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La creatività ed il linguaggio di Galliano sono inconfondibili e, per alcuni versi, indiscutibili. Il tributo che l'artista francese dedica alla scrittrice Francois Sagan parte – ed è solo l'attimo della partenza – dal grande Thelonius Monk: Ruby, my Dear.
Infatti, non vi è nulla di Monk, neanche nelle pieghe della stessa title main. Non vi è nulla neanche di newyorchese, neanche la registrazione, poiché si tratta di un live inciso nella splendida
Sala dei 400 ad Orvieto.
E' un lavoro pressoché equamente suddiviso tra standard e brani originali del fisarmonicista.
Galliano ci ha abituato ad un pathos tracimante, eruttivo alla stregua di un vulcano. Il suo virtuosismo, mai fine a se stesso, è delicato e dinamico, quasi orchestrale.
Questo lavoro, però, non ha quel "fuoco" che fa ardere i cuori, manca di creatività.
Le interpretazioni sono sempre magistralmente eseguite, così come accade nel suadente brano d'apertura, "Ruby, my Dear", oppure nella luminosa "Bohemia after dark" di Oscar Pettiford. Ma gli arrangiamenti lasciano quel senso di leggerezza espressiva che, in verità, non ci si aspetta da
Galliano.
Affascinante la pronuncia latina di Historia da un Amor, così come il fascinoso e fluido arrangiamento della
premier Gnossienne di Satie.
Scivola, però, in conversazioni piuttosto tediose in "Spleen" e "Waltz for Micky", e in suoni fin troppo consueti con "Teulada" e "Naia".
La sezione ritmica composta da Larry Grenadier al contrabbasso e Clarence Penn alla batteria si propone per un costante dialogo nell'intento di creare una maggiore tensione espressiva.
Un lavoro nel complesso gradevole, suonato con particolare abilità (d'altro canto sarebbe stato difficile il contrario), ma dalla creatività e dall'estro di
Galliano ci si sarebbe aspettato qualcosa di più.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia