Roccella Jazz Festival 2013 "Shalom" Roccella Jonica, 14-24 agosto 2013 direzione artistica Paola Pinchera e Vincenzo Staiano
di Vincenzo Fugaldi
Trentatreesima edizione per il festival calabrese che, affidata
sino alla precedente alla direzione artistica di
Paolo Damiani,
ha visto quest'anno l'ingresso di Paola Pinchera e Vincenzo Staiano. Il bilancio
artistico si può ritenere positivo per una delle iniziative culturali più importanti
del meridione italiano, che continua a esistere con coraggio e perseveranza nonostante
la ritardata erogazione dei finanziamenti pubblici spettanti.
Significativa per il tema di quest'anno
(la pace) l'apertura del 14 agosto al Castello di Reggio Calabria, con l'anteprima
italiana dell'israeliana Noam Vazana, una cantautrice che si accompagna al
pianoforte e suona il trombone, insieme al proprio trio. Pop songs profumate
di jazz, voce bella e comunicativa, per una proposta fresca e gradevole, tra testi
in inglese e in ebraico. Il forte e sanguigno trio di Joachim Kühn (con
Majid Bekkas, sintir e voce e Ramon Lopez, batteria e percussioni),
uno dei pianisti più noti della scena del jazz contemporaneo, che ha da poco pubblicato
uno splendido cd per l'etichetta Act («Voodoo Sense») con ospite
Archie Shepp,
ha portato sullo Stretto un'idea di jazz libero e comunicativo, ritmicamente sostenuto
e ricco di apporti etnici. L'epicentro del trio è il sintir del marocchino Bekkas,
che funge da basso, conferendo alla musica sonorità africane che ben si coniugano
con la verve ritmica dello spagnolo Lopez e con il pianismo percussivo del leader.
Aggiungono ulteriori colori la voce dello stesso Bekkas, e il sax alto suonato da
Kühn in alcuni brani.
La zona archeologica di Casignana, una delle più suggestive della
Locride, ha accolto i Neko (il chitarrista Francesco Diodati, il bassista
Francesco Ponticelli e il batterista Ermanno Baron) con Gaetano Partipilo
al sax alto in sostituzione del tenorista Francesco Bigoni. La grande professionalità
del sassofonista barese, per la prima volta nel quartetto, ha fatto sì che le note
potenzialità dell'ensemble potessero emergere come già sui cd pubblicati dalla benemerita
Auand («Purple Bra» e «Need Something Strong»). Dialoghi creativi
tra chitarra e sax, ritmica elastica ed essenziale, composizioni originali di Diodati
molto valide tratte dal secondo disco (Headache, Smile, Need Something
Strong, Struggle) e una sola altrui (Brilliant Corners di Monk),
per una di quelle che riteniamo sia tra le migliori piccole formazioni del jazz
italiano. A seguire, il quartetto della cantante albanese naturalizzata svizzera
Elina Duni (con Colin Vallon al pianoforte, Patrice Moret al
contrabbasso e Norbert Pfammatter alla batteria): una preziosa sintesi tra
folklore balcanico e jazz contemporaneo, che i quattro hanno già inciso su tre cd,
il più recente pubblicato dalla Ecm («Matanë Malit»), che si basa sulla carismatica
presenza scenica della cantante, e sul grande valore qualitativo del trio svizzero
che l'accompagna. Equilibri compiutissimi, una lingua dalla musicalità eccelsa,
brani di struggente bellezza e a volte politicamente pregnanti che la cantante interpreta
con profonda compenetrazione, grazia e stile maturo e consapevole, lasciando nel
pubblico la consapevolezza di aver assistito a un accadimento musicale di valore
non comune.
Jazz torinese nella serata al Teatro romano di Marina di Gioiosa,
con il trio del pianista Fabio Giachino, che ha proposto un set di mainstream,
tra brani di sua composizione e classici, e un trio composto dall'altoista Gianni
Denitto con Furio Di Castri al contrabbasso, per un coinvolgente concerto
dedicato a buoni arrangiamenti di brani come Pennies from Heaven, Cheek
to Cheek e suggestioni hendrixiane, con un suono e un fraseggio caldi e lirici,
ottimamente sostenuti e spinti da Di Castri.
