Vittoria Jazz Festival – Music & Cerasuolo
Wine
30 maggio – 21 giugno 2009
di Antonio
Terzo
Seconda edizione per il Vittoria Jazz Festival – Music & Cerasuolo Wine, che,
visto il seguito registrato al suo debutto, anche quest'anno ha affidato la direzione
artistica al sassofonista vittoriese
Francesco
Cafiso. Segno di una manifestazione che vuole crescere, questa volta
la rassegna si internazionalizza, grazie alla presenza di musicisti molto apprezzati
in Europa e nel mondo.
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Paolo Fresu Devil Quartet
sabato 30 maggio 2009
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Photo by Valentina Mazza
Avvio bruciante con il Devil Quartet
di Paolo Fresu,
che richiama un gran numero di appassionati ed attira nella piazza antistante l'ex
Centrale Elettrica una folla numerosa di pubblico e curiosi.
Se negli ultimi tempi è stato possibile ascoltare
Paolo Fresu
in varie combinazioni, dal duo con
Uri Caine
al PAF trio, passando per l'inserimento nel Lost Chords di
Carla Bley,
di certo questo Devil Quartet – sorto dalle ceneri di quell'Angel Quartet
i cui membri erano spesso impegnati in vari altri progetti – ne abbina i fiati a
tre amici di lunga data, instillando nelle sue affascinanti sonorità di sempre una
rinnovata freschezza, grazie alla chitarra di
Bebo Ferra,
al contrabbasso di
Paolino
Dalla Porta e alla batteria di
Stefano Bagnoli.
Una
trascinante ritmica semiacustica che si distingue già dalla spumeggiante apertura
con Another Road to Timbuctù: l'assolo di
Ferra
è quasi psichedelico, forte della solida struttura portante di batteria e contrabbasso,
sul cui walking si appoggia anche il flicorno. Incantevole
Mimì (Dalla Porta), avviata sugli effetti di
Fresu
e sull'archetto di
Dalla
Porta: un brano giocato sulle progressioni armoniche, penetrante, con
un filo di malinconia ed un lirico intervento del contrabbasso, fugaci citazioni
bachiane, e coda in respirazione circolare al flicorno. È invece uno swingante bop
Caledonian Flowers, caratterizzato dall'unisono
fra tromba muted e chitarra, cui segue Game #7
(Dalla Porta), aperta dalla sola batteria, asciutta e senza cordiera, e seguita
da un ironico e divertente crescendo dei delay di
Ferra,
con ritagli di Oleo sul finale. Dopo il medley fra
Game 7 (Dalla Porta) ed
Elogio del Discount (Fresu), è la volta di
Giovedì, ballad notturna e delicata a firma
Ferra,
interpretata con la tromba sordinata; quindi si passa al flicorno per
Moto Perpetuo, musica scritta da
Fresu per "Percorsi di Pace", documentario-spettacolo-concerto
del regista Ferdinando Vicentini Orgnani sull'esperienza di due gruppi di
ragazzi, uno israeliano e l'altro palestinese, ospitati sull'isola di Sant'Erasmo
per iniziativa del comune di Venezia: una intensità palpabile, un iniziale contrasto
che promana dalle percussioni di
Bagnoli,
dai colpi di contrabbasso di
Dalla
Porta, e che sfocia nel retrogusto funky-orientale generato dalla commistione
fra i loop che si dipanano dalla chitarra e gli effetti che mirabilmente trasfigurano
il flicorno, elettronica ben dosata per sonosfere molto accattivanti. Intermezzo
"papà jazz": consuetudine vuole che quando i jazzisti diventano genitori, immancabilmente
compongano una ninna-nanna per il pargolo. E
Paolo Fresu,
papà più recente del gruppo, dopo aver a lungo eseguito quelle degli altri, adesso
può finalmente proporre Ninna-nanna per Andrea
e Inno alla Vita, due ballad quasi pop-folk,
una con tromba in sordina, con un fitto e spumeggiante dialogo con il contrabbasso,
e l'altra soffiata al flicorno. Unico standard della serata
I Got Plenty of Nothing, dal Porgy & Bess,
spirito dixie su cui si rincorrono gli effetti di
Fresu
e Ferra,
ed il break di
Bagnoli che non sbaglia un colpo. Grandi applausi che riportano
i quattro in scena per la chiusura con Qualche anno dopo
(Ferra) un augurio al festival vittoriese, affinché possa rinnovarsi negli anni
come la rassegna che
Fresu
stesso organizza nella sua Berchidda da anni.
