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CAMJ 7810-2 - CAM Jazz
Martial Solal
Longitude


1. Slightly Bluesy
2. Here's That Rainy Day
3. Longitude
4. Bizarre, Vous Avez Dit?
5. Tea For Two
6. Solaltitude
7. Short Cuts
8. Last Time I Saw Paris, The
9. Monostome
10. Navigation

Martial Solal - piano
Francois Moutin - bass
Louis Moutin - drums




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Per comprendere il segreto dell'ultimo album di Martial Solal, la sua anima e il suo significato, non bisogna cercare troppo lontano. Il suo titolo ci dice già tanto circa le intenzioni e la poetica che muovono il pianista nella sua ultima fatica: Longitude, un viaggio longitudinale tra le due sponde dell'oceano, tra la cultura afroamericana e la tradizione europea, al fine di trarne una sintesi nella quale l'idioma jazzistico si coniughi con la cultura musicale del vecchio continente. Musica euro-afro-americana, dove l'accento non cade su nessuna delle tre componenti, dove non si riesce a distinguere il nero dal bianco, e in cui la fumosa atmosfera da jazz club cede il passo alla sobrietà dell'ensenmble cameristico.



C
ome in molte altre incisioni, la cifra di Solal è inconfondibile: in bilico tra Art Tatume Olivier Messiaen, il suo pianismo si serve di una pronuncia apertamente swing, ma di una armonizzazione e di una condotta melodica che fanno invece pensare alla musica d‘avanguardia. La frenetica sostituzione di figure ritmiche, i rapidissimi virtuosismi, gli arabeschi e i febbrili contrasti timbrici testimoniano di una padronanza tecnica giunta a piena maturazione ma, allo stesso tempo, di un approccio quasi infantile, ludico e radicalmente ironico.

È nel confronto con lo standard che lo stile del pianista si rende probabilmente più esplicito. In questo album il trio ne esegue tre: Here's That Rainy Day (di J. Burke e J. Van Heusen), Tea for two (di I. Caesar e V. Youmans) e The last time I saw Paris (di J. Kern e O. Hammerstein). I brani, arcinoti, vengono affrontati con un approccio indiretto, ironico, mediato dalla consapevolezza di un'incolmabile distanza. Il pianista non cede all'illusione di un'anacronistica fedeltà storica; tra Solal e quel mondo, infatti, non si frappone soltanto un intervallo di decenni, ma una parabola evolutiva quanto mai multilineare che, più che legittimare il presente, sembra rivelarlo in tutta la sua instabilità. Solal si espone alle intemperie del jazz contemporaneo, e lo standard, appositamente scelto per la sua funzione canonica, ci viene riconsegnato in una veste irriconoscibile: esso appare deforme, parodizzato, reinventato proprio a partire dal suo stato di consunzione. Il senso della distanza, forse il vero Leitmotiv di Longitude, si esprime in un linguaggio consapevole della propria materialità, in un pianismo ricco di citazioni e di caricature, di ambiguità e di gesti stranianti.

Il «problema» di un confronto con il passato tuttavia non emerge soltanto dagli standard brillantemente eseguiti dal trio; si potrebbe piuttosto dire che è proprio lo stile che Solal ha sviluppato nei decenni a rappresentare l'esito di un'erosione del linguaggio più tradizionalmente swing. Negli original, sicuramente più arditi sul piano compositivo, si esprime la medesima cifra stilistica, lo stesso gusto per il pastiche, che caratterizza l'approccio ai classici. È il caso di Short cuts, di Monostome, di Navigation: brani sospesi, pieni di accelerazioni e rallentamenti, che il trio esplora in un susseguirsi di digressioni senza meta.

Azzardando un'interpretazione dello stile, si potrebbe forse dire che, in Solal, la coscienza della natura materiale e storica delle forme codificate rende problematica la possibilità stessa dell'«espressione». Il processo di formalizzazione e saturazione dell'idioma jazzistico travolge il soggetto estetico lasciandolo in balìa dei mezzi che ha a disposizione. La convenzione, in questo modo, più che fornire una base grammaticale al linguaggio, si indurisce fino a soffocare ogni possibile comunicazione empatica con l'ascoltatore. Non per questo, però, l'inventiva del pianista si lascia imprigionare: essa trova rifugio nel gioco, nella estremizzazione ironica del cliché. Gli stilemi più usurati della tradizione si riabilitano in un'esaltazione barocca dell'ornamento, in un manierismo schizofrenico che viene portato alla sua negazione parossistica. Al tempo stesso la citazione, svuotata definitivamente di ogni funzione celebrativa, contribuisce ad esasperare un senso di oppressione e di impotenza espressiva che conduce all'isteria.

Rispetto ad altre recenti incisioni del pianista ottantenne, questa sembra essere forse la più matura e la più consapevole. Le idee che Solal aveva già esposto in Solitude (sempre inciso per CamJazz nel 2007) trovano, nella formula del trio, una più coerente sistemazione. L'accordo con i fratelli Moutin è sorprendente. Di nessuno dei due si può dire che svolga una funzione di semplice accompagnamento. Sembra piuttosto che la musica di questo album sia il felice connubio di tre differenti solismi, autonomi e simultanei, coordinati in una faticosissima ma perfetta comunione d'intenti. Nemmeno il Live at Village Vanguard (con F. Moutin e B. Stewart, 2001) o il bellissimo Just Friends (con G. Peacock e P. Motian, 1997) sembrano eguagliare la qualità di questo torrenziale fluire di idee e invenzioni che è Longitude.

Giuseppe Rubinetti per Jazzitalia







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Martial Solal & Toots Thielemans - Body And Soul
Body And Soul par Martial Solal et Toots Thielemans en 1990...
inserito il 02/01/2008  da savelonp - visualizzazioni: 3205


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Data pubblicazione: 06/04/2009

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