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Intervista a Marcus Miller
Blue Note Milano – 10 aprile 2005
di: Eva Simontacchi

fotografie: Alberto Gottardelli

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Marcus Miller Nasce a New York, quartiere di Brooklyn, il 14 giugno del 1959. Il suo personalissimo stile nel suonare il basso, che gli è valso il soprannome di "superman of soul", è frutto delle esperienze maturate al fianco di artisti di altissimo livello, come ad esempio Miles Davis. Fu Kenny Washington ad introdurlo nella cerchia del jazz che conta e a presentarlo al grande Miles Davis. Ed è proprio con il celebre trombettista che Miller collaborerà nel 1981 e nel 1982 contribuendo alla realizzazione di "Tutu" e "Music From Siesta". Dopo la morte di Davis, Marcus Miller decide di formare la propria band, anche se le collaborazioni con i grandi della scena del jazz continuano. Suona con David Sanborn, con Bobby Humphrey e Lenny White. Nel 1991 Miller vince un Grammy Award per il brano "Power of Love/Love Power" scritta con Teddy Vann e Luther Vandross.

Il primo lavoro come solista si intitola "The Sun don't Lie" (1993). L'album ha un grande successo nei circuiti jazz e ottiene una nomination ai Grammy Awards. Nel 1994 pubblica "Tales", un lavoro dedicato alle parole dei maestri del jazz classico. In questo album, un vero e proprio capolavoro, frammenti inediti e spezzoni in voce di Miles Davis, Billie Holiday, Lester Young, Joe Sample, Roberta Flack, e altri leggendari personaggi della black music si alternano a personalissime interpretazioni di Miller e alle strabilianti invenzioni del suo basso elettrico. L'album "Live & More" (1997) distribuito in Europa e in Giappone è un'ulteriore consacrazione del lavoro di questo straordinario artista. Nel 1998 esce "Suddenly", e nel 2001 "M2", realizzato in collaborazione con artisti quali Kenny Garrett, Herbie Hancock, Frank Wesley, Wayne Shorter, Maceo Parker. L'album viene accolto con grande entusiasmo in tutto il mondo e gli vale, nel 2002, un Grammy Award come miglior album di jazz contemporaneo. Approfittando della calorosa accoglienza da parte del pubblico, Marcus intraprende una tournée mondiale, la cui testimonianza è contenuta nell'album "The Ozell Tapes – The Official Bootleg" del 2002.

La sua ultima fatica è "Silver Rain", che presenta questa sera al Blue Note.

Incontriamo Marcus Miller durante la Conferenza Stampa tenuta al Blue Note alle 18:00 del 10 aprile 2005. Ha da poco terminato una master class per bassisti che ha riscosso un gran successo, come tutte le sue serate qui al Blue Note, che hanno visto il tutto esaurito.

Prende posto, e dà inizio alla Conferenza:

M.M.: Abbiamo appena iniziato il nostro tour europeo. Siamo stati a Parigi, e ora siamo qui, a Milano. L'ultima volta che sono stato a Milano ho suonato con Miles Davis, vent'anni fa. E' molto bello essere di nuovo qui. Inizierò parlando del mio nuovo CD, "Silver Rain". Ho iniziato a scrivere la musica per questo CD mentre ero in viaggio. Dato che continuavo a suonare e ad essere in viaggio, (ho girato il mondo almeno tre volte), mi sono reso conto che se non avessi composto "on the road" non avrei mai più composto della musica. Ma quest'esperienza di scrivere durante i viaggi è stata molto interessante, ho tratto ispirazione dai vari luoghi in cui mi soffermavo per suonare, dunque è stato un modo molto interessante per preparare il mio nuovo CD. Oltre ai brani da me composti, l'album è speciale in quanto ho eseguito parecchie cover, canzoni già esistenti scritte da altri musicisti, interpretandole a modo mio. C'è un brano di Edgar Winter, "Frankenstein", che è una vecchia canzone jazz-rock, poi abbiamo eseguito un brano di Jimi Hendrix, uno di Prince, e perfino un brano di Beethoven, "Moonlight Sonata", dunque penso che sia molto interessante ascoltare la nostra interpretazione di queste musiche che voi già conoscete. Vi dà un'idea di come la pensiamo.

Per quanto riguarda i musicisti, ho una band con la quale collaboro da circa dieci anni, e i componenti sono presenti sul CD: Poogie Bell batteria, Patches Stewart tromba, Dean Brown chitarra, e ho anche degli ospiti: Macy Gray è una guest singer, e anche Lalah Hathaway, Kenny Garrett suona il sax, Kirk Whalum ed Eric Clapton.

Quello che ho da dire circa il CD è che il basso è molto presente! Dunque, quando lo ascolterete, state attenti con il vostro impianto, perché potrebbe danneggiarsi! (Ride).