Taglio trasversale viene dato con il concerto dei Rumbaclave. In
uno spettacolo ritmicamente trascinante, il combo, capeggiato da Ales "Pandero"
ai timbales e alla voce, ripercorre la storia della musica cubana, i suoi compositori,
le sue orchestre. Supportato dalle immagini proiettate su uno schermo, Pandero
dapprima introduce la figura ritmica base della musica cubana, la clave,
mostrando il debito che molti generi musicali moderni, e non ultimo il jazz, abbiano
con questa musica d'origine africana. Uno show
molto ritmato nel quale hanno modo di inserire le rispettive individualità non soltanto
i percussionisti – il conguero Sergio Armando Zagarro "el Conte" e
José Guerrero "el Campanero" ai bongos e altre varie percussioni – ma anche
il piano di Lelé Martinez "Caballero", la fantasiosa tromba di Ivan Cammarata
"Camaron" ed i sax di Salvo Tempio "Avolla".
Un repertorio indubbiamente ricco per circa una ventina di brani che hanno
spaziato da Flight to Norway del Duke Jordan
Trio a Sin clave non hay salsa di Pablo Milanes,
la salsa sensuale di Obsession (Pedro Arroyo),
per giungere ai grandi protagonisti, come il pianista Hilton Ruiz, del gruppo Guataca
di Chico Freeman, con Michael's Mambo, o anche
i "poeti" popolari, capaci di scrivere sull'amore o l'amicizia, come ne
El Camaleón di Rubens Blades, senza dimenticare
La Historia de un Amor, struggente classico
di Carlos Almarán. E ovviamente anche le indimenticabili collaborazioni con i grandi
jazzisti, come quella fra Dizzy Gillespie e Chano Pozo dalla quale ha avuto vita
la branca cubana del latin jazz – da distinguere dal brazilian jazz –, ricordata
con l'esecuzione di Manteca, in cui "el Conte"
si ritaglia un pittoresco momento percussivo. Non poteva mancare un omaggio al "Mambo
King" Tito Puente, con uno dei suoi brani più famosi, portato al successo da Carlos
Santana Oye Como Va?. Un concerto all'insegna
di rumba, mambo, cha-cha-cha e perfino bolero, presentato con intelligenza e passione,
che ha regalato una serata piacevolmente insolita ai frequentatori della manifestazione.
Photo by Rosalba Amorelli
Il Cerasuolo protagonista nelle serate del venerdì con il "jazz club diVino",
ed ad allietare la mescita di giorno 12 giugno il Gaetano Tucci Quartet.
Composto da Paolo Passalacqua al piano, Diego Tarantino al contrabbasso,
Calogero Marrali
alla batteria e guidato dal saxtenorista Tucci, il quartetto si muove agilmente
sul terreno di un hardbop con marcate venature afro, in cui si incastona perfettamente
il suono completo del versatile tenore del leader. Che il
gruppo sia spesso invitato in molti festival del
Continente Nero lo si deduce dai titoli dei brani, in gran parte scritti dal tenorista:
Maputo, con il contrabbasso spiritoso e vario
di Tarantino, esuberante la batteria di Marrali ma pure ricca di figurazioni ritmiche,
e Mocambique, con partenza afro-caraibica.
Bob's Walk è invece un motivo di Tarantino, più rilassato, con una robusta
interpretazione del tenore, che precede un assolo di contrabbasso ben articolato.
Passalacqua concorre alla serata con Net Nella, una morbida ballad interpretata
in modo lento da piano e contrabbasso, fino al serrato allungo di Tucci. È Tarantino
ad introdurre Ostinato, tanto orecchiabile che potrebbe facilmente divenire
il jingle di una pubblicità. Dopo la breve pausa, tocca a Marrali aprire il secondo
set con un proprio brano dedicato a Max Roach, Five for
Max, un 5/4 con ipnotico incedere incalzante della batteria, che vede
Tucci al soprano semicurvo, con citazione inevitabile da Take Five. Fra tutti spicca
però Oriental Mood, un modale "cattivo" dove
sull'elastico contrabbasso, il tenore si abbandona ad un sensuale intervento, seguito
da piano e contrabbasso. Unico standard della serata Some
Time Ago di Sergio Mihanovich, un 3/4 in cui Tucci mostra ancora di uno
spigliato fraseggio al soprano. Rovuma Hotel è un bop spinto dal walking
marciante di Tarantino che fa da sfondo alla migliore improvvisazione di Passalacqua.
Il concerto si conclude con il bis Donna Lee,
a velocità sostenuta, che digrada verso un finale quasi sottovoce con l'ottimo Marrali.
Photo by Rosalba Amorelli
La serata di sabato ha avuto protagonista uno dei maestri contemporanei
del sax tenore,
Jerry Bergonzi, più di quarant'anni di musica jazz. Ben oltre
gli schemi del mainstream, Bergonzi propone un jazz sempre originale, basato sugli
intervalli della scala pentatonica: ed il suo trio con il contrabbasso dell'inossidabile
Dave Santoro e la batteria dell'affidabile Andrea Michelutti riesce ottimamente
a far dimenticare l'assenza dello strumento armonico. Avvio con
Obama, omaggio al nuovo presidente statunitense,
pimpanti le linee disegnate dal contrabbasso, molto composto inizialmente Bergonzi,
un suono pastoso ed ambrato con frasi misurate, quasi contenute, che conducono al
finale di soppiatto. Intro solitaria al contrabbasso, melodica ed aperta, a sfociare
su Hogtied (Santoro), brano altrettanto aperto
in 5/4, in cui Bergonzi ha modo di infilare fraseggi
più distesi. Partenza pacata e d'atmosfera per Splurge
sulle mazze di Michelutti, da cui emerge il ride per un duetto con il leader al
quale solo a metà si aggiunge Santoro, assecondando il periodare discorsivo del
sax. Dream Flight è una ballad lenta nel ritmo
e certamente atipica nell'armonia, secondo l'estetica bergonziana: un risultato
efficace, vagante e vaneggiante come il volo del sogno del titolo, con un terso
e riflessivo contributo dell'impeccabile Santoro. Dopo l'elegante salsa armonicamente
sghemba de La Cucaracha, dove si distingue una scattante cavalcata di Michelutti,
tocca a The End of the Mayan Calendar, inizio
con suspense, note lunghe e frastagliate del tenore, divagante anche la batteria,
per risolvere in una narrazione meditativa sia del tenore che del contrabbasso:
affascinante. Con Just in Time il sassofonista
si affida ancora al soprano, per proseguire con la monkiana
Pannonica che con questo strumento assume insospettati
contorni ironici. Garbato l'assolo di Santoro, e Bergonzi riesce a duettare anche
con la sirena di un vicino allarme, fra gli applausi divertiti della gremita piazza.
L'ultima parte del concerto si concentra sul repertorio jazz, da
Who Cares? di Gershwin, spigliata e spassosa, su
cui si inserisce un brillante break di Michelutti, a Soultrane
di Tadd Dameron, con Bergonzi a scolpire note e fregi fino al finale
in solitudine, e l'encore, richiestissimo, un blues maggiore (Bluebonics?)
che chiude con gli scambi fra Bergonzi e Michelutti.
Ultimo appuntamento della settimana con il trio di Rosario Di Rosa,
pianista vittoriese che da tempo vive a Milano, accompagnato da Paolo Dassi
al contrabbasso e da uno smagliante
Jimmy
Weinstein alla batteria. Conoscitore della poetica monkiana e forte
degli studi avanzati con D'Andrea ed Salvatore Bonafede, Di Rosa tratta il repertorio
bop e post-bop con raffinato linguaggio contemporaneo, individuando cellule su cui
indugiare, brandelli di melodia da esplorare o monadi armoniche da sviluppare assistito
dai compagni. Partono note registrate di Armstrong, cui i tre si sovrappongono –
pizzicato il piano, ronzante l'archetto di Dassi che poi si fa battente, incisive
e leggere ad un tempo le bacchette di Weinstein – per dar vita a
Freedom: percorsi melodici trasversali che rendono
indispensabile un costante ed intrigante ascolto reciproco.
