Umbria Jazz 2012 #2 Perugia, 12 - 15 luglio 2012 di Daniela Floris foto di Daniela Crevena
Un lungo weekend a Perugia, quello degli ultimi quattro
giorni del festival, ore sempre intense di musica e di incontri. Si parte da giovedì
12 luglio, in una città che solo allora (a detta di operatori e gente presente)
sta cominciando a popolarsi. La crisi si sente, ma la musica procede e continua,
sia al Morlacchi che all' Arena Santa Giuliana, così come ai Giardini Carducci e
nel palco di Piazza IV novembre.
Giovedì 12 Luglio Arena Santa Giuliana, ore 21 Pat Metheny
Unity Band Pat Metheny
- chitarre
Chris Potter - sassofoni
Ben Williams - contrabbasso
Antonio Sanchez - batteria
Pat Metheny
è oramai una colonna portante di Umbria Jazz. Quest' anno si è presentato a Perugia
con la sua Unity Band: Chris Potter ai sax, Ben Williams al contrabbasso,
Antonio Sanchez alla batteria. Grandi strumentisti, all'altezza di un fuoriclasse
della chitarra, che propone musica di livello eccellente, a volte forse un po' autoreferenziale:
eppure non si può non ammirarne suono, personalità, impulso creativo. Metheny apre
il concerto con la sua chitarra Pikasso a 42 corde, cominciando con un lungo, suggestivo
assolo che delinea tanto il suo essere virtuoso quanto la sua essenza musicale.
Con Potter, Sanchez e Williams si entra nel vivo di una performance molto più variegata
del solito, in quanto a suono, timbri, interazione con gli altri musicisti. Il chitarrista
del Missouri interagisce a vari livelli: improvvisa su giri di accordi ripetuti
dando il via a virtuosismi incantevoli, espone temi accattivanti insieme a Chris
Potter, in stato di grazia. Imbraccia la chitarra acustica e con la bellissima
"This Belongs To You" dispiega tutte le sue capacità espressive, dapprima
in solo e poi con Sanchez, Potter e Williams, che svelano un interplay di grande
livello. Brani frenetici e brani introspettivi, che sfociano in momenti preziosi
nei tre duetti – rispettivamente con Potter, Sanchez e Williams - in cui si esplicita
soprattutto il Jazz, nella lettura metheniana. Sanchez è in ogni momento prodigo
di idee, suggestioni, varianti, che rendono il tutto particolarmente entusiasmante
dal punto di vista non soltanto ritmico.
E ancora, la chitarra di Metheny fornisce l'impulso all'Orchestrion, strumento ingegnoso
da lui stesso elaborato, in cui la musica proviene persino da bottiglie di vetro
riempite (ad arte) di acqua ad altezze precise, e che colorano in maniera suggestiva
un brano vagamente arabeggiante. Metheny ama "guidare" più che "viaggiare", se ci
si concede questa metafora. E' come un pilota di rally, o di formula uno che ama
la sua vettura. Viaggiare con lui significa godersi la velocità, l'adrenalina, il
silenzio o il rombo del motore, le accelerazioni e le decelerazioni improvvise,
le curve dolci o gli inaspettati tornanti, senza guardare fuori dal finestrino per
vedere il panorama o decidere una meta. E' il pilota provetto delle sue chitarre
e per mezzo della sua bravura, della fantasia, della esperienza e della sua comunicativa
si gode della contingenza e dell'estemporaneità del movimento in sé: bisogna ammettere
che non è poco.
Non c'è tempo di assistere al bis, perché al Teatro Morlacchi c'è il concerto di
mezzanotte che vede due dei più importanti trombettisti italiani (Fabrizio
Bosso e
Paolo Fresu)
impegnati nel sesto concerto - tributo a Gil Evans.
Teatro Morlacchi, ‘Round Midnight The Gil Evans Centennial Project – concert 6 Ryan Truesdell Eastman Jazz Orchestra
"Quiet Nights" special guest Fabrizio Bosso
"Sketches of Spain!, special guest Paolo Fresu
Quest'anno ricorre il centenario della nascita di Gil Evans
e Umbria Jazz ha voluto celebrare questa ricorrenza con sei concerti della Ryan
Truesdell Eastman Orchestra, in cui Truesdell, arrangiatore, ha svolto un grande
lavoro di ricerca scovando anche importanti inediti dello stesso Evans. Il risultato
si è tradotto nei concerti di questa band di giovanissimi, che in quattro occasioni
sono stati affiancati da un ospite speciale. Qui si renderà conto di due concerti,
che hanno visto protagonisti
Fabrizio Bosso
prima, e Paolo
Fresu poi, rispettivamente impegnati in Quiet Nights e Sketches
of Spain, che Gil Evans aveva scritto per altrettanti album con Miles Davis.