D.: Come sono state scelte le cover da includere nel CD?
M.M.:
Bè, sapete… Abbiamo sempre dei sound check da fare. Di solito andiamo nel pomeriggio nel locale in cui suoneremo alla sera per controllare che tutta la strumentazione sia in ordine e sia funzionante, quando arriviamo in una nuova città. Allora inizio a sperimentare e dico: "Ehi, ragazzi, vi ricordate questo vecchio brano?" e suono "Frankenstein".
E loro: "Certo…" Poi dico: "Bé, viene bene, proviamo a suonarlo stasera e vediamo cosa ne pensa il pubblico". Ed il pubblico da in escandescenze, tutti saltano su e giù… allora decido: "O.K. Questo pezzo andrà nel nuovo CD".
Per quanto riguarda il brano di Beethoven, "Moonlight Sonata", mentre mio figlio sedicenne, che studia pianoforte classico, lo stava suonando a casa, io gli giravo attorno e pensavo: "Accipicchia, che anima Beethoven! Avrebbe solo bisogno di una batteria, di ritmo". Dunque comincio a canticchiare il ritmo tra me e me mentre mio figlio suona, e mio figlio pensa che sia un matto, un folle musicista jazz. Ma io dico: "Questa cosa è veramente interessante, e vorrei vedere se riesco a dare un senso a ciò che sento".
Inoltre, con le cover, la cosa interessante è che vi possono raccontare molto dell'artista che le reinterpreta se già le conoscete. I cambiamenti che i musicisti apportano, ed il modo in cui interpretano la cover la dicono lunga su chi sono e come la pensano. Di conseguenza mi piace interpretare delle cover songs.

D.: Per quanto riguarda gli ospiti, i guest artists presenti nel CD, sono stati convocati perché già vi conoscevate?
M.M.: Alcuni degli artisti nel mio CD li conosco da molto tempo, come Kenny Garrett e Lalah Hathaway. Ma Macy Gray non la conoscevo. Cioè, l'ho vista in un Club, e anche salutata, ma non la conoscevo personalmente. Avevo deciso di eseguire un brano di Prince, e volevo eseguirlo strumentale, ma avevo bisogno di qualcuno che mi cantasse il chorus, perché il chorus è fantastico. Dunque mi sono detto: "Chi conosco che abbia talmente tanto carattere e personalità da poter dire molto pur cantando una piccola parte?" E mi sono detto: "Macy Gray!" Dunque mi sono messo alla ricerca di Macy Gray, e chiedevo a tutti i miei conoscenti: "Conosci Macy Gray? Conosci Macy Gray?" Poi abbiamo trovato qualcuno che conosceva qualcuno che conosceva Macy Gray. Le è stato chiesto: "Ti potrebbe interessare una collaborazione con Marcus?" E lei ha risposto: "Fatemi sentire la musica...". L'ha ascoltata, e ha risposto si. L'ho incontrata il giorno in cui abbiamo inciso la canzone. La cosa interessante di questa incisone è che dato che non ci conoscevamo, nell'album si sente Macy Gray che commenta la mia musica man mano che la scopre. Ho lasciato i suoi commenti nell'incisione definitiva e dunque la si può sentire esclamare: "Ah! Il basso! Wow! Il Sassofono! Bene Marcus!" Queste sue esclamazioni mi sono piaciute e le ho lasciate.

D.: Circa cinque anni fa hai tenuto due concerti di gran successo con Eric Clapton, Steve Gadd e Joe Sample a Perugia e in Sardegna: "The Legends". Pensi di poter ripetere l'esperienza e di programmare qualcosa di simile in futuro eventualmente anche con altri artisti?
M.M.: Sì, i concerti hanno riscosso un gran successo, ma è stato molto difficile organizzarli, perché ognuno aveva un sacco di impegni, e tutti erano tanto famosi. E' stato difficile, ma molto entusiasmante, e dovremo ripetere l'esperienza. Magari chiamo adesso Eric Clapton, per vedere se posso prenotarlo tra cinque anni… (ride).

D.: State provvedendo a raccogliere del materiale per un eventuale DVD durante questi concerti?
M.M.:
Sì, abbiamo in uscita a breve un DVD del mio ultimo album, ma non stiamo nella pelle perché vorremmo farne uno nuovo per questa musica. La band è veramente molto affiatata ora, e penso che presto verrà il momento per registrare di nuovo.

D.: Quali sono i tuoi programmi dopo il tour italiano?
M.M.: Al termine di questo tour ho un CD sul quale sto lavorando. Lo sto producendo per un grande tenore classico che si chiama Kenn Hicks. Vive negli Stati Uniti, e faremo un mix di opera e jazz, e vedremo cosa ne penserà il pubblico italiano. Probabilmente non conoscete Kenn Hicks. Lui insegna tecnica vocale alle cantanti pop. Le sue allieve sono Jennifer Lopez, le Spice Girls. Utilizza la sua conoscenza del canto lirico per aiutarle a cantare i loro brani. E compongo anche musica per film negli Stati Uniti, dunque preparerò le colonne sonore per un paio di film, e poi verrà il momento per pensare a della musica nuova, perché bisogna pensarci con un bell'anticipo.