Da Turnaround
di Ornette
Coleman fuoriescono costrutti destrutturati tenuti insieme dall'armolodico
contrabbasso, mentre i fuori tempo di Weinstein, tipici del suo drumming,
fanno da elemento sorpresa; non meno sorprendente è la dotazione tecnica di Dassi,
lucidi frangenti sferzanti e melodici e notevole rapidità di fraseggio. Incipit
tuonante di Di Rosa, irruzione di uno spingente walking bass e spruzzi di batteria
per la shorteriana Fee-Fi-Fo-Fum, cambio di
ritmo ad un'occhiata fra piano e batteria e spostamento del contrabbasso su figure
sincopate: un'estemporaneità che procede per moduli improvvisativi del piano, sempre
cangianti, e che immette in All the things you are,
con muscolare pedale percussivo del contrabbasso. Avvio sospeso e notturno per
Round Midnight, scavata dal piano sull'insistente
picchettio del contrabbasso poi smanacciato, e senza soluzione di continuità
Latin Genetics di
Ornette
Coleman, con un pirotecnico Weinstein. Anche la semplice trama di
Jitterbug Waltz di Waller viene cifrata, istruita
dal solo contrabbasso ed inframmezzata da un'aria romantica su di una progressione
ciclica. Ambientazione jazz-rock per Bye Bye Blackbird,
abbinata ancora a Monk, mentre l'ultima accoppiata fonde l'aggraziata
Stella by Starlight e la shorteriana
Footprints, con moto del basso quadruplicato in
velocità. Immancabile, il fuori programma è una trascinante
I Got Rhythm.
photo by Valentina Mazza
Dà avvio all'ultima settimana del Vittoria Jazz Festival un gradito ritorno,
molto apprezzato dal pubblico vittoriese. Durante il Jazz diVino di giorno 18, la
mescita del Cerasuolo del Consorzio di tutela del Cerasuolo di Vittoria ha visto
protagonista il quartetto della vocalist Marta Capponi, secondo miglior piazzamento
alla prima edizione del Vittoria Rotary Jazz Award, che, accompagnata da Giuseppe
Asero al piano, Alessandro Nobile al contrabbasso e Giuseppe Tringali alla batteria,
ha saputo deliziare i presenti con la sua voce e una notevole capacità di stare
sul palco. Un programma di standard eseguito con particolare verve, con la
Capponi in gran forma, disinvolta nei fast ed accorata nelle ballad. E la
jam session che ne è scaturita successivamente, nella quale si sono avvicendati
Dino Rubino
sia al piano che al flicorno, Nello Toscano al contrabbasso, Giuseppe
Tringali e Fabrizio Giambanco alla batteria nonché
Francesco
Cafiso al sax, ha tenuto gli appassionati agganciati alle sedie fino
alle ore piccole della notte.
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Flora Faja "Italian Songs"
sabato 20 giugno
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photo by Rosalba Amorelli
La serata dell'ultimo sabato del festival è stata all'insegna della musica
d'autore italiana, con le "Italian Songs" della cantante Flora Faja. Una
voce leggera con un grande background jazzistico, per un progetto che coinvolge
una band di versati musicisti in session, ospite
Fabrizio Bosso:
un'ardita rivisitazione di capolavori della musica italiana riccamente arrangiati
dal pianista
Giovanni Mazzarino. In questa riduzione dal vivo, il trombettista
torinese, già l'anno scorso ospite del festival con il gruppo degli High Five, è
appositamente venuto per dare il proprio contributo alla serata. I musicisti salgono
uno ad uno ed un pedale del basso elettrico di Riccardo Lo Bue fa partire
Senza Fine, nella quale Bosso si distingue per il pregiato recitativo. Coda
con montuno per Eppur mi son scordato di te, mentre in
E se domani è lo stesso Mazzarino, fin
qui impegnato nella conduzione della sezione fiati, a sedere al piano, per un quintetto
insieme all'altoista
Orazio Maugeri.