Due trombettisti profondamente diversi tra loro, per due concerti
giustamente molto applauditi. Arrangiamenti eccezionali, orchestra assolutamente
all'altezza, e guest star in forma smagliante, a cominciare da
Fabrizio Bosso,
che è sempre più bravo e sempre più espressivo: mano a mano che va avanti questo
musicista, che di certo è un virtuoso, sta mettendo sempre di più se stesso e la
propria voce nella sua tromba. E non solo quando improvvisa ma anche quando, come
in questo caso, c'è musica scritta da interpretare (e non solo da leggere alla perfezione).
Bosso sa enfatizzare in modo personale le mille sfumature insite nelle partiture
(come in Til you see her) e riesce a dare un senso espressivo persino al
fiato continuo, che non è più mera esibizione muscolare ma è lì perché lì serve
a "parlare". Struggente, o divertente, o swingante, Bosso disegna le atmosfere giuste
facendo sempre trapelare la sua personalità. Personalità che emerge fortissimamente
anche con la tromba di
Paolo Fresu
nella seconda parte del concerto: introspettivo, evocativo, solenne in alcuni tratti,
alle prese con uno degli arrangiamenti più complessi di Gil Evans, Fresu ha saputo
come far emergere la ricchezza armonica e timbrica di una suite nata su musiche
spagnole. Dotato della capacità di essere intensamente melodico, ha interagito con
l' orchestra in maniera sempre musicalmente congrua.
Il finale ha visto Bosso e Fresu duettare insieme, scambiandosi la palla tra loro
e interagendo di volta in volta con i vari elementi (o settori) dell'orchestra,
fino al So What del terzo bis, con bellissimi background dei tromboni e pubblico
entusiasta.
Alle due di notte la scena spetta al pub "L' elfo", dove spesso
avvengono Jam Sessions spontanee dopo i concerti "ufficiali": qui è accaduto che
ai giovani che stavano suonando si è unito lo stesso
Fabrizio Bosso.
Poco dopo, a sorpresa, sono arrivati il trombettista americano Ambrose Akinmusire,
il batterista Justin Brown ed il contrabbassista Ben Williams. Provate
ad immaginare il clima di questo mini concerto improvvisato. Bosso ed Akinmusire
(che era senza il suo strumento) si sono scambiati la tromba del primo, e da quell'istante
è andato in scena il jazz, quello vero, quello non mediato da nulla. Bosso
incantato dai fraseggi di Akinmusire, a sua volta affascinato dalle prodezze di
Bosso, Justin Brown fenomenale alla batteria, Ben Williams al contrabbasso
– come se non bastasse - (stiamo parlando di musicisti che stanno cominciando a
rappresentare negli Usa le nuove tendenze del jazz), la musica è terminata solo
per problemi di rispetto del silenzio notturno. E forse questo dell'Elfo è stato
il concerto più autenticamente jazzistico di tutto il festival.
Venerdì 13 luglio Teatro Morlacchi, ore 17:30 Lidyan Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale
Non a caso lo spettacolo, proprio oggi, (venerdì 13 luglio) si intitola Friday
the 13th, notissimo brano di Thelonious Monk. A dedicargli un tributo
è la Lydian sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale, che da anni
si dedica proprio al repertorio di questo geniale pianista. Un concerto che ha alternato
le più grandi composizioni di Monk a brevi episodi in chiave autobiografica letti
dalla voce narrante di Franco Costantini, nei panni dello stesso Thelonious.
Interessante il risultato, interessanti gli arrangiamenti, a volte affettuosamente
rispettosi dell' originale (come la dolce, soft ed intensa Ruby my dear,
a volte più connotati (come ‘Round Midnight in versione latineggiante, armonicamente
caratterizzata da una certa indefinitezza lì dove Monk era definito, e sulla staticità
laddove invece Monk aveva scelto invece accordi "sensibili" come la settima di dominante).
Un piacevole salto nel passato, per mano di un'orchestra che Monk lo conosce benissimo.
All'Arena ci aspetta un gigante del sax per un appuntamento quasi
irrinunciabile qui ad Umbria Jazz:
Sonny Rollins.