D.: Hai tentato o hai pensato di coinvolgere Prince nel nuovo album?
M.M.: Non l'ho pensato perché ho immaginato che mi avrebbe risposto "no". Ma dalla mia casa discografica negli Stati Uniti mi hanno chiamato e mi hanno detto: "Abbiamo appena ricevuto una biglietto da parte di Prince, che chiede che gli venga immediatamente inviato per cortesia il CD di Marcus…" Dunque non saprei, dipenderà dalla sua reazione. Qualora fosse positiva, potrei chiedergli di suonare insieme la prossima volta. E dato che Prince è un fantastico musicista, suona il basso, suona la chitarra, suona le tastiere…. Tutto ciò di cui avremmo bisogno è di essere noi due soli: in due formeremmo una grande orchestra! (ride).

D.: Tornando alle cover, non ti è mai capitato che qualche artista di cui hai eseguito una cover ti abbia palesato il suo apprezzamento?
M.M.: Nel mio ultimo CD ho eseguito un brano di Billy Cobham, "Red Baron", ed è sempre un'incognita reinterpretare il brano di un altro musicista perché ovviamente a chi l'ha scritta piace il modo in cui è stata eseguita in origine, per cui non si può mai sapere quale potrebbe essere la reazione a un progetto del genere. In questo caso a Billy Cobham è piaciuta. Ma se si aspetta abbastanza a lungo prima di eseguire una cover song, in genere chi l'ha composta è contento che si tenga viva la sua canzone. Il segreto è quello di attendere il momento giusto, sapere aspettare.

D.: Stasera suonerai il clarinetto basso?
M.M.: Si, suonerò certamente il mio clarinetto basso. E' importante per me perché il suono del mio basso elettrico è molto metallico, molto duro, e trovo che sia difficile per il pubblico ascoltare quel suono per un intero concerto. Ma il clarinetto basso è una bella partenza: è caldo, è legno, è l'opposto del basso elettrico, e mi piace questo contrasto; e infine, quando prendo in mano il mio basso elettrico, il pubblico è pronto e lo apprezza.

D.: Che tipo di musica ti piace, che musica ascolti?
M.M.:
Oh, mi piace il jazz degli anni '50, Miles Davis Quintet, mi piace la musica brasiliana, Djavan, Milton Nascimento. Mi piace molto ascoltare la musica hip hop perché negli Stati Uniti è dappertutto! Mi piace ascoltare una grande varietà di generi e stili diversi, e magari prendere un po' qui e un po' là, prendere un po' di tutto per vedere se posso contaminarlo con il jazz. Vorrei dire una cosa prima di proseguire: La prima volta che venni in Italia fu con Miles, e suonammo sotto un grande tendone nel quale c'erano circa 20 o 30 mila persone. Miles suonò solo per circa 20 minuti, poi se ne andò, e dunque lo seguii, lo seguimmo tutti. Il pubblico pensò che si trattasse di una pausa, ma Miles ci porto tutti all'auto e ce ne andammo. E io riuscii a vedere il pubblico rendersi conto che se n'era proprio andato, e vidi scuotersi il tendone...Dunque vorrei chiedere scusa, e farvi sapere che non si è trattato di una mia decisione. Miles andò via, e noi fummo obbligati a seguirlo.

D.: In che modo il pubblico ti influenza quando sei sul palco? Ora stai suonando al Blue Note, il pubblico è composto e applaude alla fine del brano, ma hai suonato a Montreal l'anno scorso in luglio davanti a 4000 persone che saltavano su e giù, gridavano e urlavano. In che modo i diversi ambienti influenzano l'andamento del concerto?
M.M.: Uno degli elementi più potenti quando sei in tour è che la musica e i musicisti sono sempre gli stessi, mentre il pubblico è sempre diverso. Sì, abbiamo suonato a Montreal e il pubblico è impazzito fin dalla prima nota. Abbiamo suonato a Parigi qualche giorno fa, ed è capitata la stessa cosa. Poi a volte suoniamo nei Club, e il pubblico è diverso. Bastano i primi tre brani per abituarsi…. E dopo inizi a renderti conto che il pubblico sta ascoltando, le persone presenti hanno finito la loro cena e stanno iniziando ad ascoltare, e alla fine le sensazioni sono le stesse. Ci vuole solo un po' più di tempo. Il mio pubblico preferito…. A volte anche il troppo entusiasmo da parte del pubblico ti arriva talmente addosso con potenza che hai l'impressione di doverti arrampicare su per i muri per suonare, riesco a rendere l'idea? Per cui a volte tutto è troppo forte, troppo potente. Mi piace un pubblico un tantino più calmo in modo da poter suonare più tranquillamente. Questo pubblico è fantastico, perché ascolta, è attento. E dopo si accalora. Si entusiasma e si accalora per la musica non per te. Riesco a farmi capire? A volte sali sul palco, non hai ancora suonato una nota, e il pubblico sembra impazzito! Per cui, preferisco un pubblico come questo.