In questo frangente, per dovere di cronaca, la platea viene percorsa da un brusio:
in modo assolutamente inatteso, il trombettista Tom Harrell si trova in un
angolo della piazza gremita di gente, per ascoltare parte del concerto insieme alla
moglie. Tornando allo show, fra i pezzi da sottolineare senza dubbio Breve Amore,
versione italiana di You Never Told Me, uno dei temi principali della colonna
sonora scritta da Piero Piccioni per il film "Fumo di Londra" di Alberto Sordi,
che fu pure autore del testo italiano: oltre alla sentita interpretazione della
Faja, di rilievo il lavoro del batterista Fabrizio Giambanco sullo sfondo.
Non meno interessante la rilettura di Donna in 5/4 dove la tromba di Bosso
rilascia un rivolo strisciante di fresche sensazioni. Unico brano originale composto
dalla stessa Faja e musicato dal Cardinale del jazz è Un colore che non so,
ballad con buon gioco di spazzole a sostenere il fraseggio di Bosso con la mute
trumpet. Dopo Sogno di Gatta, rilettura de La Gatta di Paoli,
il latin swing di Primavera Sarà, mentre è il tenore di Francesco Marchese
ad improvvisare sui 3/4 di Cosa Vuoi dalla Vita in combine con
Ma l'Amore No. La piazza del sabato, affollata di appassionati e curiosi, mostra
di apprezzare questo repertorio noto eseguito in modo così particolare e finisce
per ballare sulle accese note di Ella canta il jazz, divertentissima.
photo by Valentina Mazza
Concerto di punta del Vittoria Jazz Festival
2009, che ha creato una particolare attesa anche sui meno addentro al
jazz, è stato certamente quello conclusivo di domenica 21 giugno, con il
Tom Harrell Quintet, prima assoluta che dà avvio al tour europeo del trombettista
statunitense. Un concerto che potrebbe sottotitolarsi "la potenza della fragilità";
la vicenda personale di questo sensibilissimo jazzista carica infatti di particolare
pathos ogni sua apparizione. Fresco di una nuovissima uscita discografica,
Prana Dance, lo stellare trombettista si è presentato con la stessa formazione delle
sue ultime incisioni – Wayne Escoffrey al sax tenore, Danny Grissett
al piano, Ugonna Okegwo al contrabbasso e Johnathan Blake alla batteria.
E la performance è stata infatti ben al di sopra delle più rosee aspettative, con
un Harrell rilassato che ha tirato fuori il meglio dai suoi fiati, in una scaletta
che ha percorso per lo più l'ultimo Cd, dall'omonima Prana Dance, con tocco
del piano di grande eleganza sottolineato dal rullante, a Sequenza, fibroso
l'intervento solistico del vulcanico Escoffrey che improvvisa scale ricciolute e
svettanti, di incredibile precisione, senza alcun apparente sforzo.
Denso il flicorno di Harrell che dopo aver regalato
toccanti note resta come sempre immobile, appeso e penzolante al centro della scena,
e chi lo vede non può non chiedersi a cosa stia pensando: pensa di certo alla musica,
la sua musica, e diviene egli stesso la propria musica che si materializza avvolgendolo.
Segue una larga ballad, The Sea Serpent, introdotta dal piano elettrico,
con tema enunciato dal vellutato suono del flicorno, quindi il pezzo più prorompente
del concerto, un funk (Ride ?) staccato dal Rhodes che fa muovere tutta la
piazza sulle note del flicorno, dosate in durata, colore ed espressione come solo
Harrell in splendida forma riesce a fare. Grandiosi fuori tempo della batteria
assecondano il guizzo di estemporaneità di Escoffrey, fino al break di
Blake, prima pennellato sulle sfumature cromatiche e poi su crescenti dinamiche.
Forse rassicurato dall'affetto dimostratogli dalla piazza, Harrell imbraccia perfino
la tromba, da tempo messa da parte durante le esibizioni dal vivo, per il poliritmico
e variegato In The Infinite, che dopo il serratissimo fraseggio del tenorista,
chiude al flicorno. Alla fine, gli applausi già scroscianti dopo ogni esecuzione,
si trasformano in una sentita ovazione da parte del pubblico, praticamente rapito
dalla musica e consapevole di aver assistito a qualcosa di straordinariamente emozionante.
