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Rassegna Jazle

Jerry Bergonzi quartet
Concerto del 24 febbraio 2006 - Teatro Paisiello - Lecce
di Adriana Augenti

foto di Maurizio Bizzocchetti

La platea alle sette di sera fa un effetto strano. Direi che avrebbe un aspetto tetro se non fosse per le luci e per…sì, quei ragazzi lì sul palco sembra si stiano divertendo molto. Li raggiungo, accompagnata dal direttore di Jazle, che mi affida nelle mani di Andrea Michelutti. "La signora è qui per Jazzitalia. Vorrebbe fare delle domande al signor Bergonzi prima del concerto…".

N
on ci vuole molto e l'atmosfera si fa familiare. I musicisti, durante il soundcheck, si scambiano gli strumenti fra loro. Jerry Bergonzi si impossessa dello strumento accordato da Dave Santoro…Le note sono appena percettibili, coperte da qualche fragoroso sorriso, ma lui pare provarci molto gusto col contrabbasso…

Adriana Augenti: Lei ha cominciato a suonare il clarinetto da giovanissimo, per poi passare al sassofono…
Jerry Bregonzi: Penso che quando suoni il clarinetto sia estremamente naturale arrivare al sassofono, perché gli insegnanti ti dicono "tu puoi suonare il sassofono" e sei portato ad ascoltare i tuoi insegnanti e ciò che loro ti consigliano, ciò che loro ti fanno ascoltare. Posso affermare che, in fin dei conti, a me sia sempre piaciuto il sassofono.

A.A.: Lei quindi ha sempre pensato di suonare il sassofono, oppure desiderava imparare qualche altro strumento?
J.B.: Oh no! Il mio primo desiderio è stato quello di suonare la tromba. Però tutti mi dicevano che la tromba non faceva per me e che avrei dovuto suonare il clarinetto. Mi chiedevo cosa fosse un clarinetto, così tornai a casa e chiesi a mia madre di comprarmene uno e lei lo fece: un clarinetto da diciassette dollari, un clarinetto U.S. Army.

A.A.: Quali sono state le sue influenze in ambito musicale, quelle che, come diceva prima, ha 'ascoltato' per arrivare ad amare il sassofono?
J.B.: Beh, nella musica sono stato influenzato da molte persone. In particolare direi Sonny Rollins, John Coltrane, Wayne Shorter, Hank Mobley, Stanley Turrentine, Cannonball Adderley, Dexter Gordon, Charlie Mariano, Kenny Dorham, Lee Morgan, Miles Davis…certamente Elvin Jones, Billy Higgins

A.A.: Nel corso della sua carriera, dei suoi studi, lei ha suonato con molti altri sassofonisti, così sì è trovato a volte a suonare altri strumenti…
J.B.: Sì, è vero! Qualche volta mi sono divertito a suonare la batteria ad esempio. Poi, quando vivevo a Boston, prima di andare a New York, ho suonato anche il basso, in alcuni locali. Quando ho racimolato abbastanza soldi da andare a New York ho smesso di suonare il basso, ma è uno strumento che mi piace molto.

A.A.: Oltre ad essere un grande musicista lei è anche un ottimo insegnante, ed ha anche scritto diversi libri. Qual è il metodo di apprendimento che predilige, quale il metodo di insegnamento che adotta?
J.B.: Io penso che quello che andrebbe fatto, quello che dovrebbero fare tutti i musicisti, è ciò che io definisco come jazz-yoga, una sorta di modo spirituale di concepire gli accordi, gli arrangiamenti, gli esercizi stessi…Non ha importanza se lo studi, se fai pratica a casa, se lo insegni: io lo concepisco così, e lo chiamo jazz-yoga.

A.A.: Lei ha registrato alcuni album con Dan Wall, con l'organo hammond dunque. Dopo è passato al piano. C'è un motivo per questa scelta?
J.B.: Sai, a me piacciono entrambi. Mi è piaciuto molto registrare con l'hammond, ma ci ho fatto quattro album. Era arrivato il momento per me di fare qualcos'altro, a volte si sente il bisogno di cambiare. Questo è tutto.

A.A.: Lei ha anche suonato e registrato con alcuni musicisti latini, Nando Michelin se non sbaglio…Che cosa pensa delle influenze che la musica latina ha nel jazz?
J.B.: Ah, io penso che sia grandioso! Ma non solo l'influenza della musica latina nel jazz è grandiosa, io direi anche il contrario. Nando Michelin, inoltre, è un bravo compositore, e un ottimo pianista, ed è stato molto interessante e divertente suonare e registrare con lui. E' stata una vera sfida, perché lui scriveva brani abbastanza inusuali…

A.A.: E per quanto riguarda le influenze di altri generi musicali nel jazz, come la musica indiana, o la musica africana?
J.B.: L'adoro! Io credo che tutti i musicisti di oggi dovrebbero prestare molta attenzione alle influenze della musica africana, della musica indiana…



A.A.: Lei pensa che ci sia qualcosa di sbagliato nel modo di 'fare jazz' di oggi?
J.B.: No, non credo che ci sia qualcosa di sbagliato. E' un modo diverso, ma non sbagliato. E' musica fatta più che altro con le orecchie, i giovani oggi suonano col loro orecchio…

A.A.: Ecco, i giovani! Ha anticipato la mia prossima domanda. Lei è anche un insegnante. Qual è la cosa che dice più spesso ai suoi studenti, quale consiglio per imparare, per suonare meglio?
J.B.: Dico loro di seguire la passione. Questo cerco di insegnare: la passione. Dico loro: "Qualsiasi suono voi amiate, quell'armonia riuscirete a suonarla". Non si può suonare qualcosa che non piace, questo penso.

