Rossano Astremo
Jack Kerouac: il violentatore della prosa
Icaro 2006
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"Gli unici che mi piacciono sono quelli matti, gli unici che hanno una voglia
da matti di vivere, di parlare, di essere salvati, desiderosi di tutto al tempo
stesso bruciano come enormi favolosi petardi". Jack Kerouac.
Si apre con questa acre, forte e tracimante affermazione questa opera,
breve ma carica di energia e contenuti, del giovane scrittore salentino Rossano
Astremo.
La vita di Kerouac scorre nella penna dello scrittore che la fa
propria. La rende così essenziale tanto da poterla bere nell'arco di un momento.
La capacità di questo libro risiede nell'essere una sorta di "calvario inverso"
di chi ha distrutto la propria vita con pesanti colpi di macigno e, non solo, ha
stuprato con inaudita goduria quella prosa "farisaica", ben poco stimolante, che
aveva caratterizzato gli anni precedenti.
Lo stesso colpo ferale che, in ambito musicale, aveva inferto il bebop
a quel jazz bianco fin troppo signorile e poco stimolante.
Kerouac, alla stregua degli altri scrittori della Beat Generation,
traeva spunto dal bebop. Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonius
Monk sono stati gli ispiratori di una corrente letteraria senza vincoli. Libera
dagli schemi, seppur riconducibile in degli schemi. Scevra di valori, seppur quantificabile
in termini di vissuto.
Amore, sesso, droga sono gli elementi epidermici comuni al bebop ed alla
Beat Generation che Astremo tratta con determinazione e grande senso del
rispetto.
Ma è lo stile letterario che è profondamente colpito dai fraseggi sincopati
ed irriverenti (per l'epoca) dei "mostri sacri" del jazz. La scrittura come creazione
dell'intelletto. Imponderata ed imponderabile che straccia il passato come fosse
un vecchio scontrino trovato accidentalmente in tasca.
Kerouac si avvede che il linguaggio è morto ed occorre rivitalizzare la
vena creativa. Tant'è che per non perdere tempo, utilizza i rotoli delle telescriventi
per scrivere di getto. La punteggiatura è bandita o quasi. La vena creativa è ritrovata
nella dissolutezza dei costumi, dei comportamenti che vengono dissacrati in tutti
i loro più alti valori.
Sesso, droga, jazz, poesia, alcol, fumo, si fondono in una unica mistura
tanto esplosiva per l'intelletto quanto letale per il fisico.
Kerouac, per un certo periodo, ha vissuto con un gruppo di jazzisti ed
ha declamato i suoi versi seguendo le tracce musicali da loro create. Il suo amore
per il jazz nero e per il bebop, fa nascere in lui la passione del soffiare con
le parole. Così può ricondursi alla "Dea-Natura", attraverso la piena libertà
dagli schemi seguendo alla lettera l'insegnamento dei boppers "che si liberano
dalle logiche armoniche per lasciar libero spazio alle sonorità disarmoniche".
Astremo parla di Kerouac, ma parla del jazz degli anni '50 fondendo
storia, letteratura e musica. Aprendo una finestra, un ulteriore finestra sul connubio
artistico-sociale tra le due correnti. Tutto ciò con una naturalezza discorsiva
priva di accademicità.
La vita di Kerouac è suonate dalle note di fiati, piano e percussioni.
Un bianco che diventa nero e lascia suonare la sua penna su di un rotolo di telescrivente.
Fino al suo epilogo così simile, cosi drammaticamente simile a quello di Charlie
Parker.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 27/05/2007
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