Gonzalo Rubalcaba Quintet
Tokyo – Blue Note
– 21/23 Novembre 2007
di Giovanni Greto
Gonzalo Rubalcaba,
piano
Yosvany Terry, alto e soprano sax, percussioni
Michael Rodriguez, tromba e flicorno
Matt Brewer, contrabbasso
Marcus Gilmore, batteria
In un cartellone non particolarmente attraente nei mesi di novembre e
dicembre – da segnalare il trio di
McCoy Tyner,
ospite il sassofonista Gary Bartz – spicca l'invito al musicista cubano,
che continua a preservare un aspetto ancora molto giovanile. Sei set in totale nei
tre giorni, oltre ad un concerto di piano solo organizzato il 24 novembre in un'altra
sede.
Assistiamo al secondo set del 21 novembre 2007, che dura un'ora e venti
minuti (dalle 21:30 alle 22:50). Subito una cosa ci fa molto piacere: Gonzalo e
il gruppo suonano e basta. Non c'è nessun ammiccamento all'educato pubblico giapponese,
come avevamo visto fare da altri big americani e brasiliani. Stavolta si suona come
se si fosse in Europa o, supponiamo, negli Usa. L'acustica è abbastanza soddisfacente
– siamo due piani al di sotto del livello stradale – e il gruppo è bene affiatato,
nonostante i 5 suonino assieme solo da aprile. Dei sei pezzi ascoltati, compreso
il bis, 2 sono del leader, 3 del sassofonista, mentre l'unica ballad, "Peace"
è di Horace Silver. E proprio tranne "Peace", che dura 7 minuti, gli
altri pezzi variano dai 10 ai 16. La musica si sviluppa su una base ritmica di latin
– funk, a volte più latin, altre più funk.
Rubalcaba
rivela sempre una tecnica invidiabile ma, col trascorrere degli anni, è riuscito
a staccarsi dalla tastiera, a selezionare meno note, il che giova all'equilibrio
di ogni brano. Tranne che in "Preludio", un
morbido 3/4 almeno nel tema,
Rubalcaba
non eccede nei virtuosismi, ne' in un melodismo strappalacrime, mentre è sempre
puntuale nel dettare gli stop o i mutamenti di tempo. C'è una scrittura che non
privilegia il facile ascolto e questo può essere positivo, almeno per chi apprezza
che la musica riservi sempre delle sorprese melodiche, armoniche e ritmiche. In
questo lo assecondano il trombettista e flicornista Michael Rodriguez, nato
in America, ma da padre cubano, il sassofonista contralto e soprano Yosvany Terry,
cubano, autore come detto di tre brani, dotato di un buon fraseggio e apprezzato
come percussionista alla cabasa – la zucca seccata, ricoperta in superficie di perle
o simili – nel romantico "Preludio": davvero un gustoso incontro quello tra
la cabasa e la batteria. Attento a mantenere il tempo, mentre i colleghi si rincorrono
nei solo, il contrabbassista Matt Brewer, nativo del New Mexico. Un lavoro
non facile il suo, anche per le frequenti variazioni ritmiche. Delicato ed energico
il giovane batterista Marcus Gilmore, americano al 100%, nonchè nipote di
Roy Haynes. Un'impugnatura quasi sempre da timpanista, molto elegante, da
segnalare infine che si è tolto le scarpe per azionare i pedali sia della cassa
che dello hi – hat. Forse il brano più coinvolgente è il bis, "Hipsice",
di Terry, più latino che funky e molto veloce. Belli, ad un certo punto i
breaks tra i fiati, ora 8 e 8, ora 4 e 4, ora 2 e 2, come se si stesse assistendo
ad una jam session di ottima qualità.
Invia un commento
© 2000 - 2024 Tutto il materiale pubblicato su Jazzitalia è di esclusiva proprietà dell'autore ed è coperto da Copyright internazionale, pertanto non è consentito alcun utilizzo che non sia preventivamente concordato con chi ne detiene i diritti.
|
Questa pagina è stata visitata 4.616 volte
Data pubblicazione: 27/01/2008
|
|