Umbria Jazz 2009
di Enrico Bianchi
Guinga "Dialetto Carioca"
con Gabriele Mirabassi & Lula Galvao
Perugia, 12 luglio 2008
Aveva proprio ragione Sergio Mendez – musicista, compositore e cantante
brasiliano – quando definiva Guinga "…qualcosa come Villa-Lobos che incontra
Cole Porter."
Il concerto del pomeriggio di Umbria Jazz è la dimostrazione che le belle
parole spese su di lui non sono un mero proclama. Ascoltare Guinga è un po' come
visitare un mondo popolato dai riferimenti più disparati: dalla Bossa nova al Jazz
tradizionale, dalla musica Colta al Folk afro-americano. In effetti riecheggiano
le voci di molti grandi nel suo linguaggio musicale, voci che rimangono però allusive,
integrandosi perfettamente in uno stile del tutto personale.
Alla chitarra egli esprime la propria arte semplicemente, senza fronzoli.
Tuttavia la sua non è una semplicità spoglia ma libera da inutili orpelli, ciò che
rimane è proprio quello che serve, in altre parole è l'essenza. In piena sintonia
musicale con questi concetti, la chitarra di Lula Galvão e il clarinetto
di Gabriele Mirabassi contribuiscono a creare un clima poetico senza uguali.
L'esordio del concerto spetta all'intenso Valsa
pra Leila, un'introduzione la cui melodia rievoca atmosfere profondamente
malinconiche. Poi è la volta di Coco do Coco,
dominato da ribattuti, attraverso il quale probabilmente viene reso omaggio ai padri
della forma musicale del chorino, interpretato da Mirabassi con divertita
leggerezza. Con Picotado compare una sensibilità
cromatica non certo decorativa e un ritmo la cui asimmetria è amplificata grazie
al gioco di passaggio tra i registri del clarinetto. Guinga – in
Par constante – non ha "timore" di
rievocare In A Sentimental Mood di Duke Ellington e nello stesso tempo intercetta
allusioni da Gershwin e Porter. È il turno del duo di chitarre, viene proposto un
vero e proprio meccanismo incantatore: Dá o pé Loro.
Il ruolo di Galvão nei suoi interventi sottili, è di complemento ritmico
e di raccordo attraverso dei brevi e cantabili "a solo" che riconducono al tema.
Por Tras de Bras de Pina e
Baião de Lacan ci ricordano che anche
Guinga ha vissuto la rivoluzione tropicalista e si caricano di influssi urban-folk
anni ‘70, che le chitarre rimarcano con vigore. Infine viene proposto un brano di
Noel Rosa: Ultimo desejo, in cui Mirabassi
al clarinetto accarezza il pubblico, producendo suoni ai confini del silenzio.
Guinga sente che è arrivato il momento di cantare e lo esprime con la semplicità
di un bambino: "io ora canto, perché sono un cantante", suscitando ilarità.
Poi però intona Senhorinha con una dolcezza
che commuove e spiazza ancora la platea del teatro Morlacchi.
Colpisce al cuore Carlos Althier de Souza Lemos Escobar – detto Guinga –
sin dal racconto che fa di se nella presentazione per la sincerità tenera di quella
voce flautata che ci racconta la sua vita e gli affetti più cari. Probabilmente
quella semplicità è la stessa che lo tiene in contatto con il senso più vero delle
cose e che gli ispira composizioni tenui e sofisticate; è quella autenticità che
lo colloca senza imbarazzi tra i giganti della musica, a cavallo tra i generi colto
e popolare. Cosa dire del suo "Dialetto Carioca"? Una lingua piena di sfumature
ma limpida e accessibile perché contiene parte di noi; un idioma sonoro che integra
alla perfezione la familiare materia con cui siamo cresciuti.
Gianluca Petrella Cosmic Band con Paolo
Fresu: cronaca di una rivoluzione Jazz
Perugia, 12 luglio 2008
L'insurrezione di
Gianluca Petrella
e dei suoi Cosmici ha inizio con l'occupazione della platea: illuminati solo da
torce speleologiche, veniamo circondati e condotti a visitare un'inedita cosmogonia;
travolti da suoni provenienti da ogni direzione siamo trasportati in una sorta di
universo parallelo, in cui nuove regole vengono dettate e subito disattese.