D.: Cosa pensi del jazz contemporaneo?
M.M.: Penso che il jazz contemporaneo sia stato un po' soppresso ultimamente in quanto stiamo uscendo da un periodo in cui l'interesse del pubblico era maggiormente rivolto al jazz vecchio stile, ed in effetti è stato entusiasmante sentirlo ritornare in auge. Ma penso che la gente si sia resa conto che per far sì che la musica continui, bisogna avere delle persone che aggiungano qualcosa al nuovo jazz. Fremo a questa idea, e sono convinto che presto avremo della musica veramente interessante.

D.: Cosa pensi del mercato musicale odierno, dopo l'introduzione di iTunes e della musica digitale?
M.M.: All'inizio ti fa un po' paura, perché ti chiedi se la gente sarà ancora in grado di produrre CD e di guadagnarsi da vivere in questo modo, ma ora mi sono un po' ricreduto. Penso che iTunes stia muovendo nuovamente il mercato della musica creando entusiasmo nei fruitori, ed è ciò che noi tutti desideriamo. E' importante che la gente si entusiasmi con la musica, e ora, ovunque tu vada, vedi persone con le cuffie in testa che ascoltano la musica, mentre fino a poco tempo fa la gente non aveva più voglia di ascoltare musica senza vedere delle immagini. Per un periodo di tempo piuttosto lungo, circa cinque anni, credo, la gente in generale diceva: "Voglio vedere il video! Non voglio ascoltare la musica se non vedo delle immagini, devo vedere ciò che ascolto". Per me è sempre stato interessante ascoltare senza vedere video o immagini, perché hai la libertà di immaginare tante cose, e i DVD e i video stavano rimpiazzando la musica, ma credo che iTunes sia riportando la gente alla musica pura e semplice.

D.: Per quali film comporrai le colonne sonore? Quale film ti è piaciuto maggiormente?
M.M.: In America mi hanno fatto lavorare per delle commedie romantiche. Le commedie romantiche sono difficili da mettere in musica in quanto non puoi essere troppo spiritoso, ma devi avere dello humor, ed è difficile trovare il giusto equilibrio. Mi è piaciuto lavorare in questo senso, è stimolante. L'ultimo sul quale ho lavorato si intitola "King's Ransom", e dovrebbe uscire questo mese. I film di cui amo le musiche…. Stavo parlando con Quincy Jones un paio di giorni fa, e lui mi stava parlando dei suoi vecchi film, "In The Heat of The Night", e di alcuni film veramente interessanti, dunque mi sono messo a studiarli per rinfrescarmi la memoria su quanto grande egli sia stato. Un gran compositore. Quincy Jones mi ha anche detto "Fai in modo che a Hollywood non ti prendano per fare sempre lo stesso tipo di film. Cambia, diversifica, non permettere loro di seppellirti in un buco."

D.: Ci parli dei due film sui quali lavorerai dopo il tour?
M.M.: Il Regista è Reginald Hudlin, e sta preparando dei film che non hanno ancora un titolo. Per ora sono un'idea. E' buffo perché ho raccontato a Reggie che anni fa c'era un tizio che andava in giro spacciandosi per me. La gente ancora non mi conosceva, non avevano idea di che aspetto avessi, del mio viso, ma conoscevano il mio nome in quando figurava su parecchi CD. E allora c'era questo tizio in San Francisco che andava in giro spacciandosi per me, e faceva un sacco di cose pazze. Ho raccontato questo fatto a Reggie, il quale ha subito detto: "Ne farò un film!" E penso che sarà la prossima cosa sulla quale lavorerà.

D.: Potresti parlarci della tua più grande sfida professionale, e dei tuoi sogni nel cassetto?
M.M.: Il mio sogno in questo periodo è semplicemente quello di rimanere creativo, di sperimentare cose nuove e di migliorare come musicista. Penso che sia una gran cosa essere musicisti: non smetti fino al giorno in cui muori, puoi migliorare in continuazione. Dunque questa è una cosa meravigliosa da fare. E una delle mie sfide più grosse riguarda il mio modo di essere: il mio cervello lavora troppo rapidamente, e cerco sempre di fare troppe cose simultaneamente. E sono anche molto bravo in questo! Ma sto sempre correndo, accumulando…. Ancora una cosa, ancora un'altra…. E penso che a volte sia molto saggio rallentare i propri ritmi e concentrarsi su di una sola cosa. Questa è la mia sfida più grossa. Poi ce ne sono altre. Essere una persona di colore in America comporta dei problemi, ma cerco di focalizzare talmente tanto l'attenzione su ciò a cui sto lavorando che queste cose non mi toccano. Pensate a quando trovate qualcosa che amate veramente, e per voi conta tantissimo e fate seriamente; è molto dura distrarvi! Ecco, io sono così. Non mi si riesce a distrarre molto facilmente.

D.: Conosci il panorama jazzistico italiano? C'è qualche musicista italiano con cui desidereresti collaborare in futuro?
M.M.: Non conosco il panorama jazzistico italiano…. Conosco il panorama jazzistico americano. Conoscete Joe Di Francesco? Ma certo, lui è americano…. Arrivo solo fin qui… Ho bisogno di passare più tempo qui in Italia per vedere ciò che accade qui!