Arena Santa Giuliana, ore 21 Sonny Rollins
- sax tenore
Clifton Anderson - trombone
Peter Bernstein - chitarra
Kobie Watkins - batteria
Sammy Figueroa - percussioni
Innegabilmente
Sonny Rollins
è anziano e per di più acciaccato, il suo problema all'anca è ancora più evidente
di quanto non lo fosse l'anno scorso. Innegabilmente
Sonny Rollins
ha detto ciò che aveva da dire in decenni e decenni di jazz, ed innegabilmente il
concerto all'Arena è stato per alcuni tratti non propriamente accattivante. Come
è facilmente intuibile, Rollins lascia sempre più spazio ai suoi musicisti, che
a volte sono troppo dilaganti; alcuni brani da lui recentemente composti sono musicalmente
poco interessanti e sono costruiti su pochi accordi per ricamarvi sopra degli interminabili
assolo…tutto vero.
Ma Sonny
Rollins sul palco è uno spettacolo di energia (e la cosa è evidente
da subito, con Pantanjali) e la sua fantasia nell'improvvisare è infinita.
E quando attacca una ballad (ad esempio Serenade, che dedica al suo amico
– critico musicale Vittorio Franchini) è così dolcemente intenso che il timbro
"secco" ed inconfondibile del suo sax diventa una carezza. Sonny Rollins è sempre
Sonny Rollins:
anziano. Ma lui c'è, e dunque, giustamente, suona. A che servono i paragoni con
il giovane
Sonny Rollins? Ora esiste il vecchio
Sonny Rollins,
ed è autentico come quello che prima era giovane. A metà concerto si percepisce
un cambio di registro, forse un cambio di umore, ma lui continua a suonare salvo
che, per la prima volta (almeno così ci sembra di ricordare), non concede il bis.
Saranno gli anni, sarà qualche dissapore con qualcuno dei suoi musicisti? Forse
non è neanche così importante appurarlo. Di sicuro abbiamo la sensazione che il
jazz di ieri sia ben presente in quello di oggi.
Al teatro Morlacchi, a mezzanotte, va in scena il Jazz di oggi
che si proietta verso il domani, con il quartetto del trombettista Ambrose Akinmusire
Teatro Morlacchi, ‘Round Midnight Ambrose Akinmusire Quintet Ambrose Akinmusire - tromba;
Walter Smith III - sax tenore;
Sam Harris - piano;
Harish Raghavan - basso;
Justin Brown - batteria
Ambrose Akinmusire probabilmente rappresenta la vera novità
del jazz, quello nuovo non perché ottenuto con contaminazioni tra diversi generi
musicali– come accade solitamente oggi – ma perché Akinmusire suona jazz nuovo e
moderno: nuovo per fraseggi, nuovo timbricamente, nuovo per idee e spunti, nuovo
per interazione con gli altri musicisti. E già dall'attacco, in solo, di questo
concerto a Perugia, si ascolta una tale varietà di suoni per una tromba sola (dai
pianissimo all'urlo lacerante quasi umano, prima dell'entrata della batteria) che
appare lampante come questo giovane musicista di cose da dire ne abbia molte. E
si ha anche la netta sensazione che non si esauriranno certo in questo unico concerto.
Con lui musicisti altrettanto innovativi: in particolar modo colpisce il drumming
travolgente, ricchissimo di Justin Brown: un fenomeno. Per tecnica, idee
ed anche interazione attenta e "vulcanica" non solo con il pianoforte, ma con la
stessa tromba. Sembrano sottigliezze (ma non lo sono) i dialoghi serratissimi tra
i due, che volano intrecciandosi, andando improvvisamente "all'unisono" (i due sembrerebbero
anche essere, in alcuni momenti, omoritmici). Quando la tromba tace e suona il trio,
ci sono frangenti che hanno un che di ipnotico, di tribale. Si assiste a crescendo
drammatici, come quando Akinmusire a volume sempre più alto, con il sottofondo di
piano, basso e batteria che si muovono improvvisando rumorosamente, decide di urlare
battendo sistematicamente i quarti con un'unica nota, ossessiva, per sfociare in
un improvviso pianissimo. Contrasti, tutte le combinazioni possibili di dialogo
(contrabbasso tromba, batteria tromba, pianoforte tromba, e così via), ricerca istintiva
e non tanto cerebrale di un'atmosfera evocativa, momenti introspettivi e momenti
drammaticamente espliciti, un incedere sempre proiettato in avanti sia nei pezzi
lenti che in quelli più swinganti, quando il concerto termina si rimane quasi storditi,
travolti dalla quantità e dalla qualità del materiale musicale di questo quintetto
di certo non usuale. E' jazz nuovo, ma mai ostico, e che per questo arriva prepotentemente
a destinazione.