Nella sua personale sovversione cosmica,
Petrella
orienta le scelte ma non le impone, permettendo ai protagonisti di narrare ognuno
la propria storia nel rispettivo stile e linguaggio; ciò nondimeno i momenti disaggreganti
e potenzialmente centrifughi delle libere improvvisazioni vengono presto ricondotti
ad unità in modo da riallineare le comuni intenzioni rivoluzionarie.
La band risulta composta da una sezione fiati non convenzionale (Mirko
Rubegni alla tromba, Francesco Bigoni al sax tenore, Beppe Scardino
al sax baritono), Giovanni Guidi al pianoforte, Alfonso Santimone
ai sintetizzatori e Gabrio Baldacci alla chitarra, mentre la sezione ritmica
prevede Francesco Ponticelli al contrabbasso, Federico Scettri alla
batteria e Simone Padovani alle percussioni. Gli interventi di
Petrella
al trombone, con misurato utilizzo del live electronics, hanno spesso una funzione
di raccordo dei vari contributi individuali. In uscita dagli "a solo" può accadere
che dei riff reiterati dell'intera sezione fiati acquistino improvvisamente un senso
tonale da big band, oppure che il caos si concretizzi in un ritmico funky. Pregevole
la fase in cui Santimone al synth, a precisi segnali della sezione fiati,
improvvisa muovendosi in un vasto campionario di suoni, forse da archeologia dell'elettronica,
ma con forte connotazione cosmica e di sicuro effetto decorativo vintage.
D'altro canto tutto ciò che appare tradizionale diviene terreno di saccheggio, e
in quanto tale viene immediatamente fagocitato nella rivoluzione musicale dei Cosmics;
come capita a un gesto di marcia militare, decostruito a partire dalle più elementari
componenti ritmiche.
All'inizio della seconda parte si cambia registro: l'intervento della tromba
di Paolo Fresu
diviene catartico, quasi curativo della febbre cosmica. In particolare la presenza
di soffi e respiri fa percepire un ambiente sonoro più rilassato, svuotato. In questa
fase acquisisce maggior rilievo il live elettronics, attraverso l'utilizzo di un
harmonizer a frequenze regolabili e di lunghe riverberazioni.
Fresu
muove la band alla ricerca di un mood diverso, meno rivoluzionario e più spirituale,
probabilmente nel tentativo di spostare l'orientamento verso derive mistiche; la
creazione di questo nuovo paesaggio sonoro rappresenta il momento più interessante
e forse avrebbe meritato maggior spazio. Ben presto la direzione di
Petrella
suggerisce un fade incrociato verso altri mondi; ora è il pianofrte di Guidi
protagonista, anche se un po' minimale, mentre
Fresu
in questa fase si limita al contrappunto.
Infine – con Peter Pan, Second star to the
right – si assiste a una sorta di rito sacrificale: se escludiamo
il titolo del brano ancora stellare, il contesto è inizialmente quello di una lineare
jazz song, eseguita dalla tromba di
Fresu
e accompagnata da pianoforte contrabbasso e batteria. La tradizione è però spezzata
con una rumoristica da effetto party, gli elementi della sezione fiati infatti
si improvvisano commensali di un ristorante, con l'immancabile fracasso di piatti
e clima festaiolo da banchetto tra amici. Si tratta di un rituale che mette sull'altare,
forse per annullarli, due eventi sonori troppo conformisti e terreni? Oppure di
una simbolica celebrazione della morte del Jazz tradizionale, ridotto a intrattenimento
consumistico? Un'unica certezza: il tutto è di nuovo travolto e conglobato nel forsennato
caos dei Cosmics e finalmente sublimato in un inno autocelebrativo di rara potenza.
In definitiva a caratterizzare lo spettacolo è una coinvolgente dialettica
sonora da pieno a pieno, che entusiasma il pubblico e lo cattura, distesa solo per
pochi momenti dal sublime intervento di
Fresu.
Del resto non si può certo pretendere che una rivoluzione sia morbida!
