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Nero, free, di sinistra
Appunti sul jazz "politico" degli anni Sessanta
di Franco Bergoglio

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Questo saggio, è stato pubblicato nel volume:
A.A.V.V., La comunicazione politica, a cura di Fabizio Billi,
Milano, Edizioni Punto Rosso, 2001.

1. introduzione 2. Le Lotte, il Rock e…il Jazz Politico 3. Il Free: motivazioni politiche, motivazioni estetiche 4. Le critiche al free
5. Una variante: le critiche incrociate dei critici free 6. L'arte nera 7. Il ruolo del Jazz nell'immaginario politico 8. Jazz e politica in Italia

Le critiche al free

Una musica come il free, con una manifesta volontà di èpater les bourgeois nelle performance pubbliche, non poteva non raccogliere giudizi aspri. Questo avvenne in misura anche maggiore rispetto a quanto era già accaduto con il bebop vent'anni prima. Segno che, nonostante la maggior preparazione, la critica non era in grado di seguire immediatamente gli sviluppi di un'arte che richiedeva una conoscenza compiuta dei fattori socio-culturali che la muovevano. In molti casi fu la critica "progressista" che aveva difeso il bop a rifiutare il nuovo, che non era in grado di capire in base a metri valutativi non più adeguati. Il free venne spesso bollato come incomprensibile. La risposta di Carles e Comolli è perentoria: "una simile tesi finisce per confondere le esigenze delle masse con le esigenze culturali, ma anche economiche e politiche, dell'ideologia dominante; nonché per occultare totalmente il problema di quali potrebbero essere le effettive urgenze culturali delle masse con quanto l'ideologia, sotto la veste della domanda, attribuisce e inculca loro e formula per loro conto (e anche attraverso loro). Il free jazz, intraprendendo una polemica contro ciò che prevale nei gusti popolari (…) compie un preciso sforzo per rompere non con il pubblico, ma con l'ideologia che lo pervade…".[1]



Difficile immaginare una argomentazione più stringente, che spiega la rigorosa filosofia che si agita dietro la presunta "illeggibilità" del nuovo linguaggio musicale e nello stesso tempo sferza la critica per la sua connivenza con la standardizzazione dei gusti imposta dal mercato alle masse. Le argomentazioni utilizzate non sono lontane da quelle introdotte dalla scuola di Francoforte -segnatamente da Marcuse- per spiegare l'effetto dell'ideologia in una società capitalistica di massa. Quindi la critica che esalta la natura popolare del jazz contro l'intellettualismo elitario degli esponenti del free non fa che rafforzare, magari inconsciamente, l'assunto dell'ideologia dominante. Il free si mostra più vicino agli interessi delle masse "ponendosi contro l'idea che esse hanno della loro musica" di quanto non abbia fatto l'altro jazz che, bene o male, è stato collocato al servizio dell'America bianca. [2]

Questa tesi è una evoluzione di un'intuizione di Leroi Jones, il quale fin dal 1963, dichiarava, a proposito della musica nera contemporanea, che questa si era nuovamente collocata al di fuori della cultura ufficiale americana, dopo una parentesi in cui gli stessi jazzisti negri si erano lasciati immettere nel giro della cultura bianca. Puntualizzava Jones: "Il che non vuol dire che tale musica (il free) sia una più radicale, o più illogica, applicazione della filosofia cinetica che ha improntato di sé la musica negra fin dal suo inizio in America. La musica negra è stata sempre radicale nei confronti della cultura ufficiale americana".[3] I messaggi politici vennero dopo la metà degli anni sessanta, quando il movimento nero inasprì la propria attività. Ma nell'analisi della critica il messaggio politico viene immediatamente negato e svuotato di valore. E' il problema di ogni avanguardia che decida di immergersi nella realtà e di non aspettare che questa cambi, dall'alto di una inaccessibile torre d'avorio; il free, come altre manifestazioni avanguardistiche novecentesce rovescia a sue spese l'adagio primum philosophare, deinde vivere. Ritorna il discorso sul rapporto tra musica e rivoluzione, tra musica e impegno politico, i critici tornano a parlare di asemanticità dell'arte, di "separazione" tra il testo dell'opera e l'interpretazione personale dell'artista dove solo il primo conta ed è passabile di analisi. Così questi critici "si impegnano solo sul terreno della musicologia", prendendo in considerazione esclusivamente i valori musicali del jazz; e in base a questi il free viene definito anti-jazz. "Quando la critica asserisce di non interessarsi che di fatti musicali finisce di ingannarsi, perché non avverte che quanto appartiene alla sua definizione di ciò che è musicale o meno, nei suoi criteri estetici e nella sua concezione dell'arte, è determinato da una cultura e da una ideologia che sono nella circostanza la cultura occidentale e l'ideologia dominante nella società capitalista. Limitando la controversia al solo piano delle differenze d'ordine musicale tra free e jazz, la critica si vieta anche l'interrogativo sulla ragione d'essere di queste differenze. E così lo sviluppo del free jazz è magicamente collegato all'insorgere nel jazz di una disposizione morbosa maligna: la decadenza" [4].