A.A.: Allora cosa è importante per imparare a suonare e cosa è importante per capire cosa sia il jazz?
J.B.: Beh, la parola ‘jazz' è differente per ognuno: per qualcuno vuol dire blues, per qualcun altro John Coltrane, per qualcun altro ancora Duke Ellington, o Louis Armstrong, o Dave HollandIo non cerco mai di insegnare 'cosa sia il jazz'. Il jazz è quello che ognuno sente essere tale.

A.A.: Quanto è importante…cosa può dirci dell'improvvisazione?
J.B.: Penso che mentre si suona il jazz si sia sempre 'sull'improvvisazione'. E' l'improvvisazione che ti porta nel tempo presente, in qualsiasi cosa tu faccia, ed a qualsiasi cosa tu pensi, non solo alla musica. Per il jazz poi, l'improvvisazione e quello che ti ho detto prima, è parte integrante di quello che io chiamo jazz-yoga, è necessaria per essere, per essere nel presente.

A.A.: E del freejazz…?
J.B.: Lo adoro.

A.A.: Ho letto una storiella, tempo fa, che narrava che alcuni bopper dicevano che il free era stato inventato da chi non era in grado di suonare il bop…
J.B.: Oh questo può anche essere vero, ma se ci si fa attenzione è vero anche il contrario. Lo stesso discorso lo si può fare anche su altre forme di arte, come la pittura. Visto che quella storiella era narrata in tono dispregiativo a proposito di quel genere di musica, quanti dopo Rembrandt sarebbero stati in grado di dipingere come lui? Ma si può affermare che tutti gli artisti dopo Rembrandt siano peggiori di lui? E' la stessa cosa, sono due cose differenti.

A.A.: Qual è fra i suoi lavori quello che preferisce?
J.B.: Non so rispondere a questa domanda. Il lavoro che preferisco è quello che sto per fare, quello che suonerò stasera, tra qualche minuto. E poi, è difficile che io ascolti i miei cd…

A.A.: I suoi programmi per il prossimo futuro?
J.B.: Sto incidendo un nuovo lavoro con questo quartetto, intitolato "You're my everything". Conterrà dei miei nuovi brani originali, come Akookarache, ed altri che suonerò anche stasera, ad esempio una melodia che ho scritto per Bob Berg ed altri ancora. Ma sono due i nuovi dischi, uno uscirà quest'anno ed uno l'anno prossimo.

A.A.: Che cosa pensa dell'Italia?
J.B.: L'amo, in particolar modo le donne…

A.A.: E la nostra musica? Il nostro jazz?
J.B.: E fantastico! Ci credete, quindi lo fate, lo sapete suonare.

A.A.: E qualche sassofonista italiano che l'ha particolarmente colpita?
J.B.: Sì certo: Rosario Giuliani, Stefano Di Battista…ma ce ne sono molti di ottimi musicisti in Italia, non solo sassofonisti.

Finita l'intervista mi affaccio dal tendone. Il teatro ormai è stracolmo, sembra non esserci neanche un posto libero.

Come sembra diverso da quando sono arrivata, con tutto quel vociferare di gente che cerca il proprio posto, che si saluta, che si chiede reciprocamente cosa si aspetta dal concerto che stiamo per vedere.

Io mi accomodo al mio posto già sorridente.

Il concerto comincia nel migliore dei modi, con Soul mission, composizione originale dall'album omonimo inciso per la label Dodicilune insieme al pianista Brian Dikinson. I musicisti da subito si esprimono al meglio offrendoci dei soli in cui l'armonia prende fiato pur consentendo ampi spazi d'improvvisazione.

La scelta di tutti i brani da parte del quartetto ricade su composizioni originali, dandoci modo di apprezzare l'inventiva del leader ed al contempo l'interplay del gruppo. Da Splurge ad Hank, brano dedicato ad Hank Mobley, in cui Bergonzi ha dato grande prova di meritarsi la fama che lo accompagna come uno dei migliori sassofonisti sulla scena internazionale, fino ad Akookarache.

Il secondo set non è stato da meno, con gli assoli di Bergonzi sul brano dedicato a Bob Berg, B.B. - splendido – con strutture aperte, con intervalli ampi che chiamavano in causa la sezione ritmica in un gioco sincronico ben congegnato dalla batteria di Michelutti. Così come su The Tomb è il corposo contrabbasso di Dave Santoro ad essere guida portante per gli altri musicisti, col suo timbro pieno.

Inevitabile il bis, su richiesta di un pubblico inneggiante. The song is you. Sembra una dedica che Renato Chicco, Andrea Michelutti, Dave Santoro e Jerry Bergonzi fanno a tutti quanti noi per salutarci ed augurarci la buona notte.







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Data pubblicazione: 24/04/2006

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