si vuole. Si può saltare
da sinistra a destra, da un viso all'altro, dal primo piano allo sfondo. Così è
questo libro. È un viaggio senza tragitti predefiniti…
Arrigoni scrive di jazz dagli anni Sessanta e ha maturato prestigiose collaborazioni,
da Musica jazz a Jazzland. Qui prova a compendiare una vita di studi e riflessioni
sulla musica afroamericana, cercando sempre uno sguardo non banale su quella realtà.
Brevi ritratti dei maestri del boogie mentre poche pagine dopo si parla dei Presidenti
degli Stati Uniti d'America. Dal mito americano del treno a Duke Ellington
descritto come un "faraone". Dai musicisti renitenti alla leva durante la Seconda
Guerra mondiale (e non si tratta del solo Lester Young, precisa l'autore)
alle grandi orchestre swing segregate, dove il bianco e il nero non si incontrano
se non sporadicamente e spesso di nascosto dal pubblico. Mille argomenti; ma Arrigoni
non spiega più di tanto, tenta piuttosto di suggestionare il lettore e questo è
un bene. Non ci parla in astratto del "problema sociale" dei neri, lo rivive in
decine di aneddoti. La trama trova da sé la propria razionalità e ciascuno può decidere
come dipanare la propria matassa.
Franco Bergoglio per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 26/12/2010
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