Decadenza: termine paravento che cela la più grande soggettività di giudizio senza tener conto di parametri che non siano quelli usuali nel giudizio estetico. Rispetto ad una musica che si rifiuta di essere "necessariamente" bella, perché questa è una qualità che non appartiene al suo sistema filosofico e preferisce essere concreta, che rifiuta di piacere al pubblico perché ne denuncia l'alienazione dovuta all'ideologia del mercato artistico, la critica si rivela tragicamente conservatrice ed inadeguata. In Francia si accese addirittura una polemica che vide coinvolti la rivista specializzata Jazz Magazine e il quotidiano Le Monde. La posizione di Lucien Malson, autore dell'articolo per Le Monde, si risolveva in una velata accusa di zdanovismo mossa a quei critici che faziosamente cercavano di identificare troppo strettamente potere nero e free jazz, correndo il rischio di valorizzare a tal punto l'ideologia da perdere di vista il livello estetico dell'opera d'arte. La risposta arrivava da Jean-Louis Comolli, uno degli autori di Free Jazz Black Power, testo fortemente orientato politicamente di critica militante che, fin dal titolo, corre su una fune tesa nel vuoto e minaccia ad ogni istante di cadere nel baratro paventato da Malson e di proporre un impegno della musica come una concatenazione di causa-effetto troppo brutalmente meccanicistica. Meglio l'indagine di Leroi Jones, secondo il giudizio di Malson, più realistica nell'affrontare il terreno sociologico. La risposta di Comolli risulta, secondo Mauro, schematica ma suggestiva: "il jazz è quella musica funzionale, o quanto meno espressiva che la musica occidentale non è. Per questo ha a che fare con la sociologia, l'ideologia, la politica". Comolli continua spiegando come questa relazione si è affievolita con l'occidentalizzazione del jazz e che il free ha riscoperto. La critica non se ne è avveduta subito perché impegnata in una lotta per il riconoscimento del jazz e, per ottenerne la consacrazione, ha tentato di integrarlo nella tradizione occidentale. Il jazz è sempre stato impegnato e questo lo riconoscono o lo rivendicano musicisti come Roach, intellettuali neri come Jones e studiosi attenti come Hobsbawm. Ornette Coleman ha sintetizzato in una sola rapidissima frase, quasi fosse un passaggio eseguito al suo sax alto, i fiumi di parole spesi in questo e in identici dibattiti che si sono avuti in America come in Italia: "Rivoluzionario è il jazz in sé, il fatto che il jazz esiste".[5]