Termina la conferenza stampa tra gli applausi ed i ringraziamenti dei giornalisti presenti. Mi allontano al seguito di Marcus Miller per continuare l'intervista in esclusiva per Jazzitalia. Raggiunta una saletta del Blue Note, ci accomodiamo e gli rivolgo altre domande:

Eva Simontacchi: Hai avuto fin qui una carriera ricchissima: produttore di grandi artisti quali Luther Vandross, Miles Davis, David Sanborn; musicista per incisioni in studio tra i più chiamati con circa 450 incisioni all'attivo. Canti, suoni il clarinetto, il piano e molti altri strumenti, a parte il basso. Sei compositore e componi per te e per altri artisti; scrivi colonne sonore per film. Nel 1993 è uscito il tuo primo album solistico "The Sun Don't Lie", e da allora sono usciti altri 8 album (di cui 2 live), e "Silver Rain" è la tua ultima fatica. Come fai a seguire tutti i vari progetti?
M.M.: Ah… Certo, ascoltando tutta questa sequela di cose… Detta così mi sento stanco solo a pensarci!

E.S.: Certo, ovviamente tutto questo l'hai realizzato nel corso di anni….
M.M.: Io sono una persona che deve avere sempre mille cose da fare, mille impegni in contemporanea,
e a volte penso che se avessi solo una cosa da fare alla volta… la cosa non mi andrebbe troppo a genio. Andrebbe troppa energia in un unico progetto, e diventerebbe estremamente complicato. Dunque, mi piace lavorare su tre o quattro progetti contemporaneamente, ma qualunque sia la cosa sulla quale sto lavorando in un determinato momento, quella è l'unica cosa al mondo per me in quell'istante. Dunque, se sto parlando con te, non mi faccio distrarre da altro. Capisci cosa intendo? Se sto lavorando con Miles, non esiste nient'altro. E se qualcuno mi chiama e mi dice: "Pronto! Guarda che devi venire qui!" OK. E io penso che ciò che mi permette di essere come sono e di fare ciò che faccio è che dovunque io sia, dovunque io mi trovi, quello è il mondo intero per me, e mi permette di concentrarmi. Dunque non devo preoccuparmi di altro. Se sto parlando con te, non mi deconcentro pensando: "Oh, caspita tra cinque minuti devo andare di là"… Sono molto fortunato perché ho delle persone vicino che mi aiutano molto in questo. Li avverto di chiamarmi alle cinque perché devo andare via, e alle cinque mi chiamano, e a quel punto posso interrompere ciò che stavo facendo, ma senza deconcentrarmi prima. Dunque posso lavorare in piena concentrazione, ben focalizzato, e quando suona il telefono e mi dicono che ho un altro impegno, vado. Dunque, quando mi concentro su qualcosa, ci sono al 100%.

E.S.: Una giornata standard per Marcus Miller (non parliamo dei tour).
M.M.: Una giornata standard di Marcus. OK. Mi alzo alle 7:00 del mattino, mentre mia moglie sta preparando le due bambine per la scuola. Le porto a scuola e poi raggiungo la palestra in auto, e sono le 8:00 circa. Gioco a basket-ball, mi alleno con i pesi per un'ora, anche due. Poi vado in studio, e lavoro in studio sui progetti che ho in essere in quel momento, sia che si tratti di colonne sonore, sia che si tratti di composizioni per me. Vado avanti ininterrottamente fino alle 19:00 o alle 20:00. Poi vado a casa, saluto tutti, aiuto le figlie con i compiti, a volte guardo un po' di TV con la mia famiglia, e quando tutti vanno a dormire, io dico: "Torno in studio". Ritorno in studio e lavoro finché sono talmente stanco che mi si chiudono gli occhi. Ecco, questa è una mia tipica giornata.

E.S.: Dunque hai modo di stare con la tua famiglia, trascorri del tempo con le figlie, e hai un po' di tempo da dedicare anche a te stesso, andando in palestra.
M.M.: E poi, succede che all'improvviso entro in un periodo pesante. Per esempio, sto lavorando su una colonna sonora per un film e devo consegnare nel giro di una settimana. Allora cambia tutto. Oppure sto lavorando sul mio CD e devo consegnarlo a breve altrimenti rischia di non uscire in tempo…Allora mi eclisso. Dico a tutti: "Ciao ciao! Sto entrando in uno dei miei momenti da fusione". E tutti sanno che sono in un momento folle e che sto praticamente lavorando 24 ore su 24…Torno a casa quando tutti gli altri stanno uscendo per andare a scuola. Ma cerco di organizzarmi. Questo accade al termine di ogni progetto. Lavoro per un mese, e poi ho le corse finali… oppure lavoro per due mesi, e l'ultima settimana è estremamente intensa a dir poco.