E lo stesso Harrell, grato per tanto calore, stacca Rhythm-a-Ning di Monk,
con scambi prima fra lui, il contrabbasso e la batteria, poi fra sax e contrabbasso,
infine ancora con la possente batteria di Blake. Una serata semplicemente eccezionale.
Come e più della prima edizione, anche quest'anno il Vittoria Jazz Festival
è stato arricchito da diverse manifestazioni collaterali, grazie al supporto istituzionale
e dell'amministrazione cittadina, che ne sta facendo il fiore all'occhiello delle
proprie iniziative culturali, e al patrocinio dell'associazione Sicily Jazz Music.
Così
come è in uso ormai in molte kermesse jazzistiche, alcune serate domenicali
del festival hanno visto le strade del centro cittadino animate dalla Size 46 Street
Band, che con l'energia proveniente dai bagliori dei suoi ottoni, ha proiettato
la piccola cittadina iblea in una dimensione quasi neworleansiana. Sempre in prossimità
del palco centrale, un'istallazione all'aperto, organizzata dal circolo ASA 25,
ha fatto da sfondo alle notti del jazz durante i quattro fine settimana della rassegna,
con circa 800 scatti di fotografi amatoriali vittoriesi, permettendo ai numerosissimi
visitatori di accedere in orari inconsueti ai vari atelier – Marco Schilirò,
Tamara Marino, Enzo Cicciarella, Daniela Schifano, Michele
Nigro, Angelo Rizza, Rosalba Amorelli, Enzo Cirasa e
Giovanni Robustelli (autore del logo del festival) – di cui sono brulicanti
le vie a lastroni del Quartiere degli Artisti.
La Sala Mazzone della ex Centrale Elettrica ha ospitato invece "Aspetti di
una Ricerca", mostra antologica del maestro Franco Sarnari, romano d'origine
e siciliano d'adozione: partendo da metonimie anatomico-figurative in cui la parte
non sta più per il tutto, ma vi si condensa fino a diventare essa stessa soggetto
annullando l'intorno, l'autore perviene con la serie dei "Neri" ad una densa sublimazione
della materia della quale, da sovrapposizioni dall'intero spettro cromatico, si
giunge per sottrazione soltanto al riflesso corporeo.
Per
tornare alla musica, si è svolta nell'ultima settimana la seconda edizione del Vittoria
Rotary Jazz Award, concorso nazionale per giovani talenti che ha impegnato la giuria
in una serata eliminatoria che, dalla ventina di concorrenti provenienti da varie
parti d'Italia, già vagliati fra le diverse centinaia di domande pervenute, ha selezionato
i sei finalisti: il sassofonista
Fabrizio
Scarafile, e i pianisti Sade Mangiaracina, Giuseppe Vasapolli,
Aki Spadaro, Giuseppe Asero e Roberto Brusca. Nella serata
di venerdì 19 giugno, presentata da Daniela Citino, i jazzisti ammessi all'ultima
fase si sono esibiti dinnanzi alla giuria e al pubblico sul palco principale del
festival e hanno dato vita ad un vero e proprio spettacolo, cimentandosi ciascuno
in due brani accompagnati da
Giovanni
Mazzarino al piano, Nello Toscano al contrabbasso e Fabrizio
Giambanco alla batteria.
In attesa del responso finale, sul palco sono saliti gli allievi della Vittoria
Rotary Jazz School, iniziativa didattica promossa dal Rotary vittoriese, che ha
avuto protagonisti piccoli e grandi principianti i quali, sotto la guida paziente
ed attenta del maestro Carlo Cattano, sono riusciti in pochi giorni a mettere
su un brano articolato e moderno. Per intrattenere il pubblico durante il conteggio
dei voti, il giovanissimo cantante Mario Scucces – certamente noto al pubblico
televisivo – ha dato mostra del suo innato talento e di una spiccata musicalità
eseguendo Night And Day e
Doxy con swing e trasporto, accompagnato dal divertito
e quasi incredulo trio di Mazzarino.