Chick Corea & Stefano Bollani Duet
Perugia, 13 luglio 2008 – ore 21,30
Una vera e propria fusione nucleare a caldo. Possiamo definire così –
senza indugi – il concerto al quale abbiamo assistito. Prometteva molto l'esibizione
dell'inedito duo all'Arena di Santa Giuliana e i due protagonisti non hanno di certo
deluso le attese: una performance degna dei loro nomi impreziosita da perle musicali
di inopinata bellezza, il tutto sublimato da un'intesa veramente rara.
Quando si incontrano dei grandissimi l'aria si carica d'attese e di elettricità,
i due ne sono ben consapevoli e si fanno desiderare. In effetti l'esordio è caratterizzato
dall'indeterminatezza più aerea: il pianismo di entrambi intercetta allusioni astratte,
a tratti avanguardiste. Questo primo intervento rappresenta una sorta di introduzione,
di momento magmatico iniziale che carica l'attesa facendo vagheggiare possibili
universi sonori. L'astrattezza iniziale si scioglie in un Retrato em branco e
preto di Antonio Carlos Jobim ancora all'insegna delle sonorità più lievi,
in un tessuto liquido realizzato attraverso lo sfioramento delle tastiere. Questa
proposta solletica gli apparati uditivi degli appassionati della bossanova e degli
amanti delle sottigliezze armonico-timbriche ma non scalda ancora l'arena. La prima
scossa viene data con Blue Monk di Thelonious Monk che emerge dalle
nebulose come un fantasma, le dissonanze impiegate ricordano lo stile del grande
bebopper mentre l'improvvisazione si svolge in forma di tema e variazioni, forse
nel tentativo di ricalcare un modello improvvisativo di tipo Monkiano. In Armando's
rumba Bollani mostra di trovarsi a suo agio anche nel ruolo di percussionista
colpendo legno e corde con delle bacchette da batterista direttamente all'interno
del Pianoforte, Armando Corea risponde con prontezza alle sollecitazioni
del jazzista italiano, è la sua rumba e se ne appropria esplicitando le poliritmie
implicite nel testo musicale e portando l'eccitazione ritmica al parossismo; dal
concorso dei due risulta un'improvvisazione fatta di ritmo e di invenzioni acrobatiche
in una rumba travolgente, l'arena è rapita. Finora abbiamo ammirato due grandissimi
che hanno mostrato le rispettive caratteristiche – sapevamo che da questo punto
di vista i due non ci avrebbero deluso – in particolare abbiamo apprezzato molto
il camaleontico Bollani fondersi completamente nelle intenzioni del suo grande partner,
ma non era certo prevedibile addirittura un
Chick Corea
bollaneggiante: in Take The A Train di
Billy Strayhorn Corea è contagiato e gioca come un bambino facendo sfociare il celebre
standard in momenti di autentico stride piano da primi del 1900 o inserendo addirittura
una delle sue Children Song nel tessuto musicale. Infine come bis viene proposto
Spain: Corea inizialmente abbozza il tema del concerto di Aranjiuez
di Rodrigo, secondo un disegno gia collaudato con la pianista giapponese Hiromi
Uehara, continua gareggiando con Bollani in un'improvvisazione che diviene vieppiù
trascinante e termina con il pubblico in delirio che risponde in coro alle sollecitazioni
pianistiche, per l'Arena è in assoluto il momento più intenso.
Il duo ha mantenuto le promesse della vigilia. Dopo la fase iniziale, caratterizzata
da momenti di originale leggerezza, Bollani è diventato Corea e viceversa, nel contempo
la spettacolarità è divenuta uno dei principali ingredienti della performance. In
altre parole abbiamo goduto delle caratteristiche di ambedue e contestualmente assistito
al miracolo della fusione nucleare.
Richard Galliano Quartet Feat.
Gonzalo Rubalcaba, Richard Bona, Clarence Penn
Perugia, 13 luglio 2008 – Round Midnight
Lo spirito del Jazz e lo spirito del Tango probabilmente non sono mai
stai così vicini. Come due universi paralleli solo temporaneamente comunicanti,
si sono dati appuntamento il 13 luglio a Umbria Jazz verso la mezzanotte.
