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Nguyen Le with Michael Gibbs & Ndr Bigband
Celebrating The Dark Side of the Moon
Act (2014)
1. Speak To Me
2. Inspire
3. Breathe
4. On The Run
5. Time
6. Magic Spells
7. Hear This Whispering
8. The Great Gig In The Sky
9. Gotta Go Someone
10. Money
11. Us And Them
12. Purple Or Blue
13. Any Colour You Like
14. Brain Damage
15. Eclipse
Nguyên Lê - chitarra, elettronica Youn Sun Nah - voce Jürgen Attig - basso elettrico Gary Husband - batteria Ndr Bigband - diretta da Jörg Achim Keller Michael Gibbs - orchestrazione
Era il 1 marzo 1973 quando la Capitol Records lanciava sul mercato
americano l'ottavo album dei Pink Floyd: album che ha segnato intere generazioni,
anche di musicisti che hanno attinto dal pesante fardello contenente quindici perle
musicali che Nguyên Lê e accoliti qui rinverdiscono.
La ricostruzione del chitarrista parigino è filologica, ma non tassonomica. In nuce,
i Pink Floyd ci sono e piazzati bene con il loro senso musicale, ma s'ascolta il
profumo del côte musicale di Lê. Sin dall'inizio, con "Speak To Me", si resta
avvolti nel mondo di Nguyên Lê infarinato di Pink Floyd e in compagnia di un genio
dell'orchestrazione Michael Gibbs, che tiene coeso il suo tagliente e vigoroso del
quartetto del chitarrista con la Ndr Bigband diretta da Keller. Gli effetti sonori
metronimici di "Speak To Me" diventano poliglotti (c'è anche l'italiano che
fa da sfondo) e più futuristici che scoprono un crescendo tribale in up-tempo per
costruire le psichedeliche forme di Inspire. Tassello dopo tassello si costruisce
la musica di Lê mercé la voce di Youn Sun Nah, che svetta ruggente e graffia "Breathe"
e rimbalza agogica sulle tessiture dell'orchestra. "On The Run" mette in
chiaro che Lê ha indosso la divisa da jazzista e lo dice guardando in faccia l'avanguardia
con un fast da capogiro sul quale il soprano di Christof Lauer ruggisce. Il marchio
di fabbrica del leader si fa sempre più sentire, giusto per sgomberare – ove ve
ne fosse stato bisogno – dai imbarazzanti dubbi sulla genuinità del lavoro: il calco
dei Pink Floyd va di pari passo con le invenzioni di Lê. Così in "Time" spicca
il fraseggio sincopato delle corde elettriche della sua chitarra che si infrange
nel muro di suono della big band. E anche le immarcescibili "Money" e "Us
And Them" suonano più compatte e concrete: la prima funkeggiante, mentre la
seconda acquista una dose di orientale spiritualità, giusto a rinvangare le radici
familiari del maître à penser: così il gioiellino messo a punto da Waters e Wright
si può beare di una nuova e bella fisiognomica.
Un disco che, si ribadisce, non ha cannibalizzato alcunché: è una fulgente rilettura
di un disco con la "d" maiuscola, di quelli che da qualche decennio è difficile
ascoltare. E Nguyên Lê ha saputo fare proprio, secondo il proprio codice e il suo
personale, e sempre sorprendente, vocabolario.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 14/06/2015
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