Il primo dei pomeriggi al Convento dei Minimi, introdotti come di consuetudine da
un'intervista condotta dal giornalista Gianmichele Taormina,
ha visto esibirsi innanzi a un pubblico folto ed entusiasta il chitarrista Fausto
Mesolella, che ha presentato il proprio suggestivo cd-dvd «Suonerò fino a
farti fiorire», con l'intervento in alcuni brani della pedal steel di
Ferdinando Ghidelli, e con un finale multimediale dedicato a Monicelli, con
estratti dai film Un borghese piccolo piccolo e Guardie e ladri.
Il pomeriggio seguente era dedicato al duo tra la contrabbassista Silvia Bolognesi
e il trombettista Angelo Olivieri, protagonisti di un recente cd («Dialogo»)
del quale ha riproposto le musiche, tra standard (I've Grown Accustomed to your
Face) e composizioni originali, sino a un omaggio alla pratica della conduction
di Butch Morris, musicista grazie al quale si sono conosciuti dieci anni fa proprio
al festival di Roccella.
L'ultimo concerto-intervista si è tenuto nell'accogliente piazzetta antistante la
chiesetta della Madonna delle Grazie, che ha ospitato i sax alto e soprano di
Raffaele Casarano
e il contrabbasso di
Marco Bardoscia.
Suoni filtrati da sobri effetti elettronici, recupero di note melodie della canzone
italiana, e buona interazione tra i due per un concerto che ben si armonizzava con
la suggestività dei luoghi.
La piazzetta di Martone, uno dei luoghi tradizionali del festival, ha accolto il
progetto "Anche le briciole hanno un sapore" delle siciliane Laura Lala
(voce) e Sade Mangiaracina (pianoforte), che in quartetto hanno proposto
un repertorio di brani originali composti da entrambe, oltre a uno di
Salvatore Bonafede.
La voce duttile e sicura della Lala, che canta in siciliano, e il pianismo definito
e maturo della Mangiaracina, insieme a una gradevole comunicatività, hanno decretato
il successo del concerto. A chiudere la serata, la riproposizione delle musiche
incise in quartetto sul cd CamJazz «Beyond» dal giovane sorprendente talento
Mattia Cigalini. Qui l'altosassofonista era accompagnato da Michele Tacchi
al basso elettrico e
Giorgio Di
Tullio alla batteria, musicisti che hanno sorretto con creatività la
non scontata proposta musicale, che consiste in arrangiamenti di hit del pop (Shakira,
Jennifer Lopez, ecc.) ricondotti a un jazz contemporaneo di concezione piuttosto
avanzata, nel quale le non comuni doti solistiche del leader emergevano con forza
trascinante.
A Monasterace si è assistito all'anteprima italiana del trio del pianista di origini
israeliane Omer Klein, che in precedenza si era esibito nell'ambito di gruppi
altrui (Omer Avital), e per la prima volta oggi in Italia in veste di leader, insieme
al contrabbassista Haggai Cohen Milo e al batterista Ziv Ravitz. I
tre hanno inciso un cd («To The Unknown», Plus Loin Music), del quale hanno
proposto i brani, tutte composizioni originali del leader, di pregevole fattura,
delicate e melodiche, suonate con approccio garbato, spigliatezza e buona interazione.
Hanno concluso il concerto con una ritmata composizione tratta da un album in solo
di Klein intitolata Yemen. A seguire, i quattro di Yatra:
Enzo
Pietropaoli al contrabbasso, Fulvio Sigurtà alla tromba, Julian
Oliver Mazzariello al pianoforte e Alessandro Paternesi alla batteria.
Uno degli ensemble vincenti del jazz italiano, in un'ottima performance in crescendo,
che partiva dai brani più delicati e melodici del repertorio (In Praise of B,
Gracias a la vida, Ogni domenica, Tre voci, Tonight)
per arrivare a un finale bruciante affidato ai brani Bass Solidarity e al
bis, una vecchia composizione di John McLaughlin, con il quartetto che mostrava
una carica ritmica ed emotiva davvero notevoli. Non si finirebbe mai di tessere
le lodi di questa formazione, nella quale milita tra l'altro uno dei trombettisti
più validi e innovativi dell'intera scena europea.