Al di là dei nessi politici troppo facili, quando Comolli parla della nuova prospettiva: "non più nella fusione delle influenze occidentali con le radici africane, ma in quella della loro resistenza a fondersi…, per Mauro sta introducendo una "ipotesi nuova e singolare, mai affrontata sinora in termini così netti" [6]. Quando il trombettista Bill Dixon nel 1964 organizzò quattro giorni di concerti sotto l'insegna "The October revolution in jazz" (un modo ironico di promuovere l'avanguardia), tentava una operazione di auto-mecenatismo volta a diffondere le nuove idee. Certo non si aspettava che il movimento avrebbe esaurito così in fretta la sua carica propulsiva. Di quei concerti, cui assistettero soprattutto musicisti, critici, e intellettuali, rimane una cronaca di Dan Morgenstern, giornalista della rivista Down Beat (tra le più autorevoli dedicate al jazz) che mostra come parte della critica avesse riconosciuto quasi immediatamente l'importanza del nuovo jazz. Morgenstern parla di "assalto al presente e a gran parte del passato", di "anelito alla gioia e alla libertà", del fascino trasmesso da una ricerca musicale condotta in fieri. Quando il giornalista si pone la fatidica domanda: "Ma è jazz?", la sua risposta ne rivela la competenza e la saggezza, sgombrando immediatamente il campo dai pregiudizi e spuntando in modo pacato le armi alla critica più ottusa: "Qualunque cosa sia non le si deve fare torto facendo paragoni ingiustificati. Accusare un batterista di non avere swing, nel senso che chi lo critica ha in mente, è scorretto e senza costrutto. Pretendere aderenza a moduli formali che i musicisti evidentemente respingono è altrettanto sciocco che accusare un pittore informale di non rappresentare la realtà". Vista in prospettiva storica, l'ipotesi di un jazz rivoluzionario si è mostrata figlia del tempo di una breve –seppur epocale- stagione di cambiamenti. L'urlo rimane gesto fine a se stesso e perde il suo valore di contestazione quando cambiano le condizioni sociali e politiche dell'ambiente circostante. Inoltre un movimento d'avanguardia che nasce con una pars destruens così fortemente caratterizzata e vive nella totale destrutturazione di ogni linguaggio finisce per negare validità anche alla sua forma di espressione e a condannarsi ad un grido sempre più rabbioso e dunque al silenzio. Di nuovo i musicisti si ritrovano tra le mani un'arte svuotata di senso culturale. Parafrasando Leroi Jones, la musica fucile, iconoclasta senza possibilità di compromesso, ha finito per eliminare se stessa, eco americano per le parole di Albert Camus: "La maggior probabilità di autenticità è oggi, per l'arte, la maggior probabilità di fallimento". [7]


[1] Carles e Comolli, op. cit., pp.272-273.
[2] Carles e Comolli estendono una classica argomentazione di Leroi Jones sull'hard bop: "…E' aumentato il numero di quei negri (jazzisti o altro) i quali, spintisi con successo in quella amorfa cultura americana, non hanno saputo più ritrovare la filosofia sociale ed emotiva, che ha tradizionalmente ispirato la musica afroamericana. Gli hard-boppers alla fine si trovarono tra le mani una musica tanto priva di senso culturale nella sua fasulla emotività quanto quella di Mantovani: una musica d'atmosfera per università negre".Leroi Jones, Il popolo del blues, Torino: Einaudi, 1968, pp.231-232.
[3] Leroi Jones, op. cit., p.231.
[4] Carles e Comolli, op. cit., p.276.
[5] Intervista di Ornette Coleman, in: Cane, op. cit., p.79. Cane usa questa frase come titolo per il capitolo dedicato a Coleman. Pasolini ha paragonato l' "esserci" dell'opera d'arte all' "esserci" del nero argomentando nella stessa maniera di Coleman: "Un negro che presenti la sua faccia –nient'altro che la sua faccia, ossia la sua negritudine esistenziale- in un cocktali tutto di purissimi anglosassoni, in un quartiere residenziale, dove è proibito abitare perfino ai sudeuropei!, compie evidentemente un atto di rivolta. Col suo stesso esserci, col suo stesso esserci come negro. Ebbene, l'opera di un autore è come la faccia di un negro. E' con la sua stessa presenza, con il suo esserci, che è rivoluzionaria. E ciò, secondo me, non avviene affatto a livello sovrastrutturale, ma strutturale. Infatti l'intera strutttura è messa in ballo e in pericolo, dal solo esserci della faccia di un negro o dell'opera di un autore". P.P.Pasolini, "il caos", op. cit., 81. Lo scandalo dell'esistenza in Pasolini e Coleman, un intellettuale bianco e un musicista nero accumunati nella diversità: per Pasolini consiste nel suo essere intellettuale ed in questo è simile al nero afroamericano; perché l'intellettuale e l'uomo di colore sono "fratelli nella segregazione" e nella lotta che devono ingaggiare contro il sistema. Questa pagina è ispirata a Pasolini da un articolo di Ombre Rosse (rivista del movimento studentesco) che porta come epigrafe una frase di Stokely Carmichael: "Gli intellettuali non c'interessano per quello che fanno, ma per quello che fanno per noi". I leaders del movimento nero sono un costante riferimento per tutti i giovani contestatori europei dei Sessanta.
[6] W. Mauro, Jazz e universo negro, op. cit., p. 219. Nel libro si legge una sintesi della polemica Comolli-Malson alle pp. 218-219.
[7] Albert Camus, L'uomo in rivolta, Milano: Bompiani, 1980, p.300.