E.S.: Una giornata speciale per Marcus Miller
M.M.: Bé, a volte dico a mia moglie: "Sai cosa ti dico? Oggi mi prendo una giornata di libertà"…. "Ah si?"… "Si, dai, andiamo!" Così usciamo insieme, andiamo a fare una passeggiata, ci rilassiamo o facciamo qualcosa insieme. Ma se lei è impegnata, allora salgo in auto e guido. Ascolto della buona musica e guido veloce (ride)… Guido e ascolto la musica. Penso che l'auto sia un posto davvero speciale, sai. Sei da solo, ma vedi tante cose, e non si tratta di televisione. Vedi la vita vera, e puoi ascoltare la musica che ti piace, e mi piace moltissimo.

E.S.: Per quanto tempo hai pensato di realizzare un tuo progetto come solista prima che uscisse "The Sun Don't Lie" nel 1993?
M.M.: Forse per sei anni…. Scrivevo, componevo, e facevo ascoltare i i miei lavori ad altri chiedendo: "Che ne dici di questo brano? Potrei inserirlo nel mio album." Ho terminato "The Sun Don't Lie" nel 1991 mi pare, ma mi ci è voluto parecchio per ottenere un contratto. La gente diceva: "Non so… è un side-man". E' poi finalmente uscito nel 1993. Dunque forse si tratta di quattro anni in realtà. Per il tuo primo album hai un sacco di tempo a disposizione: tutta la vita. Per il secondo album diciotto mesi. Capisci cosa voglio dire? Dunque per il primo album dovresti prenderti il tuo tempo, perché il primo album è un'occasione unica. Per me in effetti sono stati due, in quanto ho fatto due album molto presto nella mia vita. Avevo circa ventuno o ventidue anni, e si trattava di album più R&B. Poi ho preso una decisione. Mi sono detto: "Non sono ancora pronto, devo ancora crescere." Dunque ho aspettato, ed in effetti ho avuto due opportunità per farlo. Però "The Sun Don't Lie" è l'album per il quale ho potuto dire per la prima volta: "Si, questo mi rispecchia veramente, sono io".

E.S.: Hai detto più di una volta che ti ispiri moltissimo alla voce, al canto, per i tuoi fraseggi e la tua tecnica, e questo fatto è estremamente intrigante, dato che molti cantanti e molte vocalist dicono di trarre la loro ispirazione da alcuni strumenti. Ti ispiri al canto perché sei tu stesso un cantante?
M.M.: Penso che tutti i miei musicisti preferiti somiglino a dei cantanti nel loro fraseggio. Se ascolti Miles, puoi cantare i suoi soli. Se ascolti alcuni altri musicisti, non puoi cantare i loro soli. Se suoni uno strumento a fiato, come il sassofono, la tromba o la voce, devi creare delle frasi. Devi iniziare un discorso e devi fermarti per prendere fiato. Se suoni il basso, la chitarra, il pianoforte o la batteria, non hai l'esigenza di prendere fiato, di respirare. Puoi suonare finché ne hai l'energia. Ma cosa succede così facendo? Rendi la musica difficile da comprendere, perché noi esseri umani siamo abituati ad ascoltare delle frasi, non è vero? Ma se continui a suonare, le frasi non ci sono. E allora cosa ho fatto? Ho iniziato a suonare come se cantassi. E questo mi obbliga a fermarmi. Mi obbliga a ricominciare. Mi obbliga a farmi venire delle idee. E credo fermamente che nel pensare idee musicali, soprattutto durante l'improvvisazione, sia importante usare delle frasi. E io cerco di dirlo ai giovani musicisti: "Vi prego, non suonate solo con le vostre mani, non fate andare le dita e basta. Pensate a ciò che volete dire, e ditelo chiaramente, e poi dite qualcos'altro, e qualcos'altro ancora." Ogni tanto potrebbe esserci un fraseggio piuttosto lungo, perché in effetti, se stai suonando il piano o il basso, può capitare, non c'è nulla di sbagliato. Ma bisogna pensare in termini di frasi. Inizio e fine. E i cantanti lo fanno in maniera naturale. E poi i cantanti mi hanno insegnato a usare il vibrato. Non bisogna andare subito sul vibrato. Bisogna tenere prima la nota ferma, poi quando inizia ad essere quasi troppo lunga, allora si aggiunge il vibrato. Queste sono le cose che fai quando sei un cantante. Ho imparato a fare queste cose con il mio strumento, e mi hanno reso molto più espressivo. Cantanti quali Billie Holiday o Sarah Vaughan, quando cantano anticipano o ritardano. Ritardano, e poi recuperano. Bé, i bassisti, o per lo meno, la maggior parte di loro, questa cosa non la capiscono. Suonano perfettamente a tempo perché sono strumenti ritmici. Ma per quanto mi riguarda, nei soli mi dico: "Sai una cosa? Questo è molto più espressivo Lascia perdere il "beat", ritarda, o anticipa!" Ma devi avere quella libertà che in genere i bassisti non conoscono. Io la conosco perché vivo con cantanti, produco cantanti, canto io stesso. Il linguaggio è la forma di comunicazione più importante per noi, dunque più riesci ad avvicinarti con la musica al parlato, più facilmente il pubblico riuscirà a comprenderti.

