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Secondo lavoro del giovane pianista statunitense, oramai quasi in pianta stabile nella capitale italiana. Il livello tecnico dei suoi compagni d'avventura è considerevole e ne è prova l'equilibrio ritmico-armonico presente negli otto brani dell'album.
Burk ha trovato gli stimoli giusti per costruire un proprio percorso orginale anche se la vena improvvisativa di alcune tracce risulta piuttosto stereotipata.
Così come in Burk's quirks o in Serena al telefono. Due brani ai confini con il free, sicuramente ben eseguiti, ma poco incisivi nelle costruzioni tecniche.
Bergonzi si distingue per elasticità e velocità esecutiva che rendono, comunque,il fraseggio sempre godibile e leggibile. Le scorribande stilistiche in tal senso, però, non ammaliano, anzi per certi versi risultano troppo scontate.
Corposa, invece, la ballad Hymn for Her, eseguita con uno stile elegante e lineare. Il suono pulito ed al contempo coriaceo, alimenta i ricordi sonori del background afroamericano.
Ink riprende le tematiche della libertà espressiva attraverso l'esasperazione dei dialoghi tra il soprano di Bergonzi e le nervose scale di Burk.
La ricerca compositiva prosegue in Look the Astroid, un sound fresco, mai esile lì dove il tocco pianistico è sornionamente ironico.
Molto gradevole il tributo a George Russel (For George Russel), che mette in evidenza le qualità tecniche e stilistiche del pianista, sempre sorretto da una grintosa ritmica che sottolinea ancor più la vena bop del brano.
Hupid Stumid (forse libera interpretazione della locuzione Hume stupid?) attraversa una sperimentazione opportunamente riscaldata dai toni tenorili di Bergonzi, che interpreta in modo eccellente l'intento compositivo del leader.
L'eleganza lineare di Song for Sara esalta l'interplay del quartetto. La struttura manieristica è opportunamente vitalizzata dall'interpretazione pianistica e sottolineata dai soli di contrabbasso
di Robinson allorquando utilizza l'archetto.
E' sicuramente un album di ricerca. Un altro passo importante verso la maturità da parte di questo giovane talento che ha "colto" i diversi momenti musicali della sua formazione fondendoli con una costruttiva irrequietezza.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia