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Gabriele Coen Jewish Experience
Yiddish Melodies In Jazz
Tzadik (2013)
1. Bublitcki
2. Di Grine Kuzine
3. Liri
4. Jewish Five
5. Yosel Yosel
6. Der Shtiler Bulgar
7. Bei Mir Bist Du Schoen
8. Mazal Tov from Tobago
9. Yiddish Mame
10. Leena from Palestina
Gabriele Coen - clarinetto, sax soprano e tenore Pietro Lussu - pianoforte Lutte Berg - chitarra Marco Loddo - contrabbasso Luca Caponi - batteria
E' motivo di orgoglio per Gabriele Coen incidere un secondo cd per la Tzadik, la
prestigiosa etichetta di John Zorn. Il disco segue a distanza di tre anni il precedente
"Awakening" e sostanzialmente ne ricalca le orme. Il musicista romano si impegna
in una rinfrescata, una riverniciata, con lo sguardo del contemporaneo, a un repertorio
tradizionale della cultura ebraica o a brani di autore, sempre nello stesso stile
e ripresi già dagli uomini del jazz dagli anni Venti-Trenta in poi. L'operazione
del clarinettista italiano è su tinte soft: le arie scelte trasudano di storia.
Non è lecito stravolgerle. Gli arrangiamenti si limitano ad arricchire la tavolozza
di colori ritmici, con un lavoro spesso di scomposizione, in controtendenza, da
parte di basso e batteria. La chitarra serve, invece, a fornire un quid rockeggiante
alla rilettura dei brani. Lutte Berg si impegna allungando il suono distorto del
suo strumento con un timbro, a volte, simile al violino elettrico, strumento che
non mancava quasi mai nei complessi yiddish: i conti tornano, nulla è lasciato al
caso. E l'operazione di andata e ritorno fra passato e presente è all'ordine del
giorno nell'estetica del gruppo.
Le ance del leader sono protagoniste della enunciazione del motivo e poi vi volteggiano
attorno con grazia e dinamismo. Coen è particolarmente ispirato con il clarinetto
dove rivela radici ben vincolate al modus operandi tipico del klezmer, ma non
disattende
neppure con i sassofoni con interventi di notevole impatto. Il pianoforte di Pietro Lussu, invece, mette dentro una buona dose di note blue o di romanticismo, a seconda
dei casi e funziona da pendolo atmosferico, nel senso che determina o contribuisce
a creare il mood dei vari pezzi.
Di fatto la musica risulta piuttosto facile all'ascolto, adatta alla danza, composta
da melodie di matrice mediterranea, balcanica, mediorientale, rielaborate con gusto
e profonda conoscenza da parte di un polistrumentista- studioso, profondamente coinvolto
in questo tipo di impresa.
Due tracce si elevano sulle altre. "Liri", di Mickey Katz, si sviluppa da un solo
compositivo del basso di Marco Loddo e miscela yiddish, dixieland e swing in un
insieme volutamente sfilacciato, non rifinito. Qui Pietro Lussu, a metà percorso,
prende un solo consistente e concettualmente pregno. "Bei Mir Bist du Schoen" è un gioiellino di per sé. Il bel motivo è riletto con un
occhio rivolto alla Mitteleuropa e l'altro al blues e al bop. Questa riproposizione
si distingue proprio per i cambi di modo e di tempo che si succedono al suo interno..
Gabriele Coen ha composto anche due brani, assolutamente congrui con il resto dell'album,
anche se uno ("Mazal Tov From Tobago") ci trasporta in un ipotetico viaggio ai Caraibi,
però, con le valigie piene di nostalgia per la terra promessa. E', per semplificare,
una sorta di klezmer in vacanza.
L'idea dell'yiddish in jazz ha illustri praticanti e seguaci anche nel panorama
contemporaneo. Due nomi su tutti, evitando di citare l'icona Zorn, David Krakauer
e Ben Goldberg.
Gabriele Coen con questo album prosegue coerente sulla sua strada, pur trovandola
piuttosto affollata, come detto. I suoi pregi sono la passione per il genere, la
documentazione e l'approfondimento sul campo. In questa maniera riesce a costruirsi
uno spazio e a colmarlo con una proposta non di rimbalzo o di risulta, ma che contiene
certamente elementi di originalità.
Gianni Montano per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 08/12/2013
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