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La gallery di Roccella Jonica 2006 (Francesco Truono)

08/10/2006

BlueLocride, l'edizione 2006 di Roccella Jonica: "Superato il ragguardevole traguardo dei cinque lustri, il festival di Roccella, giunto alla sua XXVI edizione, continua a espandersi nel tempo e nello spazio, abbracciando il capoluogo e l'intera Locride ..." (Vincenzo Fugaldi)

22/09/2006

Continua con un articolo sul pubblico del jazz, l'analisi del rapporto tra Jazz e Politica: "Il pubblico del jazz è cambiato costantemente nel corso della sua vicenda: come del resto è cambiata rapidamente la musica. Non solo: il pubblico è anche una fonte di conoscenza importante..." (Franco Bergoglio)

06/09/2006

Gaslini plays Sun Ra (Giorgio Gaslini)

10/08/2006

Jazz e Politica: "Attaccato di volta in volta da destra, da sinistra, dai custodi della morale, dalla cultura "ufficiale", il jazz è sempre stato sottoposto a pressioni. Questo accade perché il jazz è il nemico mortale di ogni conformismo sociale..." (Franco Bergoglio)

15/07/2006

Intervista a Cinzia Eramo: "...improvvisare è come trovarsi costantemente sul filo del rasoio, non sai dove arriverai, che strada prenderai, se non dopo averlo fatto, sai solo da dove vieni e quello che possiedi..." (Alceste Ayroldi)

17/04/2006

Nuova gallery con le foto di Barbara Rigon

16/04/2006

Jazz e Politica, la semantica del jazz: "...la musica come tutte le arti è una espressione compiuta e consapevole, il suo significato autoreferenziale non necessita di ulteriori costruzioni a posteriori: né da parte dell'autore né da parte della critica...(Franco Bergoglio)

11/04/2006

Jazz e Politica: "Le storie del jazz non si contano, come sono molto numerosi romanzi e racconti che si occupano a vario titolo di jazz. In molti di questi lavori è presente una messe di argomenti, dati, fatti, che opportunamente legata potrebbe costruire una affascinante avventura intellettuale... (Franco Bergoglio)

04/03/2006

Musica e politica, oggi?! A colloquio con l'etnomusicologo e sassofonista Jerome Camal, assistente alla Washington University di Saint Louis (Franco Bergoglio)

04/03/2006

Il Metasassofono: Introduzione ad una estetica jazz. "Il jazz unisce e congiunge fin dalle radici etimologiche del suo nome, che rimandano a illecite fornicazioni. Mescola le razze, le culture e le idee dietro il meraviglioso concetto che l'imbastardimento produce il bello..." (Franco Bergoglio)

25/01/2006

Nuova gallery a cura di Davide Susa con le foto del Festival di Ronciglione Jazz 2005

12/12/2005

Ritratti di Omar Sosa e Charlie Haden (Ziga Koritnik)

18/07/2005

Ornette Coleman a Roma e Napoli: "Un po' come nella sua musica, Ornette, sembra voler fare a meno del superfluo, di quella patina inconsistente di formalità...Sembra quasi che con il passare degli anni la musica di Ornette sia diventata meno complessa e più 'democraticamente' fruibile." (M. De Masi, F. Ughi)

27/06/2005

Charlie Haden apre Terniinjazz 2005 supportato dallo splendido scenario delle Cascate delle Marmore: "...Chi abbia mai ascoltato qualcosa di Charlie Haden saprà benissimo che nelle profondità curvilinee del suo ligneo contrabbasso, batte un cuore sensibile e appassionato..." (Antonio Terzo)