L' indomani il primo concerto è al teatro Morlacchi:
Wayne Shorter, in quartetto con
Danilo Perez
al pianoforte,
John
Patitucci al contrabbasso, Jorge Rossy alla batteria.
Scrivere di
Wayne Shorter è sempre impegnativo, perché si rischia di eccedere in
aggettivi, di costringere la sua musica entro parametri troppo restrittivi, di ripetersi
per cercare di spiegare ciò che non sempre è facile spiegare. Di certo ascoltare
Shorter ancora oggi vuol dire ascoltare un artista geniale che continua a tracciare
la storia del jazz.
Dunque poco dopo le 17.30 comincia un nuovo viaggio insieme ad un quartetto eccezionale,
con un'introduzione quasi contrappuntistica, che trova un'atmosfera particolare
anche ad opera del contrabbasso suonato con l'arco da un Patitucci sempre più ispirato.
Un'atmosfera rarefatta, suggestiva, sottolineata dall'ostinato indugiare del pianoforte
su una quinta, sempre più intensa. I suoni sembrano a quel punto scomporsi in direzione
centrifuga andando verso un episodio atonale, fino a quando non avviene un riaggregarsi
dei suoni in un impasto in cui si riconoscono tratti latini, tratti jazzistici,
tratti di musica colta: cioè, una vita di musica, sintesi ricchissima del vissuto
musicale di un genio. Il quartetto non è solo empatico, è addirittura telepatico,
persino nei momenti di improvvisazione simultanea (sempre pericolosi, se i musicisti
decidono di sovrastarsi, o mettersi in gara tra loro, o semplicemente non ascoltarsi):
e invece il risultato è armonico come se stessimo ascoltando musica polifonica rigorosamente
scritta. Nei momenti di enfasi del pianoforte, volutamente pesante e assertivo nei
toni gravi, la batteria alleggerisce, il sax ricama leggero, il contrabbasso struttura
il disegno complessivo. L'esplodere di suoni è sempre tanto inatteso quanto elegante
perché costruito su una progressione graduale impercettibile ma fondante. Nulla
avviene a caso, eppure nulla è freddamente costruito. E' tutto vero, è musica scritta
con maestria, eseguita ed improvvisata con passione.
Sold out per
Wayne Shorter, e sold out per un concerto agli antipodi, a mezzanotte
al Morlacchi: la cantante Melody Gardot, avvolta nella (solita) aura di mistero.
Vietato avvicinarsi al Teatro, persino i tecnici e gli addetti del teatro sembra
si debbano tenere il più lontani possibile, il suo palco è stato preparato con largo
anticipo, insomma, tutto da copione.
Teatro Morlacchi, ‘Round Midnight Melody Gardot
Fotografie quasi del tutto proibite, e problemi fino all'ultimo
persino per trovare posti alla stampa (pochissimi quelli riservati, ingresso solo
a spettacolo iniziato nei posti invenduti).
Cantante dalla storia tormentata (incidente di auto, fotofobia, difficoltà di deambulazione,
musica salvifica che l'ha riportata alla vita – almeno così sembra) sempre accompagnata
da ottimi jazzisti, si fa fatica in realtà a considerarla una cantante jazz. La
voce ha certamente un timbro particolare, con un vibratino molto riconoscibile,
e non si può dire che sia omologata con le migliaia di "brave cantanti" che ci sono
in giro un po' ovunque. E' anche intonata, per giunta. La sua presenza scenica è
innegabile, eppure ognuna di queste caratteristiche appare un po' forzata, un po'
di maniera, sembra semplicemente un bel prodotto ben confezionato, come spesso gli
americani sanno fare. Il suo modo di cantare intimista con un filo di voce, il suo
modo ispirato di tirare la testa, un po' "atteggiona", le sue lacrime a fine
show di commozione, tutto sembra essere un po' troppo patinato e poco riconducibile
al verismo del jazz. Quasi tutti tratti dal suo nuovo album "The Absence", i brani
sono piacevoli: molto latin, o ballads interpretate con teatrale lirismo – specie
quando sussurrati con un filo di voce in modo un po' blasé. Applausi in fondo meritati,
se li si immagina destinati ad uno spettacolo ben confezionato e curato nei dettagli,
a partire da quell'aura di mistero (solita, ma ben fatta) che come dicevamo circonda
la misteriosa Melody.
