Umbria Jazz Winter #27 Orvieto, 28 dicembre 2019-1° gennaio 2020 di Aldo Gianolio foto di Roberto
Cifarelli
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Con il mondo del jazz in lutto per la scomparsa di Mario Guidi,
giornalista, manager di tanti musicisti, fra cui
Enrico Rava,
Stefano
Bollani e del figlio Giovanni, anche grande persona, Umbria Jazz
Winter #27 è stata dedicata alla sua memoria, come ha annunciato addolorato il direttore
artistico Carlo Pagnotta nel concerto d'inaugurazione. Il figlio Giovanni,
uno dei giovani jazzisti europei più creativi, avrebbe dovuto suonare al piano solo
al Museo Emilio Greco proprio domenica 29, quando invece si è svolto a Foligno il
funerale.
Molta musica, come al solito, a Orvieto, con parecchi concerti ripetuti durante
i giorni di programmazione (dal 28 dicembre al 1° gennaio) in orari e luoghi diversi
(i principali il Teatro Mancinelli, il Museo Greco, la Sala Expo e la Sala dei 400
del Palazzo del Popolo), sempre con il "tutto esaurito" (ottomila biglietti venduti
per i circa novanta eventi presentati), un programma che abbiamo potuto seguire
solo nelle prime due giornate.
Gli avvenimenti principali sono stati i concerti dedicati ai Beatles e a
Mina.
La musica dei Beatles non ha mai avuto memorabili rifacimenti in ambito jazzistico:
cose buone, certo, ma non memorabili. Fra gli album di buon livello si possono annoverare
"Beatle Bag" di Count Basie e "Off Abbey Road: The Music Of The Beatles" di Mike
Westbrook. A Orvieto l'omaggio "The Magic And The Mystery Of The Beatles" ha avuto
gli arrangiamenti di Gil Goldstein (pianista nell'orchestra di Gil Evans),
che ha anche diretto sul palco del Mancinelli l'Umbria Jazz Orchestra e l'Orchestra
da Camera di Perugia (un plauso a entrambe); la larga formazione è stata integrata
da Lewis Nash alla batteria, Jay Anderson al contrabbasso e
John Scofield
come unico solista alla chitarra. Una scrittura che non ha avuto niente a che fare
con Basie e Westbrook, semmai, vagamente, a Evans: molto di più a Don Sebeski nei
lavori su repertorio beatlesiano che imbastì per altri due esimi chitarristi, George
Benson e Wes Montgomery. Goldstein in alcuni casi ("Let It Be", "Something", "Michelle")
non si è allontanato molto dalla natura dei brani originali (temi, ritmi, tempi)
e nemmeno dallo spirito, che dal nostro punto di vista non è cosa positiva; in altri
("Happiness Is A Warm Gun", "Flying", "Blue Jay Way", "Everybody's Got Something
To Hide", "Help") ha più lavorato di cesello con armonizzazioni preziose e movimenti
inediti che, incastrandosi ottimamente con gli assolo di Scofield quando questi
ha trovato scioltezza e ispirazione (perché anche per lui ci sono stati alti e bassi),
hanno fatto decollare la musica con esito felice.
Mina è invece stata omaggiata da un trio di musicisti che con lei avevano suonato
per dischi importanti a partire dagli anni Ottanta, quando la cantante si era già
ritirata dalle scene pubbliche:
Danilo
Rea al piano, Massimo Moriconi al contrabbasso e
Alfredo Golino alla batteria,
che però hanno interpretato molte canzoni del periodo precedente il loro inizio
di collaborazione, come "Tintarella di luna", "Parole", "La banda", "Se telefonando",
"Amor mio", "Insieme" e "Grande, grande, grande", presentate classicamente con esposizione
del tema, reso ben riconoscibile, e susseguenti improvvisazioni di Rea che, ottimamente
supportato dai compagni, in questi contesti si trova a proprio agio evidenziando
le sue qualità di fantasioso melodista, seducente armonizzatore ed energico manipolatore
di intrecci sonori.