E.S.: Un artista con una tale esperienza in molti generi musicali diversi, ma con un sound tanto personale è difficile da incontrare. Ricordi qualche esperienza in particolare che ti ha sorpreso, ispirato, o che ha aperto una speciale porta per te?
M.M.: Ricordo molto chiaramente quanto avessi disperatamente desiderato trovare "la mia voce" al basso, e mi ricordo anche che all'epoca non avevo assolutamente idea di come ottenerla. E parlando con i miei amici musicisti più anziani ed esperti – ricordo di averne parlato con Lenny White, il grande batterista – dicevo: "Lenny, come faccio ad ottenere la mia voce sul basso? Il mio stile personale?" E lui mi rispose: "Non pensarci, suona e basta. Continua a suonare, sempre. Un giorno ascolterai una tua incisione, e dirai: Ehi! Questo sono io!" Dunque seguii il suo consiglio, suonai e suonai, e un giorno mi arrivò una telefonata da Miles Davis. Stavo incidendo in studio, avevo una data. Mi consegnarono un appunto scritto su un foglietto: "Chiama Miles". Dunque chiamai Miles, e mi disse: "Presentati alla Columbia Studios tra un'ora". "Parlo con il vero Miles Davis?" "Si, certo!" fu la risposta. "OK" risposi a mia volta. Mi presentai alla Columbia Studios, dopo aver terminato la sessione d'incisione, e mi ritrovai a incidere con Miles Davis nel giro di un'ora dalla telefonata! Un'occasione veramente importante…C'è Miles di fronte a me. Dunque mi dico che devo suonare qualcosa di veramente speciale; vado a pescare nel profondo per trovare qualcosa di adeguato, qualcosa di speciale. Alla fine della sessione d'incisione ci rechiamo nella sala di controllo per riascoltare ciò che avevamo suonato… e ascoltando il basso mi sono detto: "Ehi, quello sono io…. Sono semplicemente io! Mi riconosco! Sono io….." E rimango molto sorpreso, perché mi tornano in mente le parole di Lenny White: "Un giorno lo udirai con le tue orecchie, e ne rimarrai sorpreso!" E rimasi talmente sorpreso, e ne fui talmente felice, perché nessun momento sarebbe stato migliore di quello per rendermene conto, avendo suonato con Miles. Fu un momento molto felice. Probabilmente avevo già iniziato a sviluppare il mio stile due anni prima, ma quella fu la prima volta in cui me ne resi conto, in cui ne fui consapevole. Fu un avvenimento importante nella mia vita…. Presi quel piccolo "germe" di stile e cercai di svilupparlo. Qualsiasi cosa facessi, che fosse nuova e mai sentita da altri, mi dicevo: questa cosa è tua, sviluppala! Ed è quello che ho continuato a fare in tutti questi anni: cercare di farlo crescere da allora.

E.S.: In che tipo di situazione sei maggiormente creativo? In solitudine, in un luogo tranquillo e silenzioso, immerso nella natura o quando sei sotto stress o sotto pressione?
M.M.: Posso iniziare qualcosa in un posto silenzioso e tranquillo, ma non posso mai terminare nulla in un luogo tranquillo! Ho bisogno di essere sotto pressione, di sentirmi dire: "Dobbiamo terminare questo lavoro, Marcus!", perché le scadenze ti obbligano a prendere delle decisioni, non hai tempo da perdere. Per cui devi andare per istinto. Quincy Jones mi ha confidato che quando aveva una scadenza da rispettare, lui accendeva la TV, e guardando la TV componeva con l'altro lato del cervello, la parte subconscia del cervello. Io non riesco a farlo…Però le scadenze mi aiutano! Mi obbligano a prendere delle decisioni e inoltre sotto pressione trovi il vero te stesso, la tua vera essenza. Quando si ha troppo tempo a disposizione non è una cosa positiva. Inizi a pensare: "Vorrei essere una persona diversa…. Provo a fare qualcosa di diverso…" ma con una scadenza imminente sei obbligato ad essere te stesso!