04/09/2004

Charlie Haden, Carla Bley, e la Liberation Music Orchestra: "Carla Bley è splendida nell'intonare l'Orchestra, nell'attribuire compiti e tempi...Haden è semplicemente magistrale..." (Alceste Ayroldi)

31/07/2004

La rassegna Terniinjazzfest, giunta alla sua quarta edizione, vede due protagonisti di rilievo: un pezzo di storia del jazz, il grande sassofonista nero-americano Archie Shepp ed un pezzo di storia dell'Umbria, la Cascata delle Marmore. (Antonio Terzo)

10/01/2004

Music is the healing... - Attica Blues (Albert Ayler - Archie Shepp)

06/09/2003

Archie Shepp: "...Con incedere lento, cappello grigio a tesa media e sax alla mano, guadagna il palco il mitico Archie Shepp, l'anima più nera del jazz dal sound R&B..." (Antonio Terzo)

14/06/2003

Archie Shepp - Just In Time Quartet al Dolce Vita Jazz festival 2003: "...Sembrava essere appena uscito dall'ultimo film di Wim Wenders dedicato al blues, L'anima di un uomo, con un panama da vecchio bluesman, quando Archie Shepp si presenta sul palco del Dolce Vita Jazz Festival". (Dario Gentili)

12/01/2003

Jim Hall e Charlie Haden: "...musica allo stato puro; è suono approdato alla sua bella delicatezza dopo chissà quali complessi e tortuosi percorsi, è maestria senza presunzione alcuna." (Vito Mancino)

08/09/2002

Archie Shepp, Bobby Durham, Wayne Dockery e Massimo Faraò a Firenze in una festa privata.

27/06/2002

Charlie Haden a Roma. "Siamo usciti dal teatro per raggiungere chi la sua moto chi l'auto blu con autista ma tutti con il desiderio di dire: «Grazie Charlie!».





Video:
Joe Henderson - Serenity
Joe Henderson - Serenity. An Evening with Joe Henderson, 1987. Henderson (ts); Charlie Haden (b); Al Foster (d)....
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Keith Jarrett, Charlie Haden & Paul Motian - Germany 1972
Keith Jarrett performing with his trio in the Hamburg Funkhaus, Germany, on June 14, 1972., , Keith Jarrett - p, Charlie Haden - b, Paul Motian - dr...
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"Search for life" / "Round trip", Ornette Coleman Ensemble. "InJazz" Summer Clinics 2009. (2/2)
Concerto finele dei seminari estivi InJazz 2009. Ornette Colemn Ensemble diretto da Marcello Allulli. Fabriano (AN). www.injazz.it - info@injazz.it - ...
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Udin&Jazz 2009 - ORNETTE COLEMAN 2 BASS QUARTET
Udine, Palamostre 27 Giugno 2009 riprese e montaggio Davide Morandi...
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Ornette Coleman Sextet - Free Jazz (1of 3)
1978 Germany. Ornette Coleman - sax, violin; Ben Nix - guitar; Charlie Ellerbee - guitar; Albert Arnold - bass; Shannon Jackson - drums; Denardo Colem...
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Charlie Parker and Coleman Hawkins, Lester Young, et al 1950) - 1 of 2
This is one of two surviving sound films of Charlie Parker playing (and certainly the longest; the other is only 52 seconds long). Until recently, thi...
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Ornette Coleman Ensemble - Injazz Summer Clinics 2008
L'ensemble, diretto dal sassofonista Marcello Allulli, esegue durante il Concerto Finale dei Seminari Estivi Injazz svoltisi a Fabriano nel luglio 200...
inserito il 26/09/2008  da quantumjazzreloaded - visualizzazioni: 4601
Ornette Coleman - Germany 1978
Ornette Coleman: alto saxophone, trumpetJames Blood Ulmer: guitarBern Nix: guitarFred Williams: bass guitarDenardo Coleman: drumsRonald Shannon Jackso...
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Ornette Coleman - Dancing In Your Head (live)
The Ornette Coleman PrimeTime Band Is:, , Ornette Coleman - Alto Sax, Violin, & Trumpet, Burn Nix - Guitar, Charles Ellerbee - Guitar , Larry McRa...
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Data ultima modifica: 27/04/2014

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