Un altro tributo, questa volta ai vibrafonisti Milt
Jackson e Bobby Hutcherson, è venuto da due altri vibrafonisti loro succedanei:
Joel Ross e Warren Wolf (a cui in un successivo concerto si sarebbe
unito Joe Locke per formare il gruppo di all-star Vibes Summit). In quartetto
col contrabbassista Joe Sanders e il batterista Greg Hutchinson, i
due hanno suonato brani classici del repertorio del Modern Jazz Quartet (particolarmente
ispirati "Django" e "Bags' Groove"),vari standard ("ARound About Midnight"
ed "Evidence" di Monk) e alcune loro composizioni. Chi dei due si avvicinasse più
a Jackson e chi più a Hutcherson è difficile dirlo: entrambi, pur diversi, hanno
maturato uno stile che compendia le qualità dei predecessori, quindi una eleganza
estrema, un virtuosismo spiccato, uno swing tirato. Nei brani finali ha fatto la
sua comparsa la ballerina di tip tap Michela Marino Lerman che ha sottolineato ritmicamente,
con il batter di tacchi e delle suole delle scarpe, l'andamento della musica, con
virtuosistico operare, come fosse una percussionista aggiunta.
Un grande del vibrafono mainstream contemporaneo è anche Joe Locke, che ha
suonato con il quartetto di
Rosario Giuliani.
Con tributi a
Marco Tamburini ("Tamburo") e Roy Hargrove ("Raise Heaven") e standard
come "Que reste-t-il de nos amours?" e "Can't Help Falling In Love", sia Locke che
Giuliani hanno prodotto assolo trascinanti; in particolare Giuliani che col suo
sax alto, a tratti ricordando quello di Phil Woods e sempre mantenendo molti connotati
personali, è stato ricco di inventiva e calore, disinvolto nel proporre assolo complicati
ma grandemente comunicativi e pieni di verve, coadiuvato dalla ottima e consumata
ritmica affidata al basso elettrico di Dario Deidda e alla batteria di
Roberto
Gatto.
Il trombettista Paolo Fresu si è presentato con il Devil Quartet, con
Bebo Ferra
alla chitarra,
Paolino
Dalla Porta al contrabbasso e
Stefano Bagnoli
alla batteria, proponendo brani originali (come "Elogio del Discount", "Inno alla
vita" e "Moto perpetuo" di Fresu e "Giulio Libano" di Bagnoli) e riproposte come
"E se domani" e la sigla di "Un posto al sole". Il quartetto è rodato, pieno di
estro e vitalità (sound elettrico tramite Ferra e acustico con gli altri tre), con
assolo espressivamente taglienti e aspri (Ferra) e melodici, agili e lievemente
malinconici (Fresu), con un supporto ritmico perfettamente swingante. Un bell'amalgama,
equilibrato nelle diversità sonore, che poi è stato spostato più verso la durezza
scintillante dei suoni elettrici quando, come ospite, è intervenuto il chitarrista
Francesco Diodati, che trovando soluzioni proprie piene di bellezza si è
anche incorporato in modo naturale con l'insieme, trovandosi a menadito con Ferra
e costruendo dialoghi ammirevoli (Gianluca Petrella sarebbe poi stato ospite in
un concerto la sera sucessiva).
Altri italiani protagonisti, con il duo formato da
Antonello
Salis (piano e fisarmonica) e Simone Zanchini (fisarmonica) e
un repertorio dedicato alle musiche di Ennio Morricone ("Per un pugno di
dollari", "C'era una volta in America", Giù la testa") trattate in maniera eterodossa,
riprendendo stilemi da Cecil Taylor, John Cage e da diverse musiche popolari (italiane
e brasiliane) senza per questo avere il minimo di irriverenza verso le celeberrime
colonne sonore, anzi facendo trasparire un sincero trasporto di stima e ammirazione
attraverso un flusso continuo di immaginose turbinose idee spesso sfocianti in lunghi
frenetici intrecci dialoganti.
Al posto di Giovanni Guidi, che ha dato forfait per il grave lutto famigliare,
ha suonato in trio (con Jay Anderson al contrabbasso e Lewis Nash
alla batteria) il pianista Sullivan Fortner, spostando l'evento dal Museo
Greco alla Sala dei 400. Fortner, rispettando in pieno la più canonica tradizione
jazzistica (del jazz moderno) e recuperando anche istanze stilistiche della musica
classica (Chopin) e della musica popolare brasiliana, ha suonato con grande classe
e padronanza assoluta dello strumento attraverso armonizzazioni sofisticate e facilità
estrema di districarsi fra le melodie e fraseggi di assolo ispirati. Anche nella
sua performance ha fatto la sua comparsa la ballerina di tip tap Michela Marino
Lerman.