E.S.: Hai qualche suggerimento da dare a tutti gli aspiranti bassisti professionisti che passano innumerevoli ore sui tuoi dischi, cercando di entrare nel tuo stile?
M.M.: Vorrei dir loro: "La vostra fonte di ispirazione più importante è probabilmente molto vicina a voi….." Noto spesso che i musicisti che hanno stili veramente notevoli hanno sviluppato il loro stile nel loro quartiere, a casa loro. Per esempio, l'idolo di Miles era Clark Terry, che era un suo vicino di casa…Per esempio, i musicisti di New Orleans hanno un sound molto specifico. Io provengo da New York, i giapponesi hanno un loro sound particolare. Penso che tu debba solo guardarti attorno esattamente lì dove ti trovi per capire chi sei, perché nessun'altro lo può fare, e nessun altro può suonare come se provenisse dalla Sardegna e avesse alle spalle la cultura sarda, nessuno può suonare come suona un polacco. Devi fare in modo che questo diventi il tuo nucleo centrale, poi puoi guardarti attorno, e prendere delle idee qua e là e aggiungerle al tuo "centro". Ma il tuo "centro" non deve mai cambiare. Io ascolto musica brasiliana, ascolto il vecchio jazz anni '50, ascolto musica hip hop, ma nel mio centro sono a New York, sono un musicista funk, jazz. Ecco chi sono. Poi ovviamente uso tutto il resto perché mi aiuta a crescere. Dunque in realtà, si deve lavorare sul proprio centro, sul proprio nucleo. E molti musicisti, specialmente se non provengono da una grande città, pensano: "Devo andarmene da qui, non vedo l'ora di lasciare questo paesino!" Ma se ascoltate Toots Thielemans! Tolosa, Francia…. Non sentite tutto questo quando suona? E' tutto lì dentro, nella sua musica! Nessuno può farlo come lo fa lui! Nessuno può suonare come Toots! Perché lui è quello che è! Se ascoltate Bireli Lagrène, suona molto gypsy… ed è lui! Io non posso suonare così! Posso ascoltarlo, ammirarlo, posso persino prendere alcuni spunti, ma quello è lui, e penso che il mondo stia veramente diventando piccolo, e sta veramente diventando difficile essere dei musicisti originali. Capisci ciò che intendo?

E.S.: Si possono ascoltare molte idee diverse, tanti stili che arrivano da ognidove, e molto rapidamente. E i giovani musicisti ricevono già molto presto tutti questi stimoli….
M.M.: Adesso si possono ascoltare dei musicisti molto giovani, ma anche dei grandi musicisti, e ti può capitare di pensare: "Ha il sound di Sonny Rollins, o di Dexter Gordon, piuttosto che di John Coltrane". Forse in effetti il sound può essere quello, perché adotta quello stile, ma in passato potevi dire: "Oh, ecco il sound del Texas! Alla Eddie L. Davis… Sento un sound texano!" Oppure dicevi: "Sento New Orleans in quella musica, piuttosto che la Bay Area…." Negli Stati Uniti tutte le regioni hanno un loro particolare sound. Ma ora tutto si sta rimpicciolendo. E questo non è positivo. Ma la buona notizia è che riusciamo a fare esperienza l'uno dell'altro molto più facilmente e non abbiamo una mentalità ristretta. Però, il lato negativo della medaglia è che i musicisti iniziano ad avere un po' tutti lo stesso sound…

Poco dopo il termine dell'intervista assistiamo al primo set del concerto di Marcus Miller. Sul palco insieme a lui salgono Poogie Bell alla batteria, Bobby Sparks alle tastiere, Dean Brown alla chitarra, Keith Anderson al sax, Michael "Patches" Stewart alla tromba, e Big Doug Epting al basso, che gli fa da spalla mentre suona i suoi soli. Parte il primo brano, "Bruce Lee", composto da Marcus Miller, e presente nel suo ultimo album "Silver Rain", e la sala del Blue Note risuona di un ritmo heavy-funk piuttosto tagliente, non scevro, comunque, da una certa raffinatezza. Marcus Miller tiene il palco in maniera formidabile. Prima di suonare il primo brano prende una marionetta che raffigura Bruce Lee, e la mette seduta sul manico del suo basso. Marcus Miller ha la grande capacità di trasformare il basso in un meraviglioso strumento melodico, oltre che ritmico. Lui, al centro del palco, mentre si muove con la sinuosità di una pantera, suonando con flemma il suo basso, è il motore di un dinamismo musicale estremamente coinvolgente. La sua band è all'altezza della situazione e il risultato è veramente entusiasmante. Il pubblico, formato da tantissimi giovani, è attentissimo e ascolta a bocca aperta, scambiando sorrisi d'intesa e cenni d'approvazione o di meraviglia. La musica viene suonata a volumi piuttosto potenti, ma Marcus Miller è attento a non strafare, e passa al clarinetto-basso al momento giusto, concedendo una pausa ai timpani degli ascoltatori, alternando gli strumenti in maniera sapiente e saggia.

Abbiamo l'occasione di ascoltare vari brani, tra cui alcuni presenti nel suo ultimo CD: "Boogie On Reggae Woman" (Stevie Wonder), "Moonlight Sonata" (Beethoven), "Sophisticated Lady" suonata con il clarinetto basso, "La Villette" (Marcus Miller). Alla richiesta di "bis" Marcus Miller propone "Silver Rain". Il tutto esaurito al Blue Note e l'entusiasmo del pubblico confermano quanto questo innovativo polistrumentista newyorkese sia amato e ammirato. Il suo ultimo CD, presentato in occasione di questo tour europeo, evidenzia la maturità musicale dell'artista che si esprime con una certa raffinatezza ed eleganza.

Traduzione in russo:
http://www.nestor.minsk.by/jz/articles/2005/05081302.html

..::Il Concerto::..










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Data pubblicazione: 16/09/2005

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