Ultimo giorno di Umbria Jazz ed ultimo concerto al Teatro Morlacchi,
nel pomeriggio, con un omaggio a Thelonious Monk ad opera di quattro pianoforti
d' eccezione…quattro splendidi Fazioli, sistemati con cura ed attenzione dagli infaticabili
tecnici del suono del Morlacchi, suonati da Mulgrew Miller,
Kenny Barron,
Eric Reed e Benny Green. Monk alla quarta!
Domenica 15 luglio Teatro Morlacchi, ore 17:30
Mostly Monk Kenny Barron
Mulgrew Miller
Eric Reed
Benny Green
Cominciano tutti e quattro insieme un concerto veramente bello
questo in chiusura dei concerti al Morlacchi, e swingano, si scambiano i ruoli,
si divertono, in un delizioso improvvisare che conquista da subito il pubblico.
Ed è solo l'inizio, perché per più di un'ora questi quattro pianisti, suonano in
tutte le combinazioni possibili (in solo, a due a due, in tre, in quattro per finire
simmetricamente in quattro come avevano cominciato) ed intrecciano, ispirandosi
a Thelonius Monk, un jazz tradizionale eppure efficace e non certo scontatamente
ripetitivo. Non è una gara, è un divertito e divertente viaggio insieme. Tra i fraseggi
accattivanti e ad altissimo tasso di "blues" di
Kenny Barron,
il pianismo swingante e secco di Eric Reed, l'andamento morbido e melodico
di Mulgrew Miller e il procedere giocoso e suggestivo di Benny Green
non si sa cosa scegliere, o se si sceglie alla fine il bilancio è paritario. Anche
perché con tutte le differenze (auspicate e trovate) tra i quattro, il bello è proprio
vedere come di volta in volta la personalità di ognuno diventi gioiosamente malleabile
nell'improvvisazione, pur non perdendo le proprie precipue caratteristiche. Negli
scambi di otto battute i quattro si palleggiano swing, inventiva, spunti melodico
ritmici, e si lanciano sguardi che virano dall' affettuoso all' ammirato, al divertito.
Alla fine del concerto si esce con la sensazione che questo sia stato il più significativo,
congruo, divertente omaggio a Monk che potesse andare in scena ad Umbria Jazz: e
forse non solo ad Umbria Jazz.
Si chiude con il concerto di Sting, ovvero come oramai da anni,
il jazz si chiude con il rock, o con il pop, o con il pop-rock. L'anno scorso Prince,
quest'anno Sting. C'è sempre un legame più o meno forte con il jazz (Prince, si
sa, era amatissimo da Miles Davis, Sting vanta la propria collaborazione con Gil
Evans, del quale come sappiamo ricorre il centenario della nascita), e dunque alla
fine evidentemente il concerto rock è necessario ad Umbria Jazz quanto il jazz.
Nonostante i cachet delle pop-rock star siano stellari.
Arena Santa Giuliana, ore 21 Sting Sting - voce e basso
Dominic Miller - chitarra
Dominic Miller - chitarra
Peter Tickell - violino
Jo Lawry - vocals
Vinnie Colaiuta - batteria
Pienone, file interminabili e gente inviperita per la difficoltà
di accesso all'Arena (moltissimi hanno perso l'apertura del concerto, pur avendo
pagato anche 160 euro per l'area più esclusiva), questo è stato il concerto più
affollato di Umbria Jazz. Sting dedica lo spettacolo a Gil Evans, che definisce
suo padre spirituale, e parte con tutti i suoi successi più grandi, nell'entusiasmo
generale e anche di chi vi scrive: perché comunque un concerto di Sting è sempre
un evento di rilievo. E' in forma, canta benissimo, trascina il pubblico, che lo
ama sinceramente, è generoso. Le sue canzoni sono belle, semplicemente, e appassionano
ragazzini di oggi e ragazzini che erano tali negli anni dei Police. Wrapped around
you're finger, De Do Do Do De Da Da Da, Englishman in NY, Message in a bottle, Roxanne,
Every breath You take, Little wing di Jimi Hendrix, Fragile, e ogni altro
suo brano, inanellati uno dopo l'altro, suonando, cantando, parlando con il pubblico.
Sting dimostra ancora una volta di essere all'altezza della sua fama e (cosa non
scontata) di tenere molto al suo pubblico.
Ottomila persone all'Arena, una conclusione entusiasmante, che era ciò che l'organizzazione
naturalmente si era prefigurata. Centro!
Con questo concerto si chiude l'edizione che precede il prossimo
quarantennale, e per il quale già cominciano le anticipazioni...