Le due serate al Porto delle Grazie di Roccella sono iniziate
il 19 con il trio di Enrico Zanisi, pianista vincitore del Top Jazz 2012
della rivista Musica Jazz nella categoria Miglior nuovo talento, accompagnato, come
nel suo ultimo cd «Life Variations», dal contrabbasso di Joe Rehmer
e dalla batteria di Alessandro Paternesi. Il pregevolissimo trio ha confermato
tutto il proprio valore, eseguendo alcuni dei brani del disco come Inno,
Life Variations, The Artisan, un brano tratto dal precedente disco
di Zanisi, Corale, e un brano nuovo che sarà pubblicato nel prossimo intitolato
Claro. Gegè Telesforo, reduce da prestigiosi riconoscimenti discografici,
ha schierato sul palco la sua Nu Joy Band, con una front line vocale
che gli affiancava le voci di Greta Panettieri e L.A. Santoro, accompagnati
dal piano di Domenico Sanna, dal contrabbasso di
Giuseppe Bassi
e dalla batteria di Roberto Pistolesi. Il gruppo, fortemente caratterizzato
dalla duttile voce della vocalist e dal falsetto del giovanissimo Santoro, ha riscosso
applausi con il suo approccio funk e spettacolare.
Il gruppo Jewish Experience (Gabriele
Coen, sax soprano, tenore, clarinetto; Pietro Lussu, pianoforte;
Lutte Berg, chitarra elettrica;
Marco Loddo,
contrabbasso; Luca Caponi, batteria; ospite Francesco Lento alla tromba)
ha presentato le musiche del secondo disco inciso per l'etichetta di John Zorn,
la Tzadik, dal titolo «Yiddish Melodies in Jazz». Classici delle musiche
della diaspora ebraica, di grande presa melodico-ritmica, dai tradizionali Bublitcki,
presente anche nella colonna sonora del film Ogni cosa è illuminata e
Der Shtiler Bulgar, a Di Grine Cuzine di Abe Schwartz, al 5/4 di Jewish
Five composto dal leader, sino a Leena From Palestina, per un gruppo
di eccezionale qualità che travalica i confini italiani ed europei con una proposta
di livello internazionale, nella quale tutti si esprimono al meglio, e in seno alla
quale gioca un ruolo fondamentale la chitarra di Berg, che spinge la musica in avanti
con determinazione e fantasia. L'inserimento della tromba di Francesco Lento
apporta poi all'ensemble un valore aggiunto di non poco conto, divenendo di fatto
un elemento essenziale della formazione, che coniuga strutture formali e libertà
improvvisativa come meglio non si potrebbe.
Il PerfecTrio di
Roberto
Gatto (con Alfonso Santimone pianoforte, piano elettrico ed elettronica
e Pierpaolo
Ranieri basso elettrico), del quale prossimamente uscirà un cd per l'etichetta
Parco della Musica, ha giocato magistralmente sulla contrapposizione tra suoni acustici
e suoni elettronici, tra brani totalmente improvvisati, classici rivisitati, composizioni
di Monk ed echi frippiani. L'equilibrio fra i tre è mirabile: la fertile e feconda
batteria di Gatto è libera di creare grazie alla solida struttura ritmico-armonica
del basso e agli effetti elettronici pilotati da lui e dal pianista, mentre quest'ultimo
si conferma come una delle più lucide intelligenze musicali del panorama italiano
per inventiva, fantasia, solida tecnica e creatività.
L'Auditorium comunale ha come di consueto accolto quattro proposte. L'esordio è
avvenuto con il trio di
Enrico
Pieranunzi (Luca Bulgarelli, contrabbasso; Mauro Beggio,
batteria) che, nel ventennale della morte di Fellini e nel decennale del disco a
lui dedicato («Fellini Jazz», Cam Jazz), è tornato a proporre con musicisti
italiani i brani già incisi con Wheeler, Potter, Haden e Motian. Principalmente
Rota il compositore celebrato, e le sue immortali melodie (Le notti di Cabiria,
Il bidone, I vitelloni, La dolce vita, La strada), ma
anche Luis Bacalov (La città delle donne) e una pregevole composizione del
pianista (Fellini's Waltz).
Alessandro Haber ha impersonato la figura di Mark David Chapman, l'assassino
di Lennon, su un testo che faceva riferimenti a Il giovane Holden, con le
belle musiche beatlesiane del quartetto d'archi Savinio e la chitarra classica
di Giampaolo Bandini. Più efficace lo spettacolo "Racconti ritrovati" di
Gabriele Coen,
con Stefano Saletti, Mario Rivera, Roberto Pistolesi e la voce
recitante di Lisa Ferlazzo Natoli. Le parti musicali, di suggestiva matrice
etno-jazz, ben si coniugavano con testi letterari di spessore, in particolare nello
splendido racconto iniziale, Una stanza sul tetto di Savyon Liebrecht (dalla
raccolta Mele dal deserto, edizioni e/o), che scava nel difficile rapporto
tra israeliani e palestinesi.