È all'insegna della contaminazione reciproca che si svolge il concerto di
Richard Galliano
insieme a Gonzalo Rubalcaba al pianoforte, Richard Bona al basso acustico
e Clarence Penn alla batteria. Nonostante il fatto che nessuno dei tre possieda
familiarità con la New Musette di
Galliano,
mostrano di trovarsi a proprio agio con l'accordeonista il quale si esprime con
un suono dall'intensità sorprendente. Il pianoforte di Rubalcaba e l'accordeon di
Galliano
si fondono spontaneamente nelle improvvisazioni, particolarmente gustose, e nelle
sottigliezze timbriche studiate minuziosamente. Se aggiungiamo le irresistibili
e dolci melodie del virtuoso bassista Richard Bona e i ritmi sensibili di
Clarence Penn otteniamo tutti gli ingredienti di un concerto che non dimenticheremo
facilmente.
Vengono eseguiti molti brani dell'ultimo disco di Galliano – Love day
– sviluppati e caricati di un'energia prima sconosciuta. Particolarmente curate
sono le introduzioni dei brani: a partire dalle nebulose sonore, in cui l'accordeon
emette soltanto sospiri del mantice, fino all'introduzione bachiana di
Sertao. I classici del repertorio di
Galliano
vengono reinterpretati in versioni dalla forte verve ritmica, ad esempio i celebri
Bébé e Tango
pour Claude sono trasfigurati in vorticose danze cubane.
Gonzalo Rubalcaba limita la sua naturale esuberanza, che deriva da una
tecnica sopraffina unita a una rara sensibilità ritmica, così da lasciare spazio
agli altri interpreti. Il pianista cubano produce ad esempio un'improvvisazione
in incessanti sedicesimi in Waltz for Nichy
che intercetta lo stile di
Galliano
senza imitarlo. Sono morbidi ma virtuosistici gli assoli di Richard Bona;
colpisce l'estrema limpidezza e chiarezza delle figure melodiche scolpite nello
sfondo degli accompagnamenti e un'intesa rara con gli altri nelle riconduzioni,
che suscitano entusiasmi convinti. Clarence Penn mostra di essere un batterista
e percussionista sensibile e attento agli aspetti timbrici degli strumenti a propria
disposizione. L'intero concerto è pervaso dalla creazione di vuoti sonori in cui
il tessuto musicale è improvvisamente fagocitato e dall'irrompere inatteso dei pieni,
descrivibili come solidi ma piacevoli colpi diretti al ventre degli spettatori del
teatro Morlacchi. Suona come un valore da conservare la non comune capacità di lasciarsi
spazio reciprocamente negli "a solo" che restituisce una dote in più a ciascuno
dei protagonisti.
Alla fine la sensazione diffusa tra i presenti è quella di aver assistito
ad un evento unico. L'influenza reciproca tra i linguaggi è stata quanto mai feconda:
la musica che abbiamo sentito non è più la tango-musette di
Galliano,
non è esattamente jazz, non è la musica cubana, sembra piuttosto lo stile musicale
di un immaginario popolo che vive tra Cuba, l'Argentina e la Francia.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
28/11/2009 | Venezia Jazz Festival 2009: Ben Allison Quartet, Fabrizio Sotti trio, Giovanni Guidi Quartet, Wynton Marsalis e Jazz at Lincoln Center Orchestra, Richard Galliano All Star Band, Charles Lloyd Quartet, GNU Quartet, Trio Madeira Brasil, Paolo Conte e l'Orchestra Sinfonica di Venezia, diretta da Bruno Fontaine, Musica senza solfiti del Sigurt�-Casagrande Duo...(Giovanni Greto) |
14/11/2009 | Intervista a Richard Galliano : "...utilizzare vari linguaggi è stata una necessità più che una scelta. Un fisarmonicista non può tagliare le sue radici. La fisarmonica non è mai servita a tracciare nuove strade musicali. Noi siamo necessariamente immersi nel nostro passato. E il nostro passato è quello di tantissimi musicisti di strada, gente che suonava ai balli popolari e nelle ricorrenze di paese. La fisarmonica, un organo portatile, non può prescindere da questa sua storia umile." (Marco Buttafuoco) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
24/10/2006 | Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Andy Sheppard, Bobo Stenson tra i protagonisti del Brugge Jazz 2006 (Thomas Van Der Aa e Nadia Guida) |
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Data pubblicazione: 04/08/2009
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