Si affaccia dal tendone del teatro Paisiello di Lecce con un sorriso sornione.
Si guarda intorno, avanti a se, dietro la platea, si gira su se stesso,
guarda il pianoforte…
Poi si avvicina al microfono, posizionato più o meno al centro del palco,
sotto una luce che solo a guardarla mette caldo.
Tocca
a lui inaugurare la rassegna Jazle del
2006, e non è certo compito da poco, considerati
gli artisti di chiara fama che si sono succeduti nel corso delle precedenti sei
edizioni.
Solo per citarne alcuni:
Richard Galliano,
Jim Hall,
Lee Konitz, Gato Barbieri, Kenny Wheeler,
Franco D'Andrea…
L'organizzazione sa bene in che mani ha affidato questo compito, anche
se sa di aver investito in una delle soluzioni più complicate: il piano solo.
Sono infatti le note del piano solo di Joey Calderazzo ad inaugurare
la VII edizione di Jazle, il Festival jazz del Salento.
Al microfono lui non si presenta, non ne ha bisogno: le voci fuori campo
lo hanno già annunciato per ben due volte, narrandone carriera e precedenti esperienze.
Non ci dice nulla per un lunghissimo minuto. Poi sorride di nuovo e ci
parla del suo tour. Conclude dicendo che tra tutti i posti dove è stato Lecce è
il più bello.
Dopo il nostro applauso, si dirige al piano.
L'estrazione
fondamentalmente classica dalla quale proviene affiora fin da subito, fin dalle
prime note con cui intona Waltz
for Debby.
Altrettanto rapidamente però gli astanti si avvedono dell'azzardo del
piano solo: ascoltandolo e guardandolo vien voglia di chiedersi "ma per chi sta
suonando?". La personalissima interpretazione del brano di Evans sembra far
emergere di nota in nota tutti i linguaggi dei pianisti da cui egli stesso si dichiara
ispirato: Art Tatum, Jerry Roll Morton, Jarrett… è difficile
seguirlo, tanta è la carica espressiva, così discostato dai parametri originali
del brano come si manifesta.
Immediatamente dopo la scena cambia: è lì per noi, con una composizione
originale, di un lirismo raffinatissimo e romantico. In fondo, con le parole, ci
aveva sollecitato a qualcosa di meno velatamente poetico. Nessun titolo:
è un nuovo pezzo, ancora da registrare.
Ora nel teatro ci siamo tutti: Calderazzo, piano e pubblico. Un
pubblico silenzioso, attonito per come un uomo solo sia capace di conquistarlo,
di costringerlo a seguire lo sguardo concesso dalla musica colta. Sì, quel pianista
lì, quel ragazzo col sorriso sornione di poco prima, quell'interprete di Evans a
suo piacimento, è Joey Calderazzo: un pianista jazz!
Studia le sillabe e compone i versi con aristocratico fraseggio.
Haiku, titolo emblematico
per il suo primo album in piano solo. (Marsalis Music,
2004). Per un attimo ci sorprende con un sorriso allestendo in fretta
qualche nota conosciuta accompagnata da quattro parole: "Do it again, Joey!"
Poi, dopo un brano intitolato Lover,
passa ad Haiku.
E' finita la prima parte del concerto e sono passati più di 70 minuti
senza che ce ne accorgessimo.
Lo raggiungo per carpirgli qualche informazione.