Infine, "Italy. Sacro all'Italia raminga", con Giuseppe Battiston e
Gianmaria
Testa, lettura scenica di un poemetto del 1904 di Giovanni Pascoli sul
tema dell'emigrazione, contrappuntata dalle canzoni del cantautore piemontese più
vicine al tema.
La prima serata al Teatro al Castello, conclusasi con la Randy Brecker & Franco Ambrosetti
Reunion Band (con Pozza, Fioravanti e Gatto), due senatori
che hanno riproposto la loro visione dello straight ahead jazz, è iniziata
con l'anteprima europea del quartetto Abraxas (Shanir Ezra Blumenkranz,
sintir; Eyal Maoz e Aram Bajakian, chitarre; Kenny Grohowski,
batteria), protagonista del "Book of Angels n. 19", la penultima uscita di
questa serie zorniana. La solida base di matrice etnica fornita dal sintir,
e le fulgide chitarre elettriche di scuola ribotiana, si stringevano attorno
alla incredibile tecnica, al feeling e alla fantasia ritmica di Grohowski, che a
trent'anni ha già al suo attivo un gran numero di eclettiche collaborazioni. Le
composizioni contenute nel diciannovesimo Book of Angels si caratterizzano per una
forte e coinvolgente carica rock, per la quale il gruppo prescelto è certamente
tagliato su misura. Energia e pathos, per un concerto memorabile che porterà nuovi
accoliti alla corte dei seguaci di John Zorn.
Non nuovo sul palco del Teatro al Castello, Trilok Gurtu ha portato il suo recente quartetto multietnico (il
trombettista tedesco Matthias Schriefl, il pianista e tastierista turco
Tulug Tirpan e il bassista spagnolo Jonathan Ihlenfeld Cuniado), reduce
da una recente incisione («Spellbound», Moosicus). La consueta plastica carica
ritmica, un repertorio gradevolissimo, filtrato dalla sensibilità del leader, e
la carismatica presenza di Schriefl, che si alternava fra tromba e flicorno con
le sue distintive creatività e comunicatività dando alla musica una spinta determinante,
hanno decretato il successo del concerto, tra omaggi a Gillespie (Manteca),
al Davis del periodo elettrico (una tiratissima Black Satin) e a Don Cherry
(Brown Rice). Subito a seguire, la tensione ritmica e il groove hanno
avuto una ulteriore impennata con le "Songs of Freedom" di Nguyên Lê,
la cui chitarra era affiancata dal vibrafono e dall'elettronica di Illya Amar,
dal basso elettrico di Romain Labaye, dalla batteria di Karim Ziad
e dalla voce di Himiko Paganotti. Arrangiamenti fantasiosi ed efficacissimi
dei classici del rock degli anni Settanta (Led Zeppelin, Stevie Wonder, Janis Joplin,
Cream, Beatles), con la feconda chitarra elettrica del leader che si profondeva
in assolo di grande spessore e bruciante velocità, la voce della cantante potente
su tutti i registri e la infuocata carica ritmica del batterista, per una performance
di grande efficacia.
Il Trio Libero del sassofonista
Andy Sheppard,
con Michel Benita (contrabbasso) e Sebastian Rochford (batteria),
protagonista di una recente incisione per la tedesca Act, ha proposto musiche di
delicata fattura, in una dimensione acustica e intima, forse un po' uniformi, che
contrastavano ampiamente con il trio che è salito sul palco subito dopo, Rob
Mazurek e Sao Paolo Underground (Mauricio Takara, batteria e cavaquinho
e Guilherme Granado, elettronica). Una delle tante formazioni partorite dalla
creatività di una delle figura di riferimento del jazz contemporaneo, nella quale
la tromba di Mazurek si incrocia con sonorità elettroniche e figure ritmiche tipiche
di un Brasile urbano e contemporaneo, in un incessante profluvio di intensità creativa,
dove il ruolo di Granado appare centrale e strategico.
Gran finale del festival con un doppio concerto: Mira Awad
e Noa, due cantanti che hanno soddisfatto le esigenze del folto pubblico
intervenuto con voci incantevoli e grande presenza scenica.