Quindi,
la proclamazione dei tre vincitori decretati dalla giuria: primo classificato
Giuseppe Vasapolli, seguito da
Fabrizio
Scarafile e, terzo, Roberto Brusca, ai quali sono andati i premi
in denaro offerti dal Vittoria Rotary Club. La serata si è conclusa in jam session
con il Giovanni
Mazzarino Trio,
Francesco
Cafiso al sax e
Dino Rubino
al flicorno, che hanno suonato standard e alcuni brani di loro composizione, come
l'irresistibile tango di Pablo del fiatista catanese.
Nel
jazz, fino all'ultima nota non si sa mai quale potrà essere il finale. Ed infatti
il percorso notturno di molti dei musicisti attraverso le stralunate vie di Vittoria,
di certo poco avvezze alle ore piccole, si è senza preavviso fermato ad un pub con
pianoforte dissonante, e da lì è ripartita la musica, con Cafiso, Rubino,
Mazzarino e Vasapolli "drum-man", tutti in versione "relax", davanti
a pochi fortunati presenti. Un happening che, volendo adesso pensare alle
rifiniture di questo giovane ma già rispettabile festival, si potrebbe rendere istituzionale
trovando un luogo dove i musicisti possano scatenare e appagare il proprio bisogno
di suonare in jam, anche una volta spente le luci del main stage.
Fra i saluti istituzionali dell'ultima serata, quelli del sindaco Giuseppe
Nicosia, dell'assessore Luciano D'Amico e del direttore artistico
Francesco
Cafiso che insieme hanno già annunciato le date della terza edizione
del festival, previsto dal 29 maggio al 20 giugno 2010.
A fine rassegna, oltre alla sincerità del Cerasuolo di Vittoria, un altro
protagonista ha ancora una volta mostrato un'anima trasparente come le note che
escono dal suo sax: nonostante il gran successo che il suo festival sta riscuotendo
di anno in anno,
Francesco
Cafiso resta sempre una persona semplice ed un'artista di cuore,
espressione vera della spontaneità di questa musica: in jazz veritas!
Da menzionare, infine, anche i concerti della seconda settimana del festival,
Seby Burgio Trio (venerdì 5 giugno), Giuseppe Mirabella Quartet (sabato
6 giugno) e l'Open Band di Mimmo Cafiero (domenica 7 giugno).
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
16/07/2011 | Vittoria Jazz Festival - Music & Cerasuolo Wine: "Alla quarta edizione, il festival di Vittoria si conferma come uno dei più importanti eventi musicali organizzati sul territorio siciliano. La formula prescelta dal direttore artistico è quella di dilatare nel tempo gli incontri musicali, concentrandoli in quattro fine settimana della tarda primavera, valorizzando uno dei quartieri più suggestivi della città, la restaurata Piazza Enriquez, e coinvolgendo, grazie a concerti e jam session notturne, una quantità di pubblico davvero rilevante, composto in parte da giovani e giovanissimi, portatori di un entusiasmo che fa davvero ben sperare sul futuro del jazz, almeno in questa parte della Sicilia." (Vincenzo Fugaldi) |
15/05/2011 | Giovanni Falzone in "Around Ornette": "Non vi è in tutta la serata, un momento di calo di attenzione o di quella tensione musicale che tiene sulla corda. Un crescendo di suoni ed emozioni, orchestrati da Falzone, direttore, musicista e compositore fenomenale, a tratti talmente rapito dalla musica da diventare lui stesso musica, danza, grido, suono, movimento. Inutile dire che l'interplay tra i musicisti è spettacolare, coinvolti come sono dalla follia e dal genio espressivo e musicale del loro direttore." (Eva Simontacchi) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
30/08/2009 | Laigueglia Percfest 2009: "La 14° edizione, sempre diretta da Rosario Bonaccorso, ha puntato su una programmazione ad hoc per soddisfare l'appetito artistico di tutti: concerti jazz di altissimo livello, concorso internazionale di percussionisti creativi Memorial Naco, corso di percussioni per bambini, corsi di GiGon, fitness sulla spiaggia, stage didattici di percussioni e musicoterapia, lezione di danza mediorientale, stage di danza, mostre fotografiche, e altro." (Franco Donaggio) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
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Data pubblicazione: